La scuola al tempo del coronavirus
L’istituzione scolastica in questi tempi di emergenza non fa che acuire le numerose contraddizioni di cui già questo sistema soffre sotto un regime di “normalità”.
Le criticità riguardano tutte le componenti della scuola, dal personale ai mezzi a disposizione, dalle tipologie contrattuali alle forme di relazione intrattenute dai vari attori che la attraversano. Specularmente, se il malfunzionamento abituale viene disvelato con forza dalla crisi causata dall’epidemia, la normalizzazione dei dispositivi e delle pratiche per far fronte all’emergenza potrebbe essere un orizzonte verso il quale iniziare ad attrezzarci. Le innumerevoli situazioni che l’eccezionalità del momento sta collezionando si aggravano proprio perchè è la normalità ad esser fatta di precarietà, zero garanzie, nessun riconoscimento, in cambio della pretesa che tutto vada avanti, nonostante le limitazioni imposte.
Proviamo a dare una breve panoramica del fenomeno a partire dai racconti di lavoratori e lavoratrici della scuola.
A seguito dell’ultimo decreto sulla sospensione delle attività didattiche, molti dirigenti scolastici, usufruendo dell’autonomia decisionale che la legge 107 del governo Renzi gli ha concesso, ne mettono in atto un’interpretazione arbitraria. Riunioni del personale negli edifici scolastici, collegi docenti e quant’altro vengono chiamati a discapito della salvaguardia dei lavoratori. Agli insegnanti viene richiesto, nonostante la sospensione delle lezioni, di svolgere le ore di programmazione a scuola e in vari casi di recarsi nelle proprie aule per lavori di pulizia e riordino, nonostante non rientri nelle loro mansioni. Chi è precari* e non usufruisce della supplenza annuale in questo momento rischia di non vedersi rinnovare il contratto. Il personale Ata, da quando è stata prolungata la sospensione della didattica, è costretto a recarsi a scuola per disinfestare i locali dal virus, ma senza essere messo nelle condizioni di farlo con tutti i crismi: per effettuare un’effettiva sanificazione occorrerebbero infatti prodotti adeguati, competenze tecniche, precauzioni per tutelarsi.
Un discorso ulteriore è quello relativo alla “didattica a distanza”. In un contesto scolastico che segue un trend aziendalistico, negli ultimi anni sono stati investiti centinaia di migliaia di euro per il cosiddetto PNSD (Piano nazionale per la scuola digitale), meritevole di aver portato risorse tecnologiche di alto livello in scuole che cadono a pezzi. Si vedano le Lavagne Interattive Multimediali, appese sui muri scrostati, magari a coprire le macchie di umidità. In barba alla formazione del personale, la maggior parte degli insegnanti ignora quali siano le risorse utili a scopo didattico in questo momento di emergenza.
L’altro volto della questione riguarda l’efficacia della comunicazione rivolta a famiglie che in molti casi non hanno la possibilità di connettersi ad un pc o non possono permettersi il lusso di seguire i propri figli nei compiti. Mentre i giornali regalano ampia visibilità a scuole “di serie A”, attraverso articoli corredati da foto di bambini in videoconferenza con le maestre, la stragrande maggioranza delle scuole di ogni ordine e grado annaspa per trovare delle soluzioni sensate e che raggiungano davvero gli studenti. E’ il paradosso di una scuola-azienda che riempie le aule di strumenti digitali, richiede agli alunni prestazioni sofisticate, senza poi rendere la tecnologia una risorsa effettiva che rientri nelle possibilità di ogni famiglia di accedervi. Tali questioni, che si pongono con più forza nella contingenza, possono diventare occasione di riflessione rispetto all’organizzazione sistemica di determinate risorse e alle ricadute che comportano sulla formazione, soprattutto vista la possibilità che la sospensione della didattica si prolunghi fino ad Aprile. Per investire sulla formazione, non basta la vetrina dell’“innovazione”, occorre fornire agli alunni ambienti sicuri, dare ai docenti strumenti adeguati che favoriscano la relazione, anche a distanza, coi loro alunni.
Come si può vedere nel video qui sotto, nel mondo della scuola lavorano figure che quotidianamente devono fare i conti con una condizione di precarietà: educatori professionali, educatrici comunali dei nidi, lavoratrici delle cooperative esterne, assistenti educativi, che al momento, vista la sospensione delle attività non vengono pagati, rischiando oltretutto di perdere il posto.
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La situazione è tale da permettere di sperimentare nuove forme e pratiche di sfruttamento, di isolamento e individualizzazione di chi lavora, il quale viene messo a rischio dal punto di vista sanitario e economico. In ogni contesto è difficile dunque mettere in atto o anche solo immaginarsi forme di solidarietà e mutualismo, le quali sarebbero armi indispensabili per fare fronte ad una crisi che non si limita al fattore del contagio, ma sta penalizzando interi settori legati al lavoro produttivo e riproduttivo e soprattutto all’intreccio tra i due, così come abbiamo visto essere con il caso della scuola. La questione non si esaurisce nel richiamo ad un’applicazione corretta dei decreti, soprattutto qualora essi vengano intesi come forma di tutela risolutiva ad una crisi di natura invece politica e sociale, la quale non è solo frutto di emergenza, ma semmai esasperata da essa.
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