Fondo Salva-Stati: tra ricatto finanziario e austerity ineluttabile
Lunedi 2 dicembre il Presidente del Consiglio Conte ha tenuto una doppia informativa presso Camera e Senato per riferire quale sia lo stato dell’arte sulla riforma del MES. (Meccanismo Europeo di Stabilità, o Fondo Salva-Stati).
Questo processo di riforma va avanti da almeno due anni ed è divenuto una delle prime sfide della neonata Commissione a guida Von Der Leyen. L’obiettivo è rinforzare i meccanismi automatici di austerity, e annessa ricattabilità politica, trasformando il meccanismo di tutela e stabilità dalle crisi finanziarie partorito nel 2012, in un vero e proprio ‘Fondo’ comune europeo.
Sottraendoci dal consueto penoso dibattito mainstream tra le forze politiche nostrane, tentiamo di allargare la lente e cercare cause e possibili conseguenze dell’ennesima rigidità geopolitica-finanziaria posta da una UE a trazione franco-tedesca.
La tornata elettorale europea della scorsa primavera, se non ha visto uno sfondamento delle forze ‘sovraniste’ ha sicuramente dato un sonoro colpo ai partiti tradizionali PPE e PSE costringendoli ad estendere ai liberali la costruzione della futura commissione. Il risultato, ora noto, è la nomina estiva della nobile tedesca Von Der Leyen. Candidatura sostenuta dai seggi italiani PD e 5S, in quello che fu il prodromo dell’attuale governo giallo-arancio. Mentre l’Italia, con l’estromissione dei sovranisti da Palazzo Chigi, si guadagna la nomina di Gentiloni come commissario al bilancio economico, nasce una commissione di compromesso, il cui cardine sia la rilegittimazione di una narrazione europeista tecnocratica, prosecutrice del rigore e della blindatura dei confini dell’Unione. (Su questo si veda un precedente contributo )
Se osserviamo le stesse radici tecniche del ‘Fondo Salva-Stati’ ci rendiamo conto di una linearità che lascia spazio a pochi dubbi sulle intenzioni dell’attuale governance. La risposta ‘condivisa’ alle speculazioni finanziarie sui debiti sovrani europei, e sulla moneta euro stessa, avviene attraverso l’approvazione, il 2 marzo 2012, del ‘fiscal compact’. I 17 paesi appartenenti all’eurozona accettano di modificare le loro costituzioni, ove incompatibili, sottoscrivendo un accordo atto a restringere ulteriormente i ‘parametri di Maastricht’. In particolare, si prescrive ai paesi con debiti pubblici elevati di ridurre il rapporto debito/PIL di un 1/20 l’anno al fine di rientrare nella soglia tollerabile del 60%. Sempre doveroso ricordare che in quel marzo pressoché tutto l’arco parlamentare votò a favore della modifica costituzionale. There was no alternative!
Entriamo ora nel merito della riforma del MES.
Le dotazioni finanziarie dell’istituzione dovrebbero essere di circa 80 miliardi di €, estendibili attraverso raccolta su mercato finanziario fino a 700 miliardi di €. Germania, Francia e Italia in quest’ordine saranno i maggiori contribuenti. Nonostante ci sia una bozza d’accordo, quella sulla quale Conte ha ‘chiarito’ in Parlamento, la decisione finale obbligatoriamente unanime tra gli esecutivi è prevista per l’euro-summit del 13 dicembre, in seguito l’accordo dovrà essere ratificato da tutti i parlamenti nazionali.
Nella proposta approvata dall’eurogruppo, il ‘Fondo’ dovrà svolgere una nuova funzione di garanzia al fondo di risoluzione unica delle banche previsto dall’unione bancaria, inoltre gli viene assegnato il compito di esprimersi sulla sostenibilità dei debiti pubblici dei paesi dell’eurozona.
Se il debito pubblico di un paese fosse giudicato insostenibile o a rischio di insostenibilità, potrebbero essere richiesti criteri più stringenti per accedere agli aiuti. Sarà il Direttore Generale del Fondo, (il tedesco Klaus Regling), a proporre al consiglio dei governatori la concessione del sostegno allo stato che ne faccia richiesta, e sarà sempre il DG a negoziare, insieme alla Commissione, la lettera di intenti con le condizioni di accesso al credito. I paesi che fruiscono del sostegno finanziario del Fondo dovranno garantire la sostenibilità del proprio debito pubblico e saranno sottoposti ad un controllo semestrale che valuti il rispetto dei criteri di ammissibilità al prestito.
Fondamentalmente, si perimetra ulteriormente il comportamento di paesi che potrebbero incorrere in default finanziario, in un momento in cui le nubi continuano ad addensarsi sull’economia globale (effettività della Brexit e intensificazione del ‘neomercantilismo’ o ‘guerra commerciale’ tra Usa e Cina).
Un altro elemento di novità rilevante è l’introduzione di un backstop (rete di protezione) in favore delle banche, che potranno accedere al Fondo, finanziato con soldi pubblici dei singoli stati europei, dovendo impegnarsi decisamente meno di quanto richiesto per gli stati stessi.
Scenari…
Il Mes, sin dal principio, rappresenta uno strumento per fornire neutralità (o tecnicità) a politiche economiche di parte: ristrutturare i bilanci statali tagliando la spesa pubblica, liberalizzando, svendendo patrimonio pubblico, mettendo a valore ciò che era stato preservato dalla rigidità delle classi sociali subalterne e dalla loro parziale presa sullo stato come entità decisionale.
I 7 anni trascorsi dalla fondazione, lungi dall’aver restituito linfa ad una dimensione materiale dell’economia, hanno visto un’inondazione di capitale fittizio come risultato di politiche monetarie espansive (Quantitative Easing, QE), denaro che ha nutrito principalmente i mercati azionari e il circuito bancario, intervenendo nell’economia unicamente a sostegno dell’accesso al credito (ossia altro debito.)
Questo precario equilibrio, che ha sostenuto la fase che in altri articoli abbiamo definito ‘ripresina’, ha incontrato l’ingresso di una fase della globalizzazione ulteriormente competitiva. I costi dell’accumulazione devono essere scaricati su strati di società indeboliti, ridimensionati, ma non resi insolvibili dal decennio di crisi trascorso. Si deve attaccare il risparmio della piccola borghesia italiana, si deve poter ridiscutere/ristrutturare il valore del debito. Debito che nel caso italiano è per il 60% interno al paese stesso. Nonostante le posture delle diverse élite economiche europee non siano semplici involucri, pur senza il Mes, i mercati finanziari verranno a chiederci sacrifici. Un’ opzione è rappresentata dal già noto strumento dello spread, usato addirittura come strumento per insegnare ‘agli italiani a votare’. D’altra parte, l’approvazione unanime del Mes rappresenterebbe un ulteriore tassello dell’ordo-liberismo tedesco, che mentre tenta di arginare le perdite del proprio settore bancario, mostra una capacità di leadership nel costringerci a sottostare altri anni sotto un regime di austerity e impoverimento.
Il cuore dello scontro in corso non è la stabilità finanziaria stessa, ma questa come strumento di disciplinamento di un’Unione Europa che innegabilmente naviga a vista, pronta a sacrificare ampi pezzi di Europa del sud nel caso di una nuova virata critica dell’economia globale. E non mancano i segnali.
Le élite europee si dotano degli strumenti adeguati a terrorizzare le popolazioni dalla deriva ‘nazionalista’, ossia del ritorno della sfera decisionale in un ambito influenzabile dalle pressioni sociali. Su questa stessa arroganza le opzioni di estrema destra continuano a irretire l’animo di un tessuto sociale desideroso di scaricare ‘i vincitori della globalizzazione’.
Questa contraddizione insanabile tra blocchi di potere apre scenari nefasti ma scoperchia le ipocrisie e le inconsistenze della governance nazionale e internazionale di almeno un decennio, preparandosi ad impoverire larghi strati di società fino ad adesso galleggianti o addirittura vincenti.
L’Italia è al centro della sala, sia il caso di ballare?
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