Un (non) voto di classe?
Lo scrivevamo la settimana scorsa che queste elezioni si sarebbero svolte nel quasi totale disinteresse dei settori popolari e così è stato.
Nelle grandi città il PD si conferma il partito delle Ztl, dei centri storici, unici luoghi dove l’affluenza alle urne riesce, sebben di poco, a superare il 50%. Ma anche nelle cittadine medio piccole e nelle zone rurali i dati dell’astensione sono contrastanti: solitamente le amministrative vedono una maggiore affluenza in questi territori rispetto ad i grandi centri urbanu essendo legate a dinamiche locali piuttosto che nazionali, ma questa volta sembra essere per lo più smentito questo fenomeno. Dunque un primo dato da raccogliere che si inserisce in un trend di lungo corso: le elezioni locali sono sempre di più un’emanazione di fenomeni politici generali e questo in parte è la conseguenza del sempre minore spazio di manovra che, nella trasformazione dello stato in senso neoliberale, le istituzioni locali hanno assunto.
Il secondo dato evidente è che nonostante le più fosche previsioni Fratelli d’Italia non riesce a spaccare in nessuna grande città, persino a Roma il risultato elettorale si inserisce in un trend prevedibile. E’ evidente che il partito di Giorgia Meloni non è stato in grado a rappresentare l’unico campo politico aperto dove esiste un deficit di rappresentanza, cioè quello dell’opposizione alle politiche economiche del governo Draghi. L’inchiesta di Fanpage centra poco con i risultati elettorali, infatti il problema non è tanto l’incrinatura della posizione nel centrodestra liberale di Meloni, quanto piuttosto il fatto che, a differenza della Lega salviniana del primo corso, Fratelli d’Italia sia completamente privo di una proposta politica ed economica che aneli ad intercettare una generalità dei settori popolari bianchi.
D’altronde probabilmente visto come sta andando a finire il corso salviniano pare abbastanza chiaro perché Fdi non voglia percorrere la stessa strada (per il momento?).
Elezioni dunque con una forte assenza di settori popolari e giovani, in totale deficit di rappresentazione, quasi un voto per censo indotto da un’offerta politica in cui a battagliarsi sono fondamentalmente diversi campi degli stessi interessi borghesi, ma meno capaci di costruirsi una trasversalità su cui manovrare.
La crisi del neopopulismo tanto in salsa 5stelle che sovranista all’italiana non ripropone gli schieramenti tradizionali, ma piuttosto riapre da dove si era apparentemente concluso il progressivo deteriorarsi della rappresentanza istituzionale. Dunque siamo infine giunti alle premesse di un secondo ciclo neopopulista, più sporco e confuso, ma più sociale, in una situazione di deficit di rappresentanza?
Difficile a dirsi, sicuramente però i temi economici e sociali ritornano centrali, e lo scontro, approfondito dalla pandemia si fa un poco più chiaro. La Pax Draghiana esce rafforzata da questa tornata elettorale, ma il contesto sociale mostra dei segnali di effervescenza che come dimostrano i dati delle elezioni, nessuno nell’arco costituzionale è in grado di intercettare e interpretare.
Si ha quasi l’impressione di una “maggioranza silenziosa” tra i settori popolari che dentro la fase pandemica ha maturato nuove domande sociali senza risposta. Sarà davvero così? Tocca capire meglio cosa sta avvenendo alla luce di questi dati, consapevoli che siamo di fronte ad una nuova, ed interessante fase, in cui molti fenomeni devono ancora maturare.
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