Chi è Ollanta Humala, il nuovo presidente del Perù
Ollanta Humala, 48 anni (come il presidente ecuadoriano Correa) tra poco, è il nuovo presidente del Perù. Il padre, un ex-comunista, è l’inventore dell’etnocacerismo: nazionalismo indigeno legato ai miti dell’impero Inca e del generale, tre volte presidente, Andrés Avelino Cáceres sconfitto dal Cile nella guerra del Pacifico (1879-1983) che costò al Perù il dipartimento di Tarapacá. Sull’etnocacerismo è stato detto che è fascista, razzista (rispetto ai bianchi e agli asiatici, che in perù sono una parte consistente della classe dirigente), revanchista (contro il Cile, per l’appunto) ed espansionista in generale (per ripristinare i confini dell’Impero degli Incas). Sintesi di questa dottrina è l’opera del fratello di Ollanta, il maggiore Antauro Humala, “Esercito Peruviano: millenarismo, nazionalismo e etnocacerismo”. Ollanta e Antauro hanno partecipato assieme ad un tentativo di colpo di Stato contro Fujimori nel 2000, Antauro ci ha riprovato nel 2005, è stato processato e condannato a 25 anni ed è tuttora in carcere, gli oppositori dicono che una vittoria del fratello ne consentirebbe la liberazione (tramite, ad esempio, un’amnistia). Ma sembra che sia Antauro che Isaac abbiamo ripudiato il fratello, ammorbidotosi alla ricerca di più larghi consensi: nazionalista sui generis che, dopo la sconfitta elettorale del 2006 in cui era stato avvicinato a Chavez, ha preso come modello l’ex presidente brasiliano Lula (almeno così sostiene).
Ed è soprattutto la sua collocazione nella geopolitica latinoamericana a fargli acquisire consenso in una parte della sinistra internazionale. Il Perù è stato in questi anni uno dei pochi Stati fedeli a Washington: ha firmato con gli Stati Uniti un Trattato di Libero Commercio (TLC, ratificato definitivamente nel 2007), è stato tra i primi a riconoscere il governo honduregno, rilascia concessioni minerarie senza problemi. Con Ollanta questa alleanza subalterna non è più tanto sicura. Ma dopo la sconfitta del 2006 (al ballottagio con Alan Garcia) Ollanta ha deciso di migliorare i suoi rapporti con Washington: Wikileaks ci ha rivelato dei documenti che parlano di 4 visite tra il leader del Partito Nazionalista e l’ambasciatore statunitense a Lima tra il 2006 e il 2009. Nelle relazioni scritte dall’ambasciata e inviate al Dipartimento di Stato sono registrati i tentativi di Ollanta di proporsi come alternativa “accettabile” agli occhi degli Stati Uniti: afferma di essere un “pragmatico” che può salvare il Paese dai “radicali antististema che potrebbero minacciare la stabilità dello Stato”, aggiungendo che era “nazionalista e non di sinistra”. All’uscita di queste “rivelazioni” la coalizione che sostiene la candidatura di Humala s’è così giustificata in un comunicato ufficiale: “Nella citata riunione il nostro candidato ha spiegato alla delegazione diplomatica che un eventuale governo di Gana Perù (…) continuerà le strette e amichevoli relazioni con gli Stati Uniti tanto sul piano diplomatico che su quello dello scambio commerciale ed economico, preservando l’interesse reciproco a incrementare questi legami, con garanzie assolute per gli investitori stranieri e in particolare per quelli statunitensi. In questo senso ha assicurato che le relazioni bilaterali saranno strette e feconde per entrambi i paesi”.
E Humala ha infatti garantito che non toccherà il Tlc, il trattato commerciale con gli Stati Uniti che abbatte la tassazione sulle merci e i capitali scambiati tra i due paesi, che ha permesso l’invasione del mercato peruviano delle merci nordamericane. Un trattato che gli Stati Uniti stentano ad imporre agli altri paesi del continente, più interessati a progetti di integrazione continentale (come l’Alba del Venezuela e degli stati più “anti-americani”, il Mercosur di Brasile-Argentina-Cile-Uruguay-Paraguay, o l’Unasur, Unione diplomatica di tutti i paesi del continente) o di cooperazione internazionale Sud-Sud (come quella con i paesi dell’Africa). Ollanta ha comunque dichiarato che rafforzerà l’integrazione continentale del Perù, ed è difficile che faccia meno dei suoi predecessori, certo non i più attivi sostenitori di questa strada.
Anche sul passato dell’ex capitano dell’esercito sono stati avanzati dei dubbi da sinistra. D’altronde si parla di un ufficiale della guerra alle guerriglie di Sendero Luminoso e del Mrta (Movimiento Revolucionario Túpac Amaru), e si ricorda un’accusa di tortura e sparizioni (pratica diffusa nella guerra anti-guerrigliera) risalente al 1992 mentre dirigeva la base anti-guerrigliera di Madre Mía en San Martín. Accusa archiviata dalla giustizia peruviana, ma per molti non basta vista la facilità con la quale questi casi sono stati messi da parte prima da Fujimori e poi da Garcia (il presidente uscente responsabile quanto meno del massacro di 600 detenuti nel carcere del Frontón, nel 1986). Altri episodi lo leggitimano però agli occhi delle masse popolari anti-fujimoriste: il tentativo di deporre l’ex-dittatore ai tempi delle prime concrete accuse di corruzione alla fine del 2000, in quei mesi prima Montesinos, consigliere militare autore della guerra sporca, poi Fujimori stesso fuggiranno dal Paese. Amnistiato dal nuovo governo, nel 2004 Ollanta uscirà definitivamente dall’Esercito proponendosi come candidato nazionalista alle elezioni presidenziali del 2006. Il fratello Antauro invece tentò un’altra mossa del genere contro il governo di Toledo nel gennaio del 2005, condannato a 25 anni, è tutt’ora in carcere. Oggi Sendero Luminoso ha ripreso a combattere, il giorno delle elezioni ha ucciso 5 soldati, e nella campagna elettorale appena passata la destra difendeva quanto fatto da Fujimori e spaventava la popolazione con una nuova possibile avanzata della guerriglia (responsabile anche di atroci crimini durante la sua storia) che Ollanta non sarebbe stato in grado di contenere.
Ma il nuovo presidente ha ricevuto il sostegno anche del principale movimento indigeno del paese, l’Aidesep, e di molti ex-guerriglieri. L’Aidesep nel 2008 si era scontrata duramente con il governo, con episodi come il massacro di Bagua dove l’esercito sparò su un blocco stradale uccidendo più di 20 indigeni o la proclamazione dello stadio d’Assedio nelle regioni amazzoniche. Gli indigeni riusciranno a condizionare il Governo nella politica ambientale-energetica, quantomeno regolando le concessioni minerarie e petrolifere nella foresta o si arriverà alla rottura come in Ecuador tra il governo Correa e la Conaie?
Alcune differenze sono già evidenti l’organizzazione indigena ha chiesto, nel suo I Consiglio di Coordinamento Ampliato: il diritto alla territorialità dei popoli indigeni, una nuova Costituzione Politica, una deroga dei decreti d’urgenza, il rifiuto al progetto IIRSA (costruzione di infrastrutture integrate continentali, spesso megaprogetti dannosi per i territori), una legge quadro di consultazione, l’adempimento di trattati e convenzioni sui diritti indigeni, giustizia nei processi. Humala nella sua ricerca del voto al centro-destra ha detto che non colpira la crescita, che farà solo riforme costituzionali e, considerati alcuni dei finanziatori della campagna elettorale (imprese brasiliane interessate come l’Inambari), continuerà con l’IIRSA.
Riflettendo sul modello economico che il Perù potrebbe adottare con Ollanta, lo studioso boliviano Jorge Lora Cam, esprime un giudizio deciso:
“Ollanta Humala o Keiko Fujimori non cambieranno sostanzialmente il Perù che lascia Alan García. Un paese prima di tutto esportatore, con un 70% delle esportazioni costituite da prodotti minerari e petrolio, dove imprese e territori sono nelle mani di multinazionali e grandi imprese nazionali come Graña y Montero, grande immobiliare legata al giornale El Comercio, o spartiti per il loro sfruttamento. Un paese dove il narcotraffico e altri affari mafiosi – che fanno parte del progetto neoliberale – si riciclano in costruzione immobiliare, case da gioco, alberghi, etc. e che danno un’immagine di prosperità e modernizzazione. Queste attività sono state favorite dalle concessioni dei territori e dalla privatizzazione di terre con i conseguenti trasferimenti di popolazione, la consegna ai privati dei porti, aeroporti, strade oggi senza controllo statale, l’apertura di mercati e frontiere, la miniera e l’arrivo di inquinanti chimici, la disoccupazione e le migrazioni che offrono forza di lavoro economica e pronta a fare lavori rischiosi. Erediteranno un mondo dalle enormi disuguaglianze, dove miniere che forniscono un profitto del 33% del capitale investito – quando negli Stati Uniti è del 14% – appena pagano tasse stabilite con il loro accordo. Un paese con una crescita del 7% annuale, che in realtà è solo per le multinazionali e la piccola borghesia bianca. Con un salario minimo di 200 dollari e un reddito familiare di 500, con una partecipazione dei salari del 20% del Pil. Con un 63% del Pil costituito da commercio e servizi e più del 75% della popolazione nell’economia informale e di questi il 47% in povertà. (…) Un paese dove sempre più abitanti delle città delle città costruite alle foci di 52 fiumi inquinati dalle miniere prendono acqua avvelenata con mercurio, arsenico e cianuro”, utilizzati per estrarre i minerali.
Se le previsioni di Lora Cam si realizzeranno lo vedremo nei prossimi cinque anni. Certo è che la vittoria della sinistra latinoamericana in altri paesi non ha rappresentato nella maggior parte dei casi una deviazione dal modello economico esportatore, poco rispettoso dei territori e delle popolazioni che li abitano. In Perù questo modello si è affermato con particolare durezza proprio durante gli anni di Fujimori, quando si è accompagnato alla violenza e all’impunità delle forze repressive dello Stato. Una vittoria di sua figlia sarebbe di certo stata un’ipoteca sulla continuazione di questo modello. Sul governo di Gana Perù (che comunque dovrà trovare alleanze al Congresso perchè non in possesso della maggioranza) forse i movimenti sociali hanno più possibilità di condizionamento. Staremo a vedere.
A cura del Comitato di solidarietà con i popoli dell’America Latina ‘Carlos Fonseca’
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