Elezioni in Gran Bretagna: vince (ancora) la Brexit
Si è trattato di un secondo referendum, quasi in sfregio ai Labour e alla loro proposta di ripetere la consultazione sull’uscita o meno dell’Uk dall’Unione Europea in caso di vittoria alle elezioni.
Che la Brexit fosse il tema caldo di polarizzazione di queste elezioni ce lo aspettavamo, ma il risultato va ben oltre le previsioni, con il Partito Conservatore di Boris Johnson che fa il miglior risultato dai tempi della Thatcher e i laburisti che perdono 59 seggi, una vera e propria debacle per lo storico partito socialista.
La polarizzazione si muove su una faglia ben precisa: quella che divide le metropoli dalle aree invece più periferiche e rurali. Se infatti nelle città di una certa dimensione il Labour di Corbyn si aggira sul 70%, nel resto del paese scende intorno al 20. Al leader laburista non è riuscita la riconquista di quei territori del cosiddetto Red Wall, tradizionalmente zone operaie che votavano a sinistra, alle quali la sofferenza post-crisi e il referendum sulla Brexit avevano duramente indebolito dalle fondamenta. Nonostante le proposte economiche di ri-nazionalizzazione di alcune imprese strategiche (come le ferrovie) e di forme di redistribuzione, il corbynismo non riesce a ricomporre su un fronte comune il proletariato urbano (migrante e/o cognitario) e la classe media in sofferenza delle metropoli con i settori popolari delle zone rurali o industriali del paese.
Probabilmente ad impedire l’impresa è stato proprio l’atteggiamento altalenante del leader Labour sulla questione dell’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea. Su questo vettore infatti si sono collocati interessi a volte contrapposti che attraversano tutt’ora anche le classi subalterne. Se le aree metropolitane hanno intenzione di rimanere ancorate all’UE e quindi ad un progetto che prevede la libera circolazione di merci e persone-merce, l’economia della conoscenza e la riconversione green – perché in questo vedono garantite le (seppur minime) possibilità di accesso a un reddito e a condizioni di vita più significative e collegate al mercato globale, – nelle zone rurali e periferiche a prevalere è la paura della competizione sui salari, della perdita di ulteriori posti di lavoro a causa della conversione ecologica e, tutto sommato, l’interesse a posizionarsi di più nell’area di influenza degli USA.
Johnson in questo senso riesce a completare la manovra di recupero di questi settori di classe “scongelati” dalla tradizionale identità di sinistra verso una proposta che è significativamente liberista e conservatrice, dimostrandosi l’opzione più conseguente alla volontà di uscita dall’Unione Europea e giocando il ruolo di buon soldatino della strategia “trumpista” di disarticolare (o almeno indebolire) l’Unione Europea. L’altro presidente col ciuffo infatti festeggia subito il risultato e promette nuovi buoni accordi commerciali.
Ancora una volta emergono tutti i limiti della riproposizione di una socialdemocrazia “sincera” all’interno del vecchio continente come risposta alla crisi, se pure certamente le proposte di Corbyn hanno avuto il merito di inserire nel dibattito pubblico alcuni nodi importanti come quelli sulla redistribuzione che, c’è da scommetterci, rimarranno sul piatto per molto tempo. Di certo c’è che ad oggi la tendenza centrista che anche in GB non ha avuto alcuno spazio, considerando i risultati del LiberalDemocratici.
Per i conservatori però non è tutto rose e fiori. Infatti, quando si spegneranno i festeggiamenti, BorisJo dovrà fare i conti anche con le pulsioni indipendentiste o autonomiste – tendenzialmente filoeuropee – che si rifanno avanti con il voto in Scozia, con la possibilità di un secondo referendum sull’indipendenza e in Irlanda del Nord dove la questione del confine ha già riaperto una fase di ebollizione del conflitto.
Lo scompaginarsi degli assetti internazionali in quello che abbiamo già definito un contesto di globalizzazione competitiva si approfondisce ancora di più. Nuovi equilibri proveranno a consolidarsi ma non mancheranno di suscitare nuove frizioni anche all’interno di contesti nazionali sempre più frammentati. Il progetto di una parte delle élite inglesi di riorientare in senso nazional popolare gli interessi economici britannici sarà meno liscio di quanto spera la borsa di Londra che festeggia il risultato elettorale e il prossimo deal con The Donald. È verso queste nuove contraddizioni che bisogna ora volgere lo sguardo consapevoli che si nuota in mari sconosciuti.
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