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Elezioni Perù: ballottaggio Humala vs Fujimori junior

A Lima, se non ci saranno ribaltamenti dell’ultima ora, andranno al ballottaggio Ollanta Humala e Keiko Fujimori o, in alternativa di quest’ultima, Pedro Pablo Kuczynski, detto El gringo, che la tallona ad un punto per strapparle l’accesso al secondo turno.

Non cambia molto, salvo che per il gringo e la figlia di Alberto Fujimori (questo di fatto tutto il curriculum di quella che sarebbe la prima donna presidente in Perù e una dei capi di stato più giovani al mondo) su chi vada al ballottaggio. Più tecnocratico e uomo ortodossamente Banco Mundial il primo, senza paura a definirsi autoritaria lei, la ragazza che aveva 16 anni quando il 5 aprile 1992 suo padre diede l’autogolpe di Stato che aprì quell’età dell’oro fujimorista, fatta di repressione, guerra e neoliberismo spietato, che lei pretende di riproporre e per la quale lui, Alberto, è attualmente in carcere per crimini contro l’umanità.

Dovesse vincere Keiko o il gringo, che in campagna elettorale ha rinunciato al passaporto statunitense, per la prima volta in trent’anni diventerebbe presidente a Lima qualcuno che non viene eletto con i voti della sinistra per governare poi per conto della destra. Triste destino quello peruviano: vince sempre la sinistra ma poi governa sempre la destra.

Dopo la dittatura progressista di Juan Velasco Alvarado e quella retta dalla CIA di Francisco Morales Bermúdez, dall’80 in avanti si sono succeduti prima il secondo governo di Fernando Belaúnde e poi in sequenza Alán García, Alberto Fujimori, Alejandro Toledo e di nuovo García, tutti eletti con l’appoggio della sinistra e in genere con l’appoggio più o meno marcato dei benpensanti progressisti europei e tutti conclusi con l’abbarbicarsi al “Washington consensus” e a rappresentare le oligarchie di sempre.

Il popolo peruviano tende a dimenticare come pochi al mondo e ad aver nostalgia, come in un tango rioplatense, di ogni tempo passato. Come ha potuto rieleggere Alán García? Anche al secondo giro l’aprista (socialdemocratico per semplificare) ha guardato in alto e a destra.  Puntualmente corruzione, malversazioni accompagnate da crescita economica senza alcuna redistribuzione hanno caratterizzato anche questo secondo mandato. Il Perù che lascia è più ricco ma chi era povero è rimasto povero e lui, bulimico, già sogna una terza chance nel 2016.

Altro segnale della mancanza di memoria dei peruviani è il fatto che in queste elezioni a lungo sia stato in testa nei sondaggi Alejandro Toledo. El cholo in doppio petto, durante tutti i cinque anni del suo mandato stazionò all’ultimo posto (intorno all’11-13% di appoggio) tra i presidenti latinoamericani. Gli è bastato ricandidarsi per causare nostalgie e superare a lungo il 30% di aspettativa di voto nei sondaggi, anche se poi col tempo ha perso smalto e si piazza solo quarto. O come non pensare a Keiko Fujimori che, come primo atto, promette di liberare il padre dal carcere e propugna l’autoritarismo (neoliberale) come soluzione ai problemi del paese? Per Mario Vargas Llosa, il premio Nobel per la letteratura ultraliberista, che fu sconfitto all’epoca dal candidato della sinistra, el chino Fujimori, e infatti appoggiava Kuczynski, Keiko è il cancro e la sua alternativa, Ollanta Humala, sarebbe l’AIDS. Greve, detto da lui.

Da tempo non è fondamentale sapere cosa pensa il rancoroso Vargas Llosa per capire il Perù ma, se dovesse vincere Ollanta Humala, sarebbe davvero la sinistra a vincere? Sarebbe il blocco integrazionista a segnare un punto sulla costa pacifica ben più fredda di quella atlantica alla primavera latinoamericana? Nel 2006 l’appoggio a Ollanta da parte di Hugo Chávez fu probabilmente il più grande errore in politica internazionale del presidente venezuelano. Questo pensò di poter imporre a fin di bene qualcuno inondando di soldi il Perù con metodi simili a quelli con i quali gli Stati Uniti hanno sempre imposto, a loro fini, i candidati nel Continente. Trovò Humala e appoggiò Humala, il primo simil-Chávez di passaggio, le differenze con il quale erano fin troppe per non mettere in allarme il presidente bolivariano. Entrambi militari, Chávez in gioventù era diventato qualcuno insubordinandosi nell’89 a reprimere il popolo come ordinava Carlos Andrés Pérez per ordine dell’FMI. Humala invece aveva fatto carriera partecipando alla repressione solo teoricamente contro Sendero Luminoso e in realtà contro la società civile peruviana tutta agli ordini di Alberto Fujimori e sempre per conto dell’FMI. Nazionalista, indigenista, con un discorso molto critico del modello economico, prese il tram chavista e lo usò finché servì. Andò male al ballottaggio e la lezione servì ad entrambi. Chávez si è oggi completamente eclissato dalle cose peruviane e i media internazionali si sforzano di individuare in Humala le influenze della superpotenza brasiliana.

Di sicuro Humala, che forse perderà il ballottaggio come cinque anni fa, ma che ha lanciato sufficienti segnali all’establishment che lo teme molto meno, e non solo perché giacca e cravatta hanno sostituito stabilmente la polo rossa, porterà in parlamento una dignitosa pattuglia di democratici, sindacalisti, dirigenti popolari con una dignitosa storia politica personale nel torbido Perù contemporaneo. Basta questo a definire la candidatura di Ollanta come di sinistra? Intanto lui non si definisce mai come candidato di sinistra ma sempre come nazionalista. Altro che socialismo del XXI secolo o governo dei movimenti sociali; Lima è altrove rispetto a Quito, La Paz, Caracas. Pochi giorni fa, quando Juan Luís Cipriani, l’influentissimo cardinale primate, orgogliosamente dell’Opus Dei, lo ha ricevuto, si sono accorti subito di parlare la stessa lingua. Nessuno si aspetti da Humala gli avanzamenti in temi di diritti civili che caratterizzano per esempio il governo di Cristina Fernández a Buenos Aires: niente coppie di fatto, niente interruzione della gravidanza. All’uscita è andato via tenendo tra le mani (foto) un rosario omaggio del Cardinale. Un trionfo per lui e un masticare amaro per i progressisti peruviani che in questi anni non hanno trovato di meglio che tornare ad appoggiarlo.

Se poi si domanda ai peruviani perché voterebbero Humala si capiscono altri malintesi rispetto a questo ruspante ex-repressore dei diritti umani sotto Fujimori (chi scrive grida forte e chiaro che NON ci si può emendare da tortura e assassinio). Gli elettori mettono Ollanta al primo posto come l’uomo in grado di affrontare il tema sicurezza e al secondo per lottare contro la corruzione, in particolare di quel parlamento sordo e grigio chiuso nel 1992 dal padre della sua avversaria Keiko e che continua a essere l’istituzione più screditata del paese. Legge e ordine dunque, niente a che vedere con Evo Morales. Chissà, forse nonostante tutto l’AIDS di Ollanta è meno peggio del cancro di Keiko o degli altri candidati fondomonetaristi. Qualcosa di buono farà e non sarà difficile essere meglio di Alan García. Ma non chiedeteci di trepidare per lui.

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