Una nuova ondata di proteste nel Golfo
Nuovi moti popolari scuotono l’assolato autunno del Golfo Persico, andando a colpire il fronte controrivoluzionario delle monarchie petrolifere in un momento di crescente instabilità regionale.
In Bahrain imponenti e ostili manifestazioni di piazza hanno accolto la pubblicazione
Nulla di nuovo per le diecimila persone che si sono mosse in marcia dal sobborgo sciita di Aali, che comunque hanno intonato a gran voce ‘Bassiouni dice che siete torturatori, Bassiouni dice che siete assassini’ in segno di sfida alle autorità dell’isola.
Dopo la sepoltura dell’ultimo martire della protesta (ancora una volta, un caso di speronamento da parte delle volanti della polizia) sono state erette barricate per le strade in preparazione dell’ennesima notte di battaglia, mentre manifestanti a volto coperto vergavano con le bombolette sulle serrande chiuse dei negozi: “Resistenza, volontà e determinazione”.
In Arabia Saudita dall’inizio della settimana le città prevalentemente sciite della costa orientale (Qatif, Awamiyah e Dammam, già protagoniste dei brevi moti di febbraio-marzo e di altre sporadiche sollevazioni) hanno visto reintensificarsi le proteste contro le discriminazioni sociali, economiche e politiche. Più volte nelle strade è risuonato il grido ‘Morte ai Saud!’, dopo l’assassinio di un giovane di 19 anni da parte della polizia reale, e l’uccisione di altri tre manifestanti nei giorni seguenti.
Ultimo – ma non meno importante – teatro della nuova ondata di proteste nel Golfo è il Kuwait. Differente da altri paesi del Golfo per la presenza di un parlamento eletto a suffragio universale non sempre compiacente verso la famiglia Al-Sabah al potere (ma sempre dissolvibile da parte di essa), il piccolo emirato ha visto negli scorsi mesi partecipate manifestazioni di segmenti eterogenei della società locale – dai ‘Bidun’, frange della popolazione prive di cittadinanza ed accesso ai servizi di base, al movimento giovanile ’16 Settembre’ che si rifà alla Primavera Araba, ai lavoratori dell’industria petrolifera in sciopero generale ad ottobre.
Tutte esplosioni che la famiglia reale ha cercato di contenere a suon di sussidi (e, nel caso dei Bidun, di concessioni di diritti sociali) ma che non hanno rimosso il problema della corruzione negli apparati istituzionali, personificato dal primo ministro Nasser Al-Mohamed Al-Sabah. Così le proteste sono continuate, culminando nell’irruzione di migliaia di persone in parlamento a metà novembre
per chiedere le dimissioni di Al-Sabah; evento inaudito nella storia dell’emirato, che le forze dell’opposizione islamica (vicina ai Fratelli Musulmani ed all’Arabia Saudita) hanno tentato immediatamente di strumentalizzare, e che ha prodotto finora una cinquantina di mandati di cattura per altrettanti attivisti.
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