Chi non vuole la pace
La visita a Kiev di Biden è un chiaro messaggio, la guerra in Ucraina deve continuare, approfondirsi. Si discute di missili a lungo raggio ed armamenti vari, ma gli osservatori più attenti hanno colto che la visita del Presidente degli Stati Uniti non è altro che una risposta al nuovo attivismo diplomatico di Pechino che dal prolungarsi del conflitto non ha molto da guadagnare.
Il governo Cinese infatti ha annunciato appena due giorni fa che sta lavorando ad «Un documento in cui la Cina illustrerà la sua posizione sulla soluzione politica della crisi. Questa guerra non può continuare» attraverso le parole del Ministro degli Esteri cinese Wang Yi. Un piano di pace in dodici punti che è stato annunciato durante la visita a Roma e pubblicizzato alla conferenza di Monaco dopo la quale Wang Yi si è recato a Mosca per illustrare il piano al Cremlino. La mossa dell’amministrazione statunitense è un evidente tentativo di sparigliare le carte oscurando il tentativo diplomatico cinese e segue a stretto giro l’isteria sui palloni spia e le accuse di Blinken a Pechino di fornire droni ed altro materiale bellico all’esercito russo.
Biden con il solito pragmatismo USA prova a tenere insieme le due anime in tensione dentro l’amministrazione: tra chi vorrebbe evitare di ingolfarsi nello scenario di guerra ucraino per rivolgere le proprie attenzioni alla Cina e chi vorrebbe invece approfondire lo scontro con la Russia. La strada per mettere pressione a Pechino, per Biden, passa inevitabilmente da Mosca. Il viaggio del Presidente USA in Est Europa ha chiaramente anche un fine elettorale in vista delle prossime presidenziali, mentre gli ambienti repubblicani vivono alcuni travagli non indifferenti sulla questione della guerra e persino in alcuni casi sullo scontro con la Cina. Può sembrare paradossale, ma è più facile sentire critiche all’imperialismo statunitense provenire dagli ambienti conservatori, piuttosto che dalla sinistra liberal quasi completamente schiacciata sul sostegno illimitato a Kiev.
Il piano di pace cinese si fonda sui due assunti che fin dall’inizio hanno guidato la posizione di Xi Jinping sul conflitto, da un lato il rispetto della sovranità e dell’integrità territoriale di tutti i Paesi (su cui ovviamente pesa la vicenda Taiwan e dei vari indipendentismi con cui si misura lo stato cinese), dall’altro il fatto che le legittime preoccupazioni di sicurezza di tutti i Paesi dovrebbero essere presi sul serio.
D’altro canto c’è da aspettarsi che questa visita di Biden non farà che approfondire la convinzione di alcuni ambienti russi che la guerra vada continuata ed approfondita e che la minaccia sia sostanzialmente esistenziale. Intanto l’Europa continua a farsi portare in giro come un cane al guinzaglio e la Meloni va a Kiev a prendersi il perdono per l’uscita di Berlusconi, più che una voce dal sen fuggita, per una volta un afflato di ragionevolezza anche se sospinta dall’affetto per il vecchio compagno di merende. Se ancora qualcuno si domanda chi lavora perché il conflitto continui, la risposta l’abbiamo davanti agli occhi.
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