Contropotere nella crisi. Per un autunno di lotta
CentroSociale ExKarcere, Palermo, 7-8 settembre 2013
Lo scenario egiziano viene quindi ridotto ad una contrapposizione tra esercito e islamisti mentre la Tunisia finisce nel dimenticatoio insieme alle mobilitazioni che quotidianamente la attraversano. Allo stesso modo le lotte che dalla Turchia al Brasile si contrappongono ai modelli di sviluppo delle economie in crescita e ai progetti di ridefinizione della geografia del capitale vengono proposti con un’immagine sbiadita sia sul fronte delle effettive rivendicazioni che della materialità del conflitto. La realtà è ben diversa e parla di una crisi globale non più sul piano dei cicli economici e dei loro indicatori ma su quello della gestione del potere e della definizione dei territori soggetti alle diverse forme di sfruttamento capitalistico. Dalle periferie di un’Europa in crisi al proletariato dei BRICS non più disposto a subire le disuguaglianze dello sviluppo capitalista, passando per i paesi arabi da cui riprende forza l’attualità della “rivoluzione” le linee di ridefinizione del capitale globale agiscono su un terreno che continuamente ne mina le basi e ne mette in discussione i progetti.
Ma all’instabilità globale si contrappone quell’apparente calma che sui nostri territori continua ad essere messa in discussione più su un piano tutto interno a differenti gruppi di potere istituzionali che alla conflittualità diffusa che si mira oltreconfine.
Una situazione che rende ancora più centrale l’attuale incapacità di generalizzazione di momenti conflittuali che pure si registrano dalla Val di Susa alla Sicilia. La stabilità a tutti i costi di cui il governo Letta-Alfano si fa portavoce non sarebbe infatti in grado di misurarsi facilmente con la realtà di processi radicali di cambiamento che, a pochi chilometri dai confini di Stato, riportano sull’agenda dei movimenti il tema della conquista di un contropotere in situazioni di conflitto sempre più vasto e sistematico contro gli apparati di gestione del potere. Superato il periodo post-elettorale e lo spauracchio M5S con la grossa coalizione dettata da Napolitano, la stabilità degli equilibri delle istituzioni nazionali vacilla nuovamente sotto i colpi di Berlusconi e dell’antiberlusconismo.
Se è vero che all’indomani delle elezioni troppo presto si era gridato all’instabilità istituzionale, è vero anche che dinamiche di questa fattura possono precipitare velocemente in nuovi scenari autunnali a cui non è possibile farsi trovare impreparati.
Nel frattempo Letta continua a ripetere il mantra della ripresa in attesa di un possibile cambiamento nella politica economica dettata dalla Germania e dall’Europa e sperimenta retoriche sempre meno efficaci contro le possibilità di conflitto. Le sue parole, indirizzate soprattutto al soggetto giovanile, circa la fiducia e l’attendismo per messianici periodi migliori denotano in primo luogo quanto lo spettro del conflitto intimorisca pesantemente l’attuale governance italiana e quanto alta possa essere la posta in gioco in un momento di debolezza sistemica.
Dare continuità alle ipotesi
All’ultimo appuntamento, quello torinese, abbiamo continuato a definire non solo il campo del nostro agire politico collettivo ma anche il nodo centrale del soggetto o, meglio, della costruzione di controsoggettività. Problematico certamente, aperto anche, resta comunque un tema ineludibile se vogliamo provare a prefigurare i prossimi mesi e gli sforzi necessari ad imprimere una decisa accelerazione ai processi politici antagonisti. Così, pur consapevoli di quanto nel passato ciò abbia costituito per molti una vera e propria scorciatoia teorica, abbiamo individuato nella composizione giovanile il più interessante coacervo di potenziali nuove soggettività conflittuali. Ma a differenza delle passate scorciatoie teoriche di cui sopra, la base su cui costruiamo questo ragionamento è data da osservazioni empiriche delle mobilitazioni attuali e dalle esperienze di conricerca degli anni passati.
Guardare alle composizioni dei cortei tunisini, egiziani o brasiliani è sufficientemente indicativo di quale sia la portata politica di questo affacciarsi alle finestre della storia da parte delle nuove generazioni in una prospettiva transnazionale. Sembra forse scontato ma vale la pena ricordare come, per la nostra analisi dell’economia politica, ciò non sia frutto né di casualità né di semplici fattori di cultura globalizzata. Ancora una volta la chiave analitica va cercata nella struttura econonomico-sociale, nelle nuove definizioni dei rapporti capitale-lavoro, rendita-sfruttamento. Che poi è la declinazione contemporanea delle politiche di “espropriazione tramite austerity” che tagliano trasversalmente ogni livello di governance e investono pubblico e privato lasciando spazio a tagli, lottizzazioni, lobbies, privatizzazioni. Così non si può che “ri-associare” pratiche, linguaggi, rivendicazioni che accomunano movimenti apparentemente diversi. E allo stesso tempo ripartire da quei luoghi che per ultimi hanno saputo rappresentare spazi di massificazione, capaci di parlare lessici generalizzanti, dove si autoalimentano comportamenti individuali di per sé incompatibili. I luoghi della formazione certamente, ma anche piazze, strade, periferie: quelle vie dove si incrociano pervasività dei dispositivi di potere e potenziale del conflitto territoriale.
Sappiamo bene quanto i movimenti studenteschi e soprattutto universitari del 2008 e del 2011 non siano riusciti a esigere e conquistare uno spazio trasformativo e decisionale sostanziale ma, a fronte di milioni di giovani e meno giovani che al momento non riescono a vedere nella conflittualità sociale la strada per il cambiamento della loro vita, un’intera generazione arricchitasi e cresciuta nelle lotte studentesche di questi anni sta per affacciarsi al mondo del lavoro o dell’università. Si tratta di una generazione che, a differenza di quella precedente, non ha più neanche la speranza di inseguire il disfacimento del sistema produttivo tutto incentrato sull’alta specializzazione cognitiva nelle università di massa – come luoghi del disciplinamento e della riproduzione sociale – ma, in compenso, potrebbe avere tanta speranza e voglia di cambiamento di fronte alle misere prospettive di vita che gli si offrono. Fermiamoci qua, non dimenticando che anche quest’anno, i movimenti studenteschi, hanno fatto la loro parte.
Affrontiamo un altro aspetto: il lavoro. La crescita, tanto sbandierata dal governo della stabilità a tutti i costi, è fatta di selvagge deregolamentazioni che riducono e individualizzano il potere contrattuale dei lavoratori. Mosse come quelle che hanno visto confindustria e CGIL firmare l’accordo di rappresentanza che esclude dal tavolo di discussione chi non firmi lo stesso a prescindere, o il blocco dell’adeguamento e del rinnovo contrattuale degli statali rinviato al 2015, palesano come sia diventato impossibile un rinnovamento del capitale sulla crisi senza che questo passi dall’irrigidimento delle forme organizzative dello sfruttamento lavorativo. Controllare e organizzare la cooperazione sociale attraverso i luoghi della formazione e del lavoro precario non è più sufficiente a garantire né un’alta valorizzazione né, soprattutto, il controllo sociale. Nuove gerarchie di potere, di comando, di classe vanno ristrutturate e imposte e offrire bassi salari e flessibilità in uscita a investimenti di grandi capitali, non è solo un modo per l’apertura di nuovi mercati, ma è soprattutto il metodo con cui le governance difendono e riproducono lo status quo. Ci troviamo sempre più ad affrontare cioè, un capitalismo predatorio che, a fronte di raggiunti limiti espansivi, ricalibra la sua accumulazione e valorizzazione dando enorme centralità all’abbattimento dei costi e allo sfruttamento del lavoro. Quell’inclusione differenziale che è stato il perno organizzativo del comando finanzcapitalista, comincia fortemente a scricchiolare.
In una fase congiunturale di questo tipo, assolutamente non indenne da un tessuto sociale che esprime una conflittualità ben viva, ma disarticolata e frammentata, nuovo spazio conquistano anche bisogni e desideri disattesi o, meglio ancora per ciò che riguarda la generazione di cui sopra, ancora tutti da voler/poter costruire. Non si tratta più di difendere una posizione lavorativa o di aspirare a un dottorato di ricerca all’università, si tratta di lottare per una vita dignitosa, per un’idea diversa di vita, che metta al centro dei processi decisionali chi questo mondo lo porta avanti quotidianamente in condizioni di sfruttamento umano e territoriale sempre più intollerabili e inaccettabili. E se i rapporti di forza appaiono comunque squilibrati in favore della controparte, di certo la crisi, strutturale o ristrutturativa che sia, continua ad essere per noi un’occasione.
Crediamo possa essere proprio questa generazione cresciuta a pane e lotta tra occupazioni, blocchi, manifestazioni di migliaia di persone a poter spostare la percezione comune ed è attorno alla questione reddito, come percorso di riappropriazione collettiva, non certo come soluzione individuale, che è possibile tentare di dare fiato e corpo a quelle esplosioni sociali che, se fino ad adesso hanno avuto una temporalità limitata alla rabbia del momento, dimostrano il potenziale dell’antagonismo sociale in questo paese. Un potenziale che probabilmente ha bisogno solo di essere organizzato perché i suoi effetti siano di radicale cambiamento. A poco serve idolatrare i processi rivoluzionari in corso in altre parti del mondo se non si ha la consapevolezza che questi sono frutto di sedimentazione e accumulazione di soggettività che da anni crescono politicamente nelle lotte.
Quale quindi il ruolo delle organizzazioni militanti? Proprio questo, la capacità di raccogliere dove accumulato e sedimentato, o di creare ex novo un’opposizione sociale che riesca a esprimersi in una dimensione collettiva in cui la disarticolazione capitalistica della lotta si riversi nella metropoli come coordinata spazio tempo di riappropriazione immediata. Ciò che manca in buona sostanza, di fronte ad un tessuto sociale in fermento, è la percezione che una conflittualità massificata possa cambiare radicalmente l’esistente e forse anche le sorti di questo sistema economico in evidente difficoltà nella ristrutturazione del suo potere.
Rilanciare l’autunno
E se certamente nessuno vuole che anche quest’autunno, che si aprirà carico di tensioni (promesse?), resti più tiepido di quanto sembri configurarsi in questo momento, è più che mai necessario porsi il problema non soltanto del consolidamento delle determinanti esperienze di autonomia che fin qui si sono date; serve scendere sul piano della scommessa politica radicale, di quello scatto in avanti senza cui diviene impossibile prefigurare qualsivoglia passaggio collettivo che superi la resistenza e la declini in forme di attacco. Intendiamoci bene su questo punto: non stiamo qui certo teorizzando la necessità di percorrere i “sentieri imbattuti” della rappresentanza: né sul locale né tanto meno riconfigurando un falso bisogno di riformismo sul quadro europeo. Siamo sempre più convinti infatti della necessità di contrapposizione reale tra la nostra visione di società (e di società politica) e quelle delle istituzioni governative; sentiamo urgente il bisogno di affermarla come praticabile, non mediabile, non migliorativa di un sistema che, seppur stia dimostrando di saper colpire e scalciare nonostante le difficoltà della fase, non dimentichiamocelo, sta colpendo a vista. Pensare che l’impasse si superi a colpi di liste elettorali o di fantomatiche costituenti (non di processi ma di ceto politico “civile”) è a nostro avviso miope, anacronistico e fuorviante.
Motivo per cui la ricerca di una progettualità autonoma, dei movimenti e dei bisogni reali diventa tema urgente e improrogabile; scommettere sull’autunno per innescare focolai di conflitto è il nostro orizzonte. Già da settembre ci aspettano i primi appuntamenti di lotta; seguiranno manifestazioni studentesche e appuntamenti nazionali. Con allo sfondo le lotte territoriali che tanti contributi stanno dando tanto sul piano dell’immaginario collettivo quanto sul piano pratico, appunto, dell’attacco agli avversari.
Non avendo ricette facili in tasca ma consapevoli che senza metodo, direzione e progetto nessuna strada potrà condurci oltre obiettivi appena minimi, la bussola non può che portarci ad indirizzare la rotta del conflitto sulla materialità dell’autunno e dei territori e su delle prospettive di più diffusa costruzione di contropotere.
Per discutere di tutto questo e scambiare delle chiavi di lettura del presente guardando all’imminente autunno e alla costruzione di una progettualità politica convochiamo quindi a Palermo una due giorni di discussione, dibattito e confronto il 7 e l’8 settembre presso il Centro Sociale Exkarcere.
Programma:
Sabato 7 Settembre:
h 16: tavola rotonda
h 19: cena
Domenica 8 settembre:
h 10: tavoli tematici di discussione
h 13: pranzo
h 15: assemblea plenaria conclusiva
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