Diamoci un taglio (visto dalla Baita)
di Nicoletta Dosio
Alcune immagini dall’altro capo del filo rosso di resistenza NO TAV che nella giornata del 23 ha ribadito la propria forza e l’irriducibilità della lotta popolare contro la grande mala opera.
La generosa difesa della Baita Clarea, da parte di un pugno di donne e uomini che hanno deciso di rimanere all’interno della cosiddetta zona rossa per impedire (o almeno documentare) arbitrii e danneggiamenti.
Il “cantiere che non c’è” che dalle prime ore del 22 è andato riempiendosi di armati, blindati, mezzi d’assalto; le centinaia di uomini in assetto antisommossa, usciti dal fortino per allargarsi intorno alla baita, attraverso i boschi, accompagnati dall’ insistente ronzare dell’elicottero.
La notte violentata dai fasci di luce delle torri-faro, cadenzata dai passi delle ronde.
E l’alba livida della mattina del 23, con il posizionarsi delle truppe lungo le reti del fortino, sul ponte e sulle rive del Clarea.
Verso le sette del mattino, dai cancelli sotto i piloni e alle vasche dell’autostrada, escono sferragliando le ruspe per spianare la via alla repressione. Il primo a cadere è il grande gazebo che per notti e giorni ha protetto i nostri turni alle reti, ed ha dato riparo ai digiunatori; poi sono gettati giù dal pendio i materiali delle barricate, lo scheletro del camper NO TAV bruciato dalle truppe d’occupazione il 27 giugno dopo la presa della Maddalena, la roulotte che aveva accompagnato e dato supporto alla costruzione della baita.
L’avanzare delle ruspe travolge le macchie dei noccioli e i giovani polloni dei castagni, schianta le chiome dei ciliegi che si protendono sul sentiero, sconquassa i muretti a secco e apre crepe nel fondo stradale a lose, costruito con perizia e fatica da coloro che per centinaia d’anni, in questi luoghi, coltivarono e protessero vigne e castagneti. Quando tace lo sferragliare dei mezzi, si possono sentire le voci del bosco ferito; l’acuminato trillo dei pettirossi ci dice il coraggio della vita che resiste, che neanche i loro veleni e la loro violenza riusciranno a spegnere.
Avvertiamo intorno a noi crescente tensione e nervosismo; intravvediamo sguardi ostili o assenti,come se dietro l’esibizione di muscoli ci fossero timore e insicurezza.
A un certo punto un graduato ci consiglia di mettere al sicuro le tende del piccolo campeggio lungo il Clarea: non può garantire sul comportamento di quelli che lui chiama i suoi “cani sciolti”…
La situazione è surreale come un inquietante sogno in cui ti senti insieme attore e spettatore impotente.
La mattina avanza lenta; dai telefonini ci giungono le notizie della manifestazione in marcia, delle reti tagliate.
Ci avviciniamo al Clarea: sappiamo che tra poco non saremo più una decina, ma decine di migliaia; abbiamo portato le bandiere NO TAV e il megafono per accogliere degnamente il popolo NO TAV che viene a liberarci. Intoniamo Bella Ciao.
Davanti a noi sul ponte e lungo il torrente, sta immobile la truppa schierata, In alto, tra i boschi, intravediamo il riflesso dei caschi blu e neri.
Il ronzio dell’elicottero si avvicina, poi diventa rombo e la sua sagoma compare nello spicchi di cielo che ci sovrasta…Ed ecco che il bosco e il greto del torrente si animano… spuntano le prime bandiere, si agitano mani, risuonano voci di saluto.
Rivivo le sensazioni del 2005: quella che ci sta venendo incontro è la stessa marea colorata che il 31 ottobre salì a dare aiuto e speranza al pugno di resistenti del Seghino, quella che l’8 dicembre scese dai pendii di Venaus e abbattè le reti del cantiere, scompigliando una partita che sembrava ormai giocata e mandando in fumo le certezze arroganti della lobby del TAV.
Anche questa volta le truppe hanno perso. Sono nipoti, figli, fratelli, amate figlie e sorelle coloro che ci abbracciano e ci fanno commuovere….
Il resto è storia documentata e ampiamente raccontata da immagini e parole.
Tra tanta gioia un dolore, il cerbiatto trovato dai manifestanti, con le gambe spezzate e ormai agonizzante, nei boschi sopra il Clarea: evidentemente, disturbato dalle ronde nella notte, aveva cercato di fuggire attraverso il bosco che, per queste creature tipicamente diurne, diventa col buio luogo di trabocchetti mortali.
La liberazione della Maddalena sarà vita e libertà non solo per gli esseri umani, ma anche per gli alberi, per gli animali cui le reti del fortino costituiscono barriere invalicabili sulla via verso l’acqua, verso i pascoli che sono loro da sempre.
cronaca di Nicoletta Dosio (da notav.info)
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