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Elezioni in Francia: a che punto è la notte

Le elezioni francesi hanno confermato l’ascesa della destra del Rassemblement National e la fine del regno incontrastato della Macronie. La borghesia francese è divisa tra chi vuole consegnare il paese nelle mani di Le Pen e co. per arginare le lotte sociali sempre più significative dell’ultimo decennio e chi spera di “normalizzare” il Nouveau Front Populaire e farne uno strumento per la continuazione del regime neoliberale, mentre i settori popolari polarizzati e divisi esprimono un voto di rottura dello status quo.

L’ormai ex primo ministro Attal alle 22 del 30 giugno ha tenuto il suo discorso facendo un laconico appello – al secondo turno – a mantenere il cordone sanitario contro l’estrema destra. Marine Le Pen e Jordan Bardella si sono presentati con brevi discorsi che avevano l’obbiettivo di rassicurare l’elettorato centrista, quello “contendibile” dopo i risultati significativamente polarizzati del primo turno, ed agitare il “pericolo rosso” rappresentato dal Nouveau Front Populaire. Jean Luc Mélenchon ha chiarito che la strategia della sinistra sarà quella della desistenza in ogni seggio in cui il Nouveau Front Populaire è arrivato terzo per evitare di consegnare ulteriori seggi alla destra. “Non un voto in più, non un seggio in più per il Rassemblement National”, ha insistito.

E sebbene Attal abbia fatto lo stesso invito nelle file macroniane c’è aria di liberi tutti: François Bayrou, politico centrista e fondatore del Movimento Democratico, sostiene che le rinunce dovranno essere valutate “circoscrizione per circoscrizione”, mentre Edouard Philippe, ex primo ministro e sindaco di Le Havre, fa appello a fare barriera sia contro RN, ma egualmente contro la LFI lì dove esprime propri candidati all’interno del NFP. Sono 301 alla fine degli scrutini i seggi dove potrebbe esserci una possibile triangolazione.

La scommessa di Macron di rilegittimarsi agitando il pericolo delle “estreme” si è rivelata totalmente fallimentare. Gli elettori e le elettrici si sono mobilitati, sì, ma con l’obbiettivo in ogni caso di farla finita con lo Status Quo. L’affluenza al voto è stata storica: 66,7% pari a 32.911.132 elettori, ben al di sopra del 47,51% registrato nel 2022. Un voto che mostra chiaramente tutte le linee di tensione si sono manifestate negli ultimi anni nel paese d’oltralpe. La sconfitta più significativa il raggruppamento di Macron la ottiene tra le fasce di reddito più basse dove raggiunge appena il 12% tra chi percepisce meno di 1250 euro al mese. Nella stessa fascia il Rassemblement National è al 38% seguito dal Nouveau Front Populaire al 35%. L’unica fascia di reddito in cui la Macronie supera la sua media complessiva è quella sopra i 3000€ con il 23%. Il voto proletario è evidentemente diviso, ma se il risultato del Rassemblement National dopo le elezioni europee era scontato, la performance del Nouveau Front Populaire ha rappresentato un segnale inaspettato dato il poco tempo in cui è stato messo insieme il raggruppamento. Se alla mobilitazione elettorale ha contribuito senza dubbio la paura di un governo di estrema destra come sappiamo bene dalle nostre parti questo rappresenta sempre meno un motivo di per sé considerato valido per recarsi alle urne. La stessa campagna elettorale del Nouveau Front Populaire non ha insistito solo sul tema del voto utile contro l’avanzata lepenista, ma ha costruito un programma sicuramente non esaustivo, ma che raccoglieva alcune delle istanze provenienti dai giovani, dai lavoratori e le lavoratrici che hanno lottato contro le riforme macroniane e dai quartieri popolari.

Qualche luce nella notte…

Non a caso il Nouveau Front Populaire ha raccolto voti nelle periferie di Parigi e delle métropole, nelle colonie e nel nord-ovest della Francia, dove i movimenti di lotta territoriali e Soulevements de La Terre sono più radicati. Le posizioni portate avanti da La France Insoumise o di sue parti in riferimento alle rivolte avvenute in seguito all’omicidio poliziesco di Nahel, rispetto alle lotte anticoloniali tanto in territori sotto il dominio francese quanto in Palestina ed il supporto ai movimenti ecologisti, se da un lato hanno fatto infuriare media ed opinionisti, dall’altro hanno costruito un’identità nuova della sinistra di rottura che si è mostrata come potenzialmente maggioritaria. Certo, non tutte le contraddizioni sono estinte ed il terreno elettorale è pieno di insidie, ma LFI ancora una volta ha confermato che la centralità politica non ha a che fare con il moderatismo, ma con la centralità dei temi ritenuti importanti dai settori sociali di riferimento.

E’ interessante notare come i movimenti antirazzisti e afferenti alla composizione degli “indigènes” della Repubblica abbiano esplicitamente affermato quanto la scelta di mobilitarsi per il NFP sia di natura tattica nell’immediata congiuntura politica e strategica rispetto a una prospettiva più di lungo respiro. Questo terreno è stato preparato in trent’anni di lotte, a partire dalla Marcia per L’uguaglianza e contro il Razzismo degli anni 80 ad oggi, la dialettica dei movimenti antirazzisti profondamente radicati nei quartieri popolari, ha strutturato le condizioni di un rapporto di forza tale per cui oggi a fare la differenza è il voto delle periferie, dei musulmani, delle persone razzializzate. Da un lato, è un dato importante la capacità politica di porsi in qualità di soggetto che conta in una Francia in cui i livelli del razzismo sistemico cercano di disarticolare questa forza, dall’altro è interessante vedere come sia evidente a sempre più strati di popolazione come dispositivi da sempre utilizzati per reprimere e disciplinare le periferie dell’impero ora vengano sempre più utilizzati per soffocare i movimenti sociali, in particolare dei giovani. Basti pensare alla misura della “dissoluzione” di una realtà politica che è da sempre stata utilizzata per i contesti legati all’islam politico e che oggi si applica ai movimenti ecologisti e di movimento. Ma anche ai livelli di controllo e ingerenza dello Stato, nella sua forma muscolare, che si estendono dalle colonie alla metropole. In quest’ottica è da sottolineare la potenzialità di questa fase politica come apertura di uno spazio di incontro possibile, di costruzione di reti e di alleanze nuove che abbiano l’obiettivo di tradurre nella pratica quotidiana un reale sbarramento all’estrema destra. E’ chiaro come un rapporto di dialettica così addentro alle dinamiche istituzionali è possibile in Francia per una effettiva sopravvissuta credibilità del personale politico in campo e delle sue strutture. Sicuramente uno scenario inimmaginabile in Italia, se a qualcuno venisse voglia di fare paragoni.

Secondo un sondaggio Toluna Harris Interactive, il 41 per cento degli elettori francesi di età compresa tra 18 e 24 anni hanno votato a sinistra, per le Nouveau Front Populaire, il 23% ha invece il RN e i suoi alleati. Fedeli a Emmanuel Macron sono rimasti il 13% dei giovani elettori, che hanno votato per Ensemble pour la République, mentre l’8% ha optato per i repubblicani. Dati sostanzialmente identici per la fascia di età appena più alta, dai 25 ai 34 anni, come spiega il sondaggio. Nel 2017 i risultati furono molto diversi. Secondo Ipsos e Sopra Steria, il neoeletto presidente della Repubblica Macron e il suo partito La République En Marche avevano attirato il 32% dei giovani tra i 18 ei 24 anni.

E’ evidente che i giovani, insieme alle donne (che hanno votato il Fronte Popolare per il 29% a differenza degli uomini al 27%), rappresentano ormai una forza trasformativa che ha attraversato diversi cicli di movimento e sente sempre più forte la necessità di un cambiamento della società. Allo stesso tempo una parte, difficile stabilire quanto grande, di classe che si è mobilitata o ha guardato con interesse ad altri importanti cicli di lotta come quello dei Gilets Jaunes, quello contro la riforma delle pensioni ha probabilmente contribuito all’ascesa del RN se si guarda alle dinamiche del voto. La distribuzione geografica lo evidenzia con il partito di Marine Le Pen che è avanti al Fronte Popolare di 8-10 punti quasi ovunque tranne nelle città sopra i 200mila abitanti. Il conflitto tra città e campagna è un tema ancor più classico in Francia e largamente dibattuto. Ma le lenti novecentesche con cui questo dibattito si guardava erano quelle delle grandi città operaie da un lato e le campagne contadine dall’altro. Se mai questo tema è stato completamente vero ciò che la rivolta dei GJ ha mostrato è che le dinamiche geografiche delle catene del lavoro oggi sono diverse e più complesse.

E adesso?

Il secondo turno sarà un’ulteriore fattore di decomposizione della compagine liberale, tra chi si consegnerà mani e piedi a Marine Le Pen per tutelare i propri interessi di classe e chi aderirà poco convintamente al blocco repubblicano sperando che le contraddizioni interne al Fronte Popolare e la permanenza di Macron all’Eliseo permettano di mitigare le riforme sociali nel programma elettorale. In ogni caso sarà difficile che Macron riesca a rappresentare in questa nuova fase una presidenza della Repubblica autorevole: RN ha già fatto capire che non si farà dettare l’agenda e nei palazzi della Macronie è tutto un fuggi fuggi. E’ possibile, forse probabile, che si arrivi ad una condizione di ingovernabilità se una delle due parti non riesce a conquistare una chiara maggioranza assoluta.  Bardella ha già fatto sapere che non intende governare se non avrà da subito una maggioranza. In quel caso Macron potrebbe nominare un primo ministro che opererebbe come una sorta di ‘traghettatore’ prima di tornare nuovamente alle urne, ma comunque non prima di giugno 2025. Dunque un corridoio stretto, ancora una volta per tenere in piedi il baraccone, una forma di temporeggiamento che rischierebbe di precipitare la Francia nel caos totale e che naturalmente, viste le tendenze generali, non sortirebbe l’effetto sperato.

Nel caso in cui la destra invece vincesse la maggioranza assoluta è evidente che si assisterebbe ad uno scenario politico simile a quello dell’Italia, ma più duro ed esplicito, dato che i livelli di mobilitazione sociale nel nostro paese sono al minimo storico al confronto con la Francia. Con Trump pronto a tornare alla Casa Bianca non ci sarà neanche bisogno di chissà quale genuflessione atlantista e anche dell’europeismo recalcitrante da subalterni che la Meloni ha messo in scena in questi anni. Quello di Bardella potrebbe essere a tutti gli effetti la concretizzazione di un salto di qualità di quanto già implicitamente portato avanti da Macron cioè un neoliberismo autoritario. E’ probabile che questo quadro esacerberà le tensioni tra Francia e Germania (con uno Scholz debolissimo) e un quadro europeo in ulteriore disfacimento.

La variabile significativa sarebbe quella delle piazze: in Francia in questi anni si è solidificato un contesto di conflitto sociale trasversale. I sindacati francesi rappresentano ancora una forza in grado di mobilitare, ma soprattutto i movimenti sociali, i quartieri popolari e le colonie sono consapevoli di quale costo dovranno pagare nel caso in cui il RN vincesse la maggioranza assoluta. E’ probabile che si espanda la politicizzazione di alcuni settori sociali, è evidente, d’altro canto, che il primo obiettivo di Bardella sarà quello di disarticolare ogni forma di organizzazione sociale che produca un qualche tipo di antagonismo. Il grado e le forme che potrebbe assumere questo scontro sono imprevedibili, perché non dipendono solo da fattori di politica interna, ma dal quadro economico, sociale e politico-internazionale.

Infine esiste la possibilità che si affermi di misura il Fronte Popolare, una possibilità niente affatto scontata nonostante la grande mobilitazione elettorale che ha attivato per quanto esposto sopra. In tal caso è probabile che Macron proverà a giocare un ruolo più importante, magari facendo sponda su quelle parti del rinato Partito Socialista che già oggi mal digeriscono la convivenza con LFI. Il rischio concreto è che sorga un governo debole, posto sotto il ricatto delle rotture interne o delle mediazioni al ribasso. Solo se LFI riuscirà ad imporre delle rigidità chiare su alcuni temi ed utilizzare questa finestra di governo per rafforzare la dialettica con i movimenti sociali, con i quartieri popolari e con quei settori di proletariato che ad oggi si sono orientati verso il RN allora si potrebbero dare dei passaggi interessanti. Solo se le piazze continueranno a mantenere una dinamica di mobilitazione significativa e non si accontenteranno di delegare ai rappresentanti eletti allora la Francia potrebbe rappresentare un laboratorio interessante per il nuovo che deve nascere.

Vedremo… La notte e buia, ma qualche stella con cui orientarsi ancora risplende.

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