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I sogni di Renzi? I nostri incubi

Nel profluvio di parole che hanno accompagnato il suo intervento alla convention democratica di sabato scorso, Renzi ha buttato lì anche due frasi sibilline, passate nel disinteresse generale ma che dovrebbero invece far riflettere bene e illuminare anche gli sbadati su quelle che sono le sue intenzioni di ”riforma” più vere e profonde.

En passant, tra un attacco a Mineo e un’autocelebrazione per il 40%  di voti incassati alle europee (ribadito dalla gigantografia che lo sovrastava a mo’ di novello Citizen Kane) ha ricordato che lui ha tanti amici finanzieri, tanti investitori pronti a metterci i soldi che gli chiedono quando potranno investire  e soprattutto: ma le fate queste riforme o no?

Già l’approccio e l’ordine del discorso la dicono lungo sugli amici e gli interessi che Mr Renzie favorisce. Nei giorni scorsi era emerso – tra le altre poco allegre notizie – che Mr. Soros tramite gruppi finanziari da lui e soci controllati ha intenzione di fare incetta del patrimonio immobiliare pubblico del Belpaese (mentre si licenzia un Piano Casa infame e si comminano galera e impedimenti per quanti occupano).

La pressione per l’applicazione celere di nuove “riforme” strutturali – versione europea soft dei Programmi di Aggiustamento Strutturale con cui il Neoliberismo fu imposto ad Asia, Africa e America Latina fin dagli anni Ottanta (collezionando successi e fallimenti a seconda del grado di resistenza opposto dalle popolazioni e dai territori) – ha fatto capolino lo stesso giorno in un’intervista uscita su La Stampa ad uno dei consiglieri finanziari di Obama, Mohamed El-Erian (fino a tre mesi fa a capo del colosso finanziario Pimco, oggi consulente del gigante delle assicurazioni Allianz).

Cosa diceva il nostro al giornale di casa Agnelli? Ribadiva sostanzialmente la necessità già espressa dal presidente del consiglio di avviare celeri riforme … di cosa? Non lo spiega, basta che siano “strutturali”: cioè profondi cambiamenti nella regolazione del diritto del lavoro, dell’istruzione, delle possibilità di privatizzazione e mercatizzazione della vita e delle risorse. Tradotto in termini comprensibili ai più vuol dire facilitare il formarsi repentino di grosse ricchezze private tramite la speculazione finanziaria sulle ricchezze pubbliche rimaste “inutilizzate” da rendere “produttive” regalandole ad amici di amici che ne faranno merce da vendere al dettaglio, arricchendosi a nostre spese su beni e proprietà che dovrebbero essere di tutti e tutte. Non manca l’avvertimento (del resto fondato): “l’Italia deve capire che la reazione positiva dei mercati in questi ultimi mesi non è un buon indicatore di quello che accadrà nel prossimo futuro”.

Ma tra le perle che escono dall’intervista si scorge anche un pezzo della strategia a stelle e strisce sull’Europa e i suoi equilibri/squilibri finanziari: il problema italiano, dice, è continuare a “essere una voce della ragione nei dibattiti europei… tra chi vuole più spesa ma non ha fondi, come i Paesi mediterranei dell’Ue e chi invece ha il portafoglio pieno – è il caso della Germania – ma non vuole spendere”.

La Finanza a stelle-e-strisce (e “transnazionale”) folgorata sulla via di Damasco comprensiva verso il buen vivir del Sud Europa? Niente di tutto questo! Le dichiarazioni confermano semplicemente quanto abbiamo più volte indicato: accanto alla lotta verticale tra austerità e resistenze proletarie (esplicite o intrinseche che siano) in questa crisi si combatte anche una battaglia orizzontale di geopolitica finanziaria tra Stati Uniti e Europa a direzione tedesca. La “mano larga” americana e le pressioni per una politica di “crescita” in Europa puntano solo a evitare l’autonomizzazione dell’Euro tenendo il vecchio continente, già percorso da fratture e derive disgregatrici, sotto il continuo ricatto di attacchi speculativi.

Così Washington, salvo imprevisti, sembra aver trovato il suo cavallo: il governo Renzi. Non solo in generale per far archiviare le politiche del rigore!? Ma anche per spingere l’acceleratore sul Trattato di partnership transatlantico nei sei mesi della presidenza italiana Ue e portare l’Europa alla rottura con Mosca sul piano delle politiche energetiche. Se confermata la notizia sull’interruzione della costruzione di South Stream ne è un’ulteriore riprova.

Alle classi subalterne il difficile compito di reggere una battaglia su differenti fronti, contro chi chiede sacrifici in casa e parallelamente contro le ingannevoli offerte di chi – sull’uscio –  offre qualche caramellina per poi prendersi tutta la torta. Tra queste false alternative l’unica strada giusta da percorrere, con tutte le difficoltà del caso, è quella della lotta, consapevoli che le partite si giocano sulle nostre teste anche in assenza di grossi scontri visibili e riconoscibili, comunque sotto traccia o in preparazione. Prima o poi, tra promesse e sparate, questo governo dovrà affrontare il residuo di garanzie keynesiano-fordiste che ancora cova nel paniere delle classi medie del pubblico impiego nostrano e, sub forma di ammortizzatori, in parte anche del lavoro industriale, che per ora, ironia della sorte, hanno riservato all’ex-sindaco di Firenze una riserva di voti e consenso che questi prima o poi dovrà spendere contro di loro. (A meno di un progressivo disfacimento dell’intero quadro italico, come le inchieste sulla “corruzione” peraltro sembrano far intravedere).

Per quel che ci riguarda, dovremo comunque attrezzarci non solo a mettergli il bastone fra le ruote ma a preparare una risposta che partendo dalla lotta all’austerity sappia non fermarsi a questo terreno ma rilanciare la lotta al debito, per la riappropriazione di beni d’uso collettivi, per la ricostruzione di legami e attività comuni. Noi la crisi non la paghiamo non per accontentarci di una manciata di euro o dollari che siano, ma perché cerchiamo e vogliamo un mondo.

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