La guerra di Mattarella
Il presidente della repubblica Sergio Mattarella nel suo discorso di fine anno, fra altre frasi di circostanza, chiama al voto i diciottenni. Mattarella, probabilmente consapevole dell’elevato numero di giovani sfiduciati dalla politica istituzionale, nel suo discorso di fine anno ci ha tenuto a ricordare ai diciottenni di partecipare alle elezioni. “I vostri coetanei 100 anni fa erano in guerra e voi state andando al voto e vivendo il più lungo periodo di pace dell’Italia”.
Insomma, il presidente della Repubblica inaugura le danze della moralizzazione dei giovani: i giovani devono andare votare per dovere civico e ricordarsi che sono fortunati a non essere sulle trincee.
Una preoccupazione ben riposta verso la diserzione giovanile delle urne. Ieri i sondaggisti de La Stampa gli facevano eco preoccupati: il 70% dei giovani non pensa di andare a votare.
Ma il vecchio Sergio si sarà mai veramente chiesto il motivo per cui i giovani non vanno a votare? Forse sì, e la risposta che si è dato la rispolvera anche nel suo discorso. “I giovani vivono nella trappola dell’eterno presente che oscura l’avvenire”. Il solito discorso da vecchi tromboni. Lo stesso discorso che ci ha in passato definiti, con un consenso degno della migliore concordia istituzionale, “choosy”, “bamboccioni” o “pistola”.
I giovani al futuro ci pensano anche troppo. Tra stage gratuiti, tirocini infiniti ed “esperienze-che-fanno-curriculum” vivono letteralmente proiettati nel futuro e sacrificano ogni giorno il proprio presente per avere un briciolo di garanzia che sapranno almeno come campare. Nel frattempo i governi masticano formule contro la disoccupazione giovanile come un vecchio chewing-gum indurito: la disoccupazione giovanile in Italia è al 35,1%.
Avanziamo un’idea al caro Sergio: e se a non far andare al voto i giovani non fosse il disinteresse ma la consapevolezza della natura falsa e ipocrita di questa politica? Della fondamentale inutilità del voto davanti a politiche che si susseguono sempre identiche? Della percezione il teatrino a cui partecipano tutti, da Casa pound al PD, non siano altro che una messinscena per contendersi i soldi dell’incasso e un palcoscenico vuoto?
Qualche giorno fa è stato firmato lo scioglimento delle Camere e del Senato con il più alto tasso di trasformismo di sempre. Ci sono stati 528 cambi di gruppo parlamentare da parte 339 parlamentari.
Anche quando c’è stata una presa di posizione forte come all’ultimo referendum costituzionale, in cui sono stati per la maggioranza proprio i giovani che hanno votato No, ci si è ritrovati con un governo formato dagli stessi ministri del governo precedente e ora ci si ritrova Renzi candidato Premier.
Queste persone, ma cosa ne sanno dei giovani, di quello con cui ci tocca vivere ogni giorno? Eppure siamo sempre noi: abbiamo esuberi di qualifiche che non sappiamo neanche dove metterle, fuggiamo dall’Italia con la speranza di trovare qualcosa di meglio, sogniamo un reddito e l’autonomia dalle nostre famiglie, sogniamo la possibilità di scegliere cosa fare, sogniamo le ferie e una borsa di studio per l’università e per ogni cosa dobbiamo ringraziare. Dobbiamo ringraziare, è quello che sottintende anche il presidente Mattarella. Ma per cosa dovremmo ringraziare? E noi saremmo quelli che non sono proiettati nel futuro?
Ormai nessun politico si preoccupa più neanche di fare ai giovani qualche promessa elettorale che poi non rispetterà. In Italia la popolazione è così vecchia che non sarà qualche migliaio di giovani a garantirgli una poltrona politica.
Da parte nostra, nessuna nostalgia, nessuno ode alla partecipazione, nessun appello all’inclusione. La (loro) politica oggi è marcia e il fatto che i giovani se ne tengano alla larga rappresenta il sintomo di una minima presenza al mondo, una minima igiene generazionale. Non è anche il riflesso del disimpegno? Certo ma non contate sui di noi per moralizzare i nostri coetanei di preferire all’urna il leggere un libro, guardarsi una serie o anche solo andarsi a ubriacare con gli amici per riprendersi un po’ di tempo libero (e magari staccare un po’ dal “futuro”).
Qui fuori ci sono generazioni intere che cercano una nuova maniera di stare al mondo perché gli è stata levata la possibilità di stare nel vecchio. Il cambiamento, se ci sarà, sarà politico. Ma non passerà dalla politica.
Di ricordarci che a diciotto anni si può votare è il poco che avevano da dire giusto per non restare in silenzio.
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