La parabola del rottamatore rottamato
E alla fine, Renzi salì al governo. Ma l’approdo a Palazzo Chigi dell’enfant prodige della nostra controparte tradisce una serie di problemi, che complicheranno non poco la tenuta della sua immagine rinnovatrice dello stantio panorama politico italiano. Il capitale simbolico che doveva sloggiare sull’onda del sostegno popolare il vecchiume ben impersonato dal governo Letta. Il trucco giovanile sopra le guance della vecchia politica si scioglie subito sotto i colpi delle lacrime interessate dei poteri forti della finanza, che necessitavano sì un’accelerazione dell’agenda di governo..ma sul piano del saccheggio nei confronti dei subalterni.
Il fatto che Renzi sia il terzo premier consecutivo a non essere legittimato da un voto popolare – per quanto possa essere per noi un qualcosa di trascurabile, essendo da sempre impegnati nella costruzione dal basso di programma politico e soddisfazione dei bisogni – è un dato significativo per quella fetta dell’elettorato che vedeva in Renzi qualcosa di nuovo, è un brusco ritorno alla realtà che aggiunge una nuova dimensione alla crisi della rappresentanza partitica.
Disaffezione nei confronti della classe politica che si fa evidente è in Sardegna, con un meno 15% di dato elettorale e una legittimazione popolare di fatto nulla della nuova giunta regionale. Ciò ai poteri forti ovviamente importa il giusto (negli States si vota da anni con precentuali ancora e ancora inferiori); sia perché di fatto l’arroganza con la quale i poteri forti della finanza ha raggiunto un punto di non ritorno, sia perché evidentemente, leggi elettorali truffa a parte, sanno benissimo che dal voto ben poco avrebbero da ottenerne sul piano della legittimità.
Tornando al boyscout divenuto premier. Si brucia dopo Grillo l’ultimo baluardo di quella parte del sistema che premeva per un rinnovamento politico, quantomeno sul piano della forma: a vincere sono invece gli interessi dei poteri forti (UE ma anche USA) che sfidano cosi frontalmente ogni parvenza di democrazia formale e cancellano quell’etichetta di rottamatore della vecchia politica che Renzi si era costruito in anni di strategia: scaraventandolo immediatamente a simbolo della continuità delle pratiche di palazzo della casta.
Una realtà che di nuovo invece qualcosa ha, ovvero lo sbarco anche qui in Italia di un governo pienamente ancorato ai quei principi-guida dell’Unione Europea. Principi che erano costantemente attaccati dall’Italia guidata dall’anomalia berlusconiana e dalle sue peculiari forme di razzia delle risorse, e che vengono ora messi al centro delle “necessarie” riforme da portare avanti. Non a caso una dei primi dati riguardo le nomine del governo Renzi è la conferma – graditissima a Bruxelles – dell’ex-FMI Cottarelli a capo dei processi di spending review e quindi, come abbiamo imparato in questi mesi, della mannaia sociale.
Il dato sardo e la crisi della rappresentanza più in generale ci mostrano evidente il fatto che non ci si può però più esimere dal dare qualche contentino al “popolo”, se si vuole pensare di poter avere un minimo di appeal elettorale: Renzi vede il job act, la moderatissima unificazione delle tipologie contrattuali e l’introduzione di qualche forma di reddito garantito appunto come questo contentino, da approvare mentre si elimina, tramite riforme costituzionali, di ogni impalcatura della democrazia formale (vedi legge elettorale iper-bipolarista che sarà la prima riforma del nuovo governo).
Modello scandinavo quindi nelle relazioni capitale-lavoro, all’insegna di quella flexsecurity che dovrà eliminare le (poche) tutele residue per i lavoratori del nostro paese in cambio di un reddito minimo di sussistenza, insufficiente però, come ovvio, a svincolare dalla morsa asfissiante della precarietà e del ricatto capitalistico. La differenza è che però nel modello scandinavo sono tuttora presenti prestazioni sociali nel campo del welfare che invece in Italia sono sempre più messe sotto attacco dall’austerity di Bruxelles.
E’ una tendenza che su scala globale si sta dando all’interno della geografia sociale dell’Occidente, trasformato da questi anni di crisi: come leggere altrimenti anche i provvedimenti del nuovo sindaco di New York De Blasio, consistenti nella concessione di cittadinanza a centinaia di migliaia di afroamericani e ispanici, nel lancio di un nuovo piano di opere pubbliche, nell’innalzamento dei salari minimi, se non come mosse tutte giocate a contenere la stabilità sociale ristrutturando allo stesso tempo l’economia ai tempi della “globalizzazione di ritorno”?
Su questo grande tema crediamo si giocherà la partita politica renziana: riuscire, in un contesto in cui Fiscal Compact e vincoli europei di varia natura impediscono alcuna libertà di movimento su scala nazionale, a portare riforme all’insegna dell’austerity tenendo allo stesso tempo a bada la tensione sociale che sembra sempre più innalzarsi all’interno del nostro paese.
Senza dubbio in questo contesto la questione sindacale assume grande importanza. Anche in questo campo assistiamo ad una forte polarizzazione degli interessi in campo, con un modello nuovo di relazioni industriali e sindacali che hanno come primario obiettivo quello di espellere il conflitto da ogni tipo di scenario. I fatti della scorsa settimana a Milano, con l’agggressione ai danni di Cremaschi da parte del servizio d’ordine della CGIL, fanno ben vedere la completa ristrutturazione del sindacato confederale sulla base dell’appoggio incondizionato a Renzi e alle volontà del grande capitale finanziario.
Se il sindacalismo conflittuale sarà in grado di proseguire il suo percorso all’insegna della ricerca della proficua relazione con i movimenti sociali, facendo sponda con questi come avvenuto nelle giornate del 18-19 ottobre e guardando verso il 12 aprile, se ne potrebbero vedere delle belle…
L’errore più grande che si potrebbe fare in questa fase sarebbe cadere in uno dei mille specchietti per allodole che il governo Renzi disseminerà durante il suo percorso. Un’attitudine conciliante e progressista (ma sempre ai fini di riproduzione dei dispositivi di accumulazione!) sul piano dei diritti civili si accompagnerà ad un attacco fortissimo sul tema dei diritti economici e sociali.
E’ sul piano del conflitto, dell’attacco alla gestione di parte delle risorse pubbliche, della rottura dei meccanismi di governance dell’UE che si giocherà la grande sfida tra movimenti e nuova controparte; altro atteggiamento, improntato alla mediazione o ad ottenere “ciò che si riesce” non porterebbe ad altro che ad un endorsement implicito a questo governo.
Ciò sarebbe gravissimo, perché il piano della repressione del conflitto non sarà di certo assente dal governo Renzi. E’ presto per dire se gli arresti della scorsa settimana sono un benvenuto del governo ai movimenti, ma senza dubbio la pace sociale, ordinata da Bruxelles in vista dei nuovi salassi, dovrà essere contrastata da un Renzi che dall’alto dei suoi modi arroganti non sembra intenzionato a lasciare tanta voce ai suoi critici. L’approfondimento della crisi della loro legalità, accompagnato dal nostro necessario mettere enfasi sulla legittimità del conflitto e delle forme di riappropriazione di reddito che si stanno portando avanti in questo paese accompagneranno senza dubbio alcuno i prossimi anni dell’Italia commissariata.
Nel convegno appena tenutosi a Bologna, i temi della resistenza a questa fase di ristrutturazione della controparte sono stati sviscerati a partire dalla singolarità di ogni vertenza territoriale, di ogni ragionamento su una particolare istituzione della controparte, di ogni forma di resistenza al saccheggio dei territori e/o della dignità delle persone. Un filo rosso va cercato nella costruzione di una soggettività altra, che si forma nelle lotte e nell’opposizione irriducibile ad ogni tentativo di pacificazione sociale in nome di qualche briciola. Il caso dell’Expo di Milano, con le migliaia di volontari assoldati a costo quasi nullo ci mostra il ricatto impersonificato da Renzi: qualche briciola ai nuovi e vecchi poveri, in cambio di un sostegno al progetto di ricostruzione dei margini di profitti di pochi.
Non ci staremo sin dal primo giorno.
Maria Meleti
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