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La selezione (in)naturale della scuola del Merito

MERITO: dal latino “merere” (guadagnare, ottenere), essere degno di lode, di premio, o anche di un castigo e indica il diritto che con le proprie opere o le proprie qualità si è acquisito all’onore, alla stima, alla lode, oppure a una ricompensa (materiale, morale o anche soprannaturale), in relazione e in proporzione al bene compiuto.

Basta una semplice definizione, facilmente reperibile da un dizionario, per esemplificare la concezione che ha della scuola l’attuale governo a guida Meloni. L’istruzione rappresenta la ricompensa che gli studenti e le studentesse ottengono in relazione e in proporzione all’impegno e all’investimento che l’istituzione scolastica stabilisce debba essere dimostrato, determinando a chi e come debba essere concesso il diritto allo studio.

Insomma, la favoletta che l’Occidente ci racconta per renderci grati di essere nati e cresciuti in un sistema politico democratico e civile che ci garantisce una serie di diritti innati per il solo fatto di aver avuto natale su questa terra benedetta da Dio, a differenza di quegli Stati arretrati, brutti e cattivi e un po’ esotici; si sgretola velocemente dinnanzi ai termini che vengono attributi al diritto allo studio. Tu questo diritto te lo devi guadagnare attraverso la condotta che dimostri.

E non finisce qua

Perché, non solo non si ha diritto ad una formazione di qualità se non si viene ritenuti meritevoli, ma non si potrà avere tanto meno il diritto a percepire dei sussidi da parte dello Stato se non viene portato a termine l’obbligo scolastico.
Insomma, ultimamente le istituzioni hanno tacciato ripetutamente gli studenti di “vivere di dirittismo” in risposta alle mobilitazioni contro il rincaro delle mense universitarie, ma noi qua di diritti garantiti ne vediamo ben pochi. È un dovere anche avere un diritto.

Dal momento che la notizia della rinomina del ministero ha avuto il previsto scalpore, il ministro Valditara è stato chiamato a spiegare più nel dettaglio quali sono le intenzioni che hanno indirizzato il governo nella scelta di tale denominazione. La risposta è stata, tanto prevedibilmente, contradditoria. Citiamo testualmente: “Il merito è un valore fondante della nostra costituzione – afferma il Ministro Valditara – esso, infatti, è connaturato all’esigenza primaria di assicurare l’eguaglianza sostanziale dei cittadini ed è chiaramente affermato dall’art. 34 della nostra Costituzione con particolare riferimento all’istruzione. È compito della scuola individuare, valorizzare, far emergere i talenti e le capacità di ogni studente e studentessa indipendentemente dalle proprie condizioni di partenza, affinché ciascuno possa conseguire il pieno sviluppo della persona umana. È da questa consapevolezza che nasce la sfida del merito, che dà sostanza alla parola istruzione, coinvolgendo prioritariamente le studentesse e gli studenti con i loro talenti e le loro vocazioni”.
Più che un chiarimento, queste dichiarazioni sembrano rappresentare un ossimoro in piena regola. Non è chiaro come si passi dalla premessa per cui c’è bisogno di un sistema scolastico più equo nelle opportunità che fornisce agli studenti e la necessità di utilizzare il paradigma del merito per soddisfare questa urgenza.

Forse possiamo chiarirci ulteriormente le idee andando ad apprezzare altre illuminanti proposte esposte da Valditara nella tournée di conferenze a cui ha preso parte dall’inizio del suo mandato. Infatti, ciò di cui ci parla è sostanzialmente di un’organizzazione scolastica a carattere selettivo che si basa su una diagnosi di compatibilità rispetto al “tipo di intelligenza” dimostrata dall’alunno negli anni delle scuole medie, un grado di istruzione che rappresenterebbe, dunque, più un setaccio che una possibilità di approfondire dei saperi nella prospettiva di imparare a conoscere i propri interessi in materia di studio. Nel pratico, la proposta consiste nel disporre ogni scuola media inferiore di un docente tutor che spiegherà a quegli alunni che non sembrano essere portati il perché “non è opportuno” proseguire negli studi liceali se non si è all’altezza, perché tale percorso porterebbe alla certa disoccupazione. Sarebbe più adeguato prendere in considerazione magari un percorso tecnico-professionale che porterebbe verso una strada di sicurezze economiche ed occupazione (se lo dicono loro!). La scuola ha compiuto definitivamente il suo legame indissolubile con il lavoro, potremmo definirlo un rapporto simbiotico, non c’è l’una senza l’altro, non esiste per costoro un’idea di formazione che sia autonoma dagli interessi del capitale. Lo studente non è una soggettività in trasformazione ma una moneta di investimento. È lo stesso ministro a definire “costruzione in filiera” il potenziamento dei percorsi di studio tecnico-professionali, durante un’intervista in cui espone gli obbiettivi primari del governo. Filiera è precisamente l’insieme dei settori produttivi delle relative imprese coinvolti nella realizzazione di una determinata produzione.

Dai ma non facciamone una tragedia! C’è spazio anche per “gli scemi”, non si butta via nulla! A patto che non diventiate un peso per lo Stato, a quel punto è meglio farsi il segno della croce perché il treno del merito passa una volta sola e per i ritardatari resta un’esistenza di precarietà e punizioni.

Questa è Sparta!

Nonostante questo governo voglia vendersi come l’elemento inedito, più approfondiamo l’analisi, più sembra invece che ci sia assoluta coerenza con i piani e le agende adottate dai governi antecedenti. La deriva che sta prendendo il modello Gentiliano del neo-governo più che un ritorno al passato, sembra invece un prodotto politico in perfetta continuità con le grandi riforme che la scuola ha subito. Dalla riforma Gelmini, a cui il nostro caro ministro ha partecipato in veste di relatore, alla “Buona Scuola” di Renzi. Abbiamo di fondo un disegno efficientista che porta la firma di Confindustria, a cui Valditara non ha disatteso una strizzatina d’occhio agli albori del suo mandato. Tanto per chiarire le cose.

Valditara si guadagna una gradita pacca sulla spalla da parte di Brugnoli (vice-presidente di Confindustria per il Capitale Umano) dialogando sulla prospettiva d’interesse comune che riguarda la scuola. “Tornare al merito – afferma il ministro – è necessario per superare il gap competitivo in cui versano gli istituti tecnici a livello internazionale”. Questa è di certo una priorità!

Di nuovo, non è una novità l’alleanza tra l’unione degli industriali e il ministero dell’istruzione, tant’è che le mobilitazioni studentesche nate dopo le morti degli studenti durante l’alternanza scuola-lavoro, hanno individuato proprio in Confindustria un nemico contro cui costruire contrapposizione e all’oggi ci sono ancora quattro studenti che continuano a pagare con i domiciliari da più di sei mesi, il fatto che le mobilitazioni abbiano espresso la volontà di avere un’istruzione libera dall’egemonia di Confindustria e, in generale, libera dal predominio della logica di profitto che erode quotidianamente la possibilità di un’istruzione di qualità.

Sul reddito di cittadinanza.

“E’ moralmente inaccettabile” dare il reddito di cittadinanza a chi ha lasciato “illegalmente” la scuola. O a chi, con un diploma, non lavora o non si forma: “Significherebbe legittimare e addirittura premiare una violazione di legge”.
A quanto pare la dispersione scolastica è uno di quei temi che, all’evenienza, possono cambiare continuamente attributi. Quando serve a dire che si sta investendo in progetti contro l’abbandono scolastico, che vengono imposti dal PNRR è un “preoccupante fenomeno sociale che le istituzioni dovrebbero prendere in carico seriamente” (vorremmo poi capire meglio in cosa consistono questi progetti in cui si investe ciclicamente), quando serve a dire che i giovani sono tutti fannulloni è una dimostrazione come un’altra che la generazione Z è composta da inetti senza aspirazioni, quando c’è da fare campagna elettorale è il prodotto del fallimento del governo precedente, ma quando c’è da sostenere la dichiarazione di guerra ai poveri e la distruzione del welfare state è invece non solo una colpa ma un reato, e va punito duramente. Non è accettabile che i sussidi statali vengano barattati ai livelli di scolarizzazione dei cittadini, tanto meno ad altri elementi che qualificano l’individuo agli occhi dello Stato. Tra l’altro si parla, de facto, di un cane che si morde la coda, la povertà che diminuisce le possibilità di un accesso allo studio che sia poi continuativo e costante. Uno stato di disagio economico che, per altro, è ben difficile superare in questo Paese e che, salvo casi fortuiti, sarà un fardello permanente. Dunque, ad essere coerenti con la tesi del merito, la povertà è una scelta. Sempre Valditara sostiene, infatti, che tra i giovani percettori di RdC vi sono perlopiù Ragazzi che preferiscono ricevere il reddito anziché studiare e formarsi per costruire un dignitoso progetto di vita”. È chiaro che questa politica ha una visione oltremodo distorta della vita che la gente comune conduce. Non c’è contezza di quanto i servizi, di qualsiasi genere, siano sempre più inaccessibili e distanti dalle reali necessità materiali di famiglie e singoli cittadini. Questo dovrebbe preoccuparci parecchio.
Siamo solo agli albori della più temibile crisi sociale dei giorni nostri e vediamo sottrarci pezzi di servizi, quotidianamente. Permettere al governo di fare economia sulla pelle di persone che arrancano ad arrivare al 15 del mese equivale a firmare una dichiarazione di morte. Soprattutto quando, tutto ciò che viene razziato a noi, viene utilizzato per ingrassare le imprese che piangono miseria, le stesse imprese che fanno la guerra al reddito di cittadinanza per poter abbassare ulteriormente il costo della forza lavoro.

Siamo sull’orlo di una tragedia e questa politica non fa altro che tentare di mascherare la crociata ai poveri come un lavoro pedagogico verso le classi meno abbienti. Loro non ci tolgono diritti, ci insegnano a faticare e a lottare per un obiettivo, dicono… sull’onda degli antichi valori catto-romani che tanto inorgogliscono la nostra bella Italia. Per un lettore attento, però, ad ascoltare le filippiche con cui pensano di spiegarci l’operato del governo, può divenire invece lampante la postura antisociale che le istituzioni assumono in modo sempre più marcato. “Questa proposta (togliere il RdC a chi non ha concluso la scuola) mostra come la parola Merito nella visione mia e del governo non sia un orpello retorico, ma un preciso indirizzo politico”. Di più: “disumano” non è “tagliare il Reddito”, ma “convivere con l’illegalità, calpestare il diritto allo studio, educare i ragazzi al mantenimento a spese della società”.

Utilizza termini strani il ministro quando si esprime su temi di carattere sociale, termini come “immorale” o “disumano”, quasi a voler slegare la natura delle misure che attuano a nostro discapito dal piano del politico per attribuirla ad un più divino e immateriale senso etico universale. Forse più che un ministro, Valditara pensa di essere un predicatore di Dio, peccato che invece stiamo parlando di cose assolutamente materiali e quotidiane e spostare il focus su qualcosa che è indiscutibile è una manovra molto intelligente per tentare di tacciare qualsivoglia opposizione. Non stiamo discutendo su che opinione abbiamo delle persone che non fanno dell’intraprendenza lavorativa la loro stella guida nel deserto; non è compito dello Stato dare un’opinione o affrontare una profonda frattura sociale come se fossimo davanti ad un bicchiere di vino in taverna, il governo oggi dovrebbe fare i conti con decenni di politiche che hanno distrutto le possibilità di un vastissimo tessuto sociale di non vivere alle dipendenze della carità dello Stato. Non può essere una colpa essere poveri. ù

O semplicemente non essere ricchi.

Il leghista afferma invece che sia stato il concetto di merito ad essere stato considerato un peccato a causa di una presunta “ideologia dell’uguaglianza” che sarebbe la causa della rovina della scuola. Interessante è come si voglia sempre dare l’impressione che esista un complotto quando bisogna attribuire una motivazione allo stato delle cose. Noi, preferendo una lettura più realistica, diremmo invece che la rovina della scuola, equivale alla sua aziendalizzazione. Una linea che invece sembra essere il comun denominatore di tutti i colori politici che si susseguono nelle istituzioni della scuola, da sinistra a destra.

Sempre nella logica di rieducare questi giovani scellerati, Valditara ha un piano pedagogico. Il metodo “educativo” di cui si vorrebbe avvalere il ministero è quello che si basa sulla “sana umiliazione”.
Con una sfrontataggine notevole il ministro, durante un talk, ha solennemente esposto la sua tesi in merito al fatto che “l’umiliazione è un fattore fondamentale nella crescita e nella costruzione della personalità” il che non è per nulla falso.
Senza dubbio alcuno, possiamo dire che l’umiliazione sistematica è un fattore che incide nella formazione dei giovani e di certo la personalità che può produrre è quella che a questo sistema economico e sociale serve, nell’ottica di organizzazione del lavoro che stanno esponendo. Forse la personalità di cui parlano è quella che accetta a testa bassa ogni indegna condizione di vita che l’ingiustizia di questo sistema ci fa scontare come prezzo per permettere alle aziende di arricchirsi a dismisura e al sistema politico di agire un’intensità del controllo sociale sempre maggiore.

Forse possiamo aspirare a qualcosa di più, forse non avremo voglia di fare lavori di merda ma di certo una vita dignitosa la pretendiamo.

L’umiliazione è andare in scuole fatiscenti, in condizioni inadeguate per formarsi, umiliante è essere costretti a lavorare gratis per poter svolgere l’esame di maturità e avere paura di morire su quel posto di lavoro che nemmeno abbiamo scelto. Umiliante è quando milioni di studenti in tutta Italia si oppongono alle politiche del governo e vengono tacciati di infantilità e parassitismo. Umiliante forse dovrebbe esserlo per loro, eppure così non è.

Il ministro si serve di esempi di bullismo dentro le scuole per dire che bisognerebbe introdurre i lavori socialmente utili per gli studenti “violenti”. Ma quando si parla di soggetti violenti a cosa ci riferiamo esattamente? Perché accostare un episodio di persecuzione nei confronti di un coetaneo e un’occupazione scolastica ci mette in allarme.
Non sarà, per caso, la stessa strategia che è stata adottata per giustificare cose come il Decreto anti-rave? Non è, per caso, il tentativo di schiacciare una fastidiosa dimensione di incompatibilità sotto la pressa di ciò che è inaccettabile socialmente? Ma poi inaccettabile per chi? Per chi non è pronto a mettere in discussione il funzionamento della macchina che organizza la società?

Lo dice il ministro stesso che la misura in cui le istituzioni devono avere un ruolo nella scuola è quella per cui vengono “represse le devianze”, rafforzate le dinamiche di “controllo sociale e di stigmatizzazione pubblica”. Sono termini molto preoccupanti entro i quali si vuole definire il compito della forza pubblica. Forse il passo successivo sarà quello di lapidare chi prende più di due note sul registro. Chissà! Di questo passo tutto è possibile…

A proposito di stigmatizzazione.

Il ministro non solo si fa guidare dai saldi valori della nostra terra, ma a quanto pare anche da una palla di vetro che gli rivela il futuro. Infatti, per fortuna ci ha detto che cosa accadrà quando uno studente viene sospeso. Prendere appunti. Teppismo, spaccio e microcriminalità, i classiconi. Sì, perché questa è la fine che fanno coloro che non si attengono alle regole, diventano feccia, diventano i parassiti della società, nonché la causa dei mali di questa nazione. Ma fortunatamente la scuola ci può recuperare tutti, infondo siamo cristiani, porgiamo sempre l’altra guancia!
Il cammino della redenzione inizia con questi famigerati lavori socialmente utili (che per essere precisi sono già previsti nella maggior parte dei casi in cui uno studente è sottoposto ad una sanzione disciplinare, però l’acqua calda non è mai tardi per scoprirla). Nella “scuola dei doveri” che si vuole istituire, lavorando per la comunità scolastica e umiliandosi, di fronte ai propri compagni ci si assume la responsabilità dei propri atti. Questa è la via sulla strada del riscatto, addirittura. Ma riscatto contro cosa e verso dove?

Noi di riscatto abbiamo ben altra idea. Crediamo per il riscatto bisogna lottare, ed è quello che proviamo a fare ogni giorno, nella nostra idea di riscatto non vi è di certo un futuro di umiliazioni e sfruttamento. Il tempo del riscatto, ma anche quello della responsabilità, inizia quando ci organizziamo per immaginare un futuro a misura dei nostri bisogni e dei nostri desideri, inizia quando risignifichiamo gli austeri spazi della scuola per farne la nostra base di mobilitazione, uno strumento di critica e liberazione. Non crediamo di essere viziati da chissà quale ideologia sinistra, semplicemente abbiamo occhi per vedere, orecchie per sentire e menti per immaginare qualcosa di diverso. Forse Valditara la chiamerebbe “Intelligenza astratta” a noi basta “intelligenza” perché di astratto c’è ben poco.  

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