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L’assalto dei Soulèvements de la Terre: tour italiano del movimento che sta cambiando l’ambientalismo in Francia

Il movimento dei Soulevaments de la terre (Sollevamenti della terra) sarà in Italia nelle prossime settimane per incontrare i militanti ecologisti italiani e parlare della prossima mobilitazione del 25 e 26 marzo a Poitou.

Per l’occasione hanno scritto questo bel testo che riassume la genesi e le specificità di quello che rimane una delle esperienze più significative e interessanti nel provare a organizzare un movimento che metta al centro l’urgenza climatica. Il testo è ricco quanto chiaro e non possiamo far altro che consigliarne la lettura integrale. Sottolineiamo solo, a mo’ di preambolo, gli elementi che ci sembrano più significativi di questa traiettoria politica.

Innanzitutto, aver avuto la capacità di costruire un movimento in grado al contempo di agire politicamente dentro la cesura della pandemia e di riannodare con intelligenza i fili di quanto invece il covid ha rotto. Mentre alcuni, in Italia come in Francia, assicuravano che stavamo entrando in una distopia senza ritorno che si è sciolta nel giro di tre estati, questi compagni sono invece partiti dal presupposto che il rischio maggiore era proprio che tutto continuasse come prima. E hanno saputo agire in conseguenza. Un altro elemento importante è quello di una lettura rigorosa (ci verrebbe da dire materialista) della tendenza dello sviluppo (catastrofico) verso cui ci avviamo e delle sue contraddizioni.

Quest’analisi ha portato i SdT a un “ritorno ai fondamentali”, individuando la questione della terra e dell’acqua come centrali per i tempi a venire. Infine, un altro aspetto che ci sembra uscire con forza da questo testo è la novità, almeno per noi, della forma organizzativa. I SdT sono una sorta di piattaforma assembleare ecologica che è riuscita a funzionare da connettore per diversi gruppi, senza arroccamenti identitari, arrivando così a tenere insieme con intelligenza un tutto che è diventato più della somma delle sue parti, oltrepassando però la necessità di legarsi a una vertenza territoriale specifica. Un fattore importante di concretezza, che permette di evitare sfilacciamenti e vacuità, ci sembra sia dato non dall’organizzazione territoriale ma da quella temporale del movimento che struttura le proprie campagne di lotta in “stagioni”. Questo permette ai SdT di ritmare le tematiche affrontate e scegliere i terreni di scontro, concentrando la propria potenza di mobilitazione verso momenti specifici, con l’orizzonte di raggiungere obiettivi concreti e circoscritti in tempi brevi.

Prima di lasciarvi alla lettura di questo testo riassumiamo di seguito le date del mini-tour:

Lunedì 20/2 ore 20:30 Vicenza @ Bocciodromo

Martedì 21/2 ore 18:00 Ponticelli di Malbergo (BO) @ Nuova casa del popolo di Ponticelli

Mercoledì 22/2 ore 18:00 Bologna @ Aula roveri occupata (via zamboni)

Giovedì 23/2 ore 18:00 Milano @ ZAM

Venerdì 24/2 ore 17:30 Torino @ Aula B2 Campus Einaudi

Rapporti di forza ed exploit in difesa della terra e dell’acqua: un assalto alla morsa letale dell’agrobusiness sulle campagne francesi

Tutto inizia nel gennaio 2021, tra i campi di Notre-Dame-des-landes, vicino a Nantes… beh, non proprio “tutto”. Però nasce lì ciò che prenderà il nome di “Les soulèvements de la terre”, e quanto, in questo inizio di 2023, viene minacciato di scioglimento dallo Stato francese per il suo presunto ruolo nella “svolta radicale degli attivisti ecologisti”.

Gennaio 2021: il momento ha la sua importanza, siamo appena usciti dalla sequela di lockdown che ha fermato tutta una parte del mondo e che, come notavamo all’epoca, ha avuto la meglio anche sulle due forze sociali che avevano tinto di speranza l’inverno 2019-2020. Da una parte il forte e spontaneo movimento dei Gilet Gialli, e dall’altra l’inedita mobilitazione dei giovani nelle manifestazioni per il clima e nella miriade di gruppi d’azione che cercavano di espanderne i confini. Due movimenti. Uno che decretava brutalmente la fine del rassegnato silenzio di una parte della popolazione francese, il proletariato non sindacalizzato, dimenticato dalla classe politica, lasciato a fare lavori umili e piccola imprenditoria e strangolato dall’aumento del costo della vita. L’altro che, dapprima in maniera contenuta, poi sempre più rumorosamente, ci ricordava che le “generazioni future” non avrebbero aspettato la fine del film catastrofico che era stato servito loro fin dalla culla prima di ribellarsi. Due movimenti che, nonostante tutto ciò che avrebbe potuto e dovuto farli incontrare, non si erano infine mai incontrati. Gli appelli di una parte degli attivisti di provare a ragionare insieme di cosa legasse intimamente i problemi della “fine del mese” a quelli della “fine del mondo” erano stati affogati in una nuvola di gas lacrimogeni. Decine di mani smembrate dalle granate e di occhi distrutti dai proiettili di gomma, migliaia di procedimenti legali e, forse soprattutto, la stanchezza degli uni e degli altri nel non veder raggiunto alcun obbiettivo, avevano spinto la maggior parte delle persone, anche prima dello “stato di emergenza sanitaria”, a tornarsene a casa.

Quando i lockdown sono finiti, allora, come in molte altre parti del mondo, in molti si sono chiesti come non tornare al mondo di prima, alla corsa a perdifiato che ci aveva portato fino là, sull’orlo della catastrofe climatica, del collasso della biodiversità, nel tempo delle pandemie, dei sistemi sociali e sanitari ridotti in brandelli. Si parlava del “mondo che verrà” anche nei discorsi dei politici più cinici.

Mentre abbiamo lanciato giornate d’azione decentrate in tutti gli angoli del Paese “contro la re-intossicazione del mondo”, il mondo dell’economia, ben annaffiato di soldi pubblici, non ha tardato a riprendere il suo corso. Il cemento viene versato di nuovo. Si riprende la costruzione di mega-bacini, gigantesche riserve d’acqua a cielo aperto scavate nei terreni agricoli per “adattarsi al cambiamento climatico”, e se ne progettano altri per compensare il calo delle nevicate sulle piste da sci… si fa di tutto, ancora una volta, per non cambiare nulla, né in termini di produzione, né in termini di stile di vita, né in termini di condivisione delle risorse. Ciò che colpisce, al di là dei discorsi e del green-washing imperante, è questa colossale inerzia, questa incapacità generalizzata di cambiare il corso delle cose. Più erano allarmanti ed incontestabili le scoperte, ormai ampiamente pubblicizzate, sullo stato catastrofico delle risorse e sugli effetti esponenziali del cambiamento climatico, meno le risposte, da qualunque parte venissero, sembravano all’altezza della situazione. È a questo punto e di fronte a queste considerazioni, che dalle contrade dell’ultima massiccia e vittoriosa lotta contro l’artificializzazione delle terre in Francia – la ZAD di Notre Dame des Landes [una resistenza locale che si è mobilitata a livello nazionale contro la costruzione di un aeroporto internazionale su un’area di terreni agricoli] – è stato lanciato un appello a far convergere le forze, con l’obiettivo di andare oltre i limiti del relativo isolamento delle vertenze di ciascuno. Le lotte sindacali contadine sono invischiate in una forma di corporativismo settoriale; le marce per il clima si scontrano con l’impotenza senza orizzonti concreti delle manifestazioni, anche quando sono di massa; le modalità di azione “autonome” si perdono nella loro stessa dispersione e nella mancanza di una strategia coordinata; gli abitanti dei territori conducono battaglie locali contro progetti ecocidi, senza avere – troppo spesso – i mezzi per vincere.

È così che nasce il primo appello dei “Soulèvements de la Terre”, a seguito dell’incontro di diverse forme organizzative, esperienze e modi di fare, spinte dall’urgenza della situazione a raggruppare le proprie forze senza negare le proprie singolarità. Sindacalisti, aziende agricole, collettivi di persone in lotta, collettivi autonomi, gruppi ambientalisti, associazioni di cittadini, firmano un appello comune che parla in questi termini: “Solo un rovesciamento radicale – una rivolta – può fermare il riscaldamento globale e la sesta estinzione di massa delle specie già in corso”. In sostanza, sappiamo che oggi non c’è altra scelta se non quella di mettere in campo tutte le nostre forze per fermare il disastro in corso e abbattere il sistema economico divoratore che lo genera”.

Ma da dove cominciare?

Sulla scia delle lotte condotte dal sindacalismo contadino, minoritario ma ancora vivo, non affiliato all’agrobusiness e oggi incarnato dalla Confédération Paysanne – il sindacato francese per la difesa dell’agricoltura contadina* -, tutte le componenti del movimento riunite in questa occasione hanno individuato nelle lotte per la terra la sfida più immediata e la leva più potente. Nei prossimi dieci anni, il 50% degli agricoltori francesi andrà in pensione, e la maggior parte di loro non troverà nessuno che riprenda la loro attività. I grandi gruppi agroalimentari e le aziende che puntano sul mercato dell'”energia green” l’hanno capito e si stanno preparando, se nessuno interviene, a espandere il loro potere sulla stragrande maggioranza delle terre coltivabili del Paese. Ogni settimana in Francia scompaiono duecento aziende contadine per far posto a infrastrutture agricole sempre più grandi, senza legami con le zone rurali in cui sono installate e a disposizione invece agli interessi degli industriali.

Sono tre le minacce principali che incombono sui terreni agricoli: quella della loro appropriazione sfrenata da parte dell’agrobusiness, che li esaurisce dilapidando le risorse idriche; quella della crescente artificializzazione dei terreni, la loro “cementificazione” tramite la pianificazione urbana e l’attivismo economico dei giganti dell’edilizia e dei lavori pubblici; e quella della distruzione irreversibile della vita dei suoli con fertilizzanti, pesticidi, fungicidi e erbicidi scaricati ovunque sulla terra dalle multinazionali petrolchimiche. Oltre ai terreni agricoli, migliaia di ettari di terreni incolti, foreste e zone umide, riserve vitali di biodiversità, vengono divorati dal turismo, dai centri commerciali e dall’espansione delle aree metropolitane. Questa scelta di intervento politico da parte dei “Soulèvements”, questo angolo di attacco ai terreni stessi, collega la questione ecologica e contadina della riproduzione delle condizioni di vita sulla terra, la questione sociale della distribuzione delle risorse agricole, idrologiche e alimentari, e la questione politica della strutturazione capitalistica dei settori produttivi. Strappare spazi al cemento o all’agroindustria è anche la possibilità di liberare luoghi, di riappropriarsi dei mezzi di produzione e di inventare forme di vita e di condivisione più desiderabili.

Una volta individuati gli obiettivi, restava da trovare il modo ad hoc di coordinare gli sforzi e di organizzarli strategicamente. Il primo appello dei “Soulèvements de la Terre” ha inaugurato un movimento che si sarebbe strutturato attorno a “stagioni” di azioni decise in assemblee semestrali. L’idea non era più quella di organizzare giornate d’azione decentrate, ma piuttosto di puntare a quattro o cinque mobilitazioni più o meno massicce per “stagione”. Di raccogliere regolarmente forze a livello nazionale per sostenere un fronte locale in un momento di svolta della sua storia specifica: perché i classici canali istituzionali di protesta sono stati esauriti senza essere ascoltati, perché stanno per partire i cantieri, perché stanno per avvenire gli sgomberi, perché è necessario tentare qualcosa di diverso, essere più visibili, varcare una soglia… Nel corso di queste azioni, chiamate dopo momenti di incontro tra le componenti del movimento e le lotte locali, man mano che queste emergono o si manifestano, si intrecciano un racconto e una strategia che si rafforzano a vicenda, si tessono nella sequenza degli eventi e nell’entusiasmo di nuove complicità. Da un raduno all’altro, si crea un’intera rete di luoghi e di nuove ancore nei territori.

La volontà condivisa, nella costruzione di queste stagioni dei “Soulèvements de la Terre”, è quindi quella di sostenere l’ascesa del movimento con vittorie intermedie. In questo senso, si è deciso che i gesti caratteristici di una mobilitazione dei Soulèvements sarebbero stati l’occupazione di terre minacciate, il blocco di cantieri e industrie o lo smantellamento diretto e collettivo di infrastrutture ecocide. Questi tre tipi di azioni sono stati privilegiati rispetto ad altri, non perché siano sufficienti da soli a portare avanti le lotte, ma perché la loro diffusione sembra oggi essenziale per avere un impatto concreto nel campo politico e di fronte all’emergenza climatica. Quando si va a un “atto” dei Soulèvements de la Terre, ci si preoccupa sempre di trovare dei modi di aggregazione e mobilitazione che riescano a cambiare effettivamente e direttamente la situazione. In quasi due anni, sono state realizzate una quindicina di azioni nazionali e alcuni progetti contro cui lottiamo sono stati fermati, mentre altri richiederanno maggiore perseveranza.

Persone provenienti dai quattro angoli del Paese sono confluite su alcuni terreni destinati alla cementificazione in un quartiere operaio di Besançon, per allestire un mercato pirata, in vigneti nel sud della Francia per raccogliere selvaggiamente l’uva di un miliardario e farne del succo per le lotte, in un bocage contadino nell’ovest del Paese divorato da cave di sabbia per smantellare una chiusa che privatizza l’acqua di un ruscello, in una foresta delle Alpi per sostenere i valligiani che lottano contro la sua distruzione da parte dell’industria del turismo e dell’innevamento artificiale, in un terreno della Provenza minacciati da una zona industriale, per organizzare un carnevale e per attaccare l’apparato del sindaco locale, noto immobiliarista. Nel corso del tempo, le forme di organizzazione dei Soulèvements si sono evolute. Ci siamo dati strumenti per il monitoraggio e il coordinamento e sono stati creati gruppi locali. Il movimento mantiene un carattere ibrido, tra l’ampia coalizione di gruppi e organizzazioni, la rete di amici, l’organizzazione e il movimento.

L’invasione simultanea, nel giugno 2021, di tre grandi siti dell’industria del cemento nella regione parigina, da parte di diverse centinaia di persone e su appello di Earth Uprisings e eXtinction Rebellion, ha dato origine a numerosi dibattiti e ad alcuni cambi di direzione all’interno dei gruppi ambientalisti. Gli occupanti non si sono accontentati di occupare i cantieri, ma hanno anche sabotato macchinari, silos e sacchi di cemento per impedire che i cantieri ripartissero dopo la loro partenza. Hanno proposto di inquadrare questa azione di disobbedienza nei termini del “disarmo” scrivendo queste parole: “Lafarge (gigante internazionale del cemento) e i suoi complici non sentono la rabbia delle generazioni che lasciano senza futuro in un mondo devastato dai loro misfatti. Le loro macchine, i loro silos e i loro miscelatori sono armi che ci uccidono. Non si fermeranno se non li costringeremo. Quindi continueremo a smantellare noi stessi questa infrastruttura di disastri. Chiediamo a tutti coloro che si battono per la terra di occupare, bloccare e disarmare il cemento”.

Una svolta nel movimento: la lotta emblematica contro i mega-bacini idrici nelle aree cerealicole dell’Alto e Basso-Poitou – le paludi e le pianure della Francia centro-occidentale.

Nella storia ancora recente dei Soulèvements de la Terre, l’incontro con gli abitanti del Marais Poitevin, che si battevano contro i progetti di irrigazione della cerealicoltura industriale, ha segnato una svolta decisiva. A partire dagli anni Settanta, una generazione di agricoltori, spinta dalle nefaste influenze del settore agroindustriale, ha scommesso di poter competere con le grandi pianure cerealicole del bacino parigino, a costo di sconvolgere continuamente, nell’arco di quarant’anni, l’antico sistema idrografico di quella che era una delle più grandi zone umide di Francia. Giunto al capolinea di queste scelte di produzione estrattiviste, il settore deve ora affrontare gli effetti del cambiamento climatico e trovare nei fiumi e nelle falde acquifere l’acqua che non è più disponibile in estate. Non contenti della prodezza degli ultimi vent’anni, quella di aver fatto scorrere i fiumi, a forza di prelievi eccessivi, al contrario, verso le loro sorgenti, stanno ora progettando di immagazzinare l’acqua in inverno per irrigare in estate, quando i fiumi sono in secca. Sono stati lanciati decine di progetti per la costruzione di gigantesche riserve idriche a cielo aperto che, approvate dallo Stato, dovrebbero essere costruite con denaro pubblico. È di fronte a questa cecità dell’industria, che si rifiuta di considerare la natura suicida delle sue pratiche di irrigazione, che i residenti si sono sollevati per oltre vent’anni. Inizialmente isolata di fronte al potere della lobby agroindustriale in questa regione, questa lotta ha gradualmente guadagnato slancio mentre cercava di costruire nuove alleanze. Dall’incontro tra il collettivo Bassines Non Merci, la Confédération Paysanne, un sindacato di agricoltori che difende altre pratiche agricole, e il movimento emergente dei Soulèvements de la Terre, è nato un nuovo ciclo di lotte con un proprio ritmo e i propri obiettivi. Dal settembre 2021 a oggi la crescita della mobilitazione, reso possibile da questo nuovo piano di composizione, ha trasformato questa lotta locale in una lotta di respiro nazionale, addirittura internazionale, sul tema scottante dell’accaparramento dell’acqua da parte dell’agroindustria e del suo mondo.

Le prime mobilitazioni con qualche centinaio di persone che sono riuscite a occupare i giganteschi crateri scavati per queste riserve d’acqua, come a Mauzé-sur-le-Mignon, si sono presto scontrate con misure di polizia sproporzionate. Le autorità pubbliche si sono alleate con i sindacati dei contadini che difendevano le pratiche industriali, costringendo a diversificare le tattiche di lotta. Nel novembre 2021, dopo un inseguimento con la polizia attraverso i campi, quasi 2.000 persone hanno preso d’assalto un mega-bacino illegale vicino al nuovo cantiere, trasformato in una fortezza. La folla di manifestanti è riuscita a “disarmare” questo bacino distruggendo le coperture e il sistema di pompaggio. La primavera successiva, con il sostegno di oltre 150 organizzazioni e gruppi che chiedevano di agire, 6.000 persone hanno aggirato la zona militarizzata istituita dalla prefettura per disarmare il sistema di approvvigionamento di un futuro bacino idrico a La Rochénard, un altro comune del Marais Poitevin.

Queste manifestazioni hanno poi ispirato delle azioni notturne che hanno neutralizzato diversi altri bacini della regione. Questi sabotaggi, che sono stati rivendicati e talvolta filmati, hanno a loro volta reso popolari questi gesti di “disarmo”, di cui tutti possono facilmente appropriarsi con mezzi rudimentali, come semplici taglierini. Davanti alla mancanza di ascolto delle autorità e dei promotori di questi di bacini artificiali, il movimento ha continuato a crescere. Dopo un’estate di siccità storica, è stata organizzata una nuova manifestazione di massa nei pressi del piccolo comune di Sainte Soline, in una zona di pianura a sud del Marais Poitevin. Anche questa volta circa 8000 persone hanno sfidato il divieto di manifestazione imposto dalla prefettura. I manifestanti di Bassines Non Merci e Soulèvements de la Terre sono riusciti a cogliere di sorpresa la polizia e ad allestire un campo base nel mezzo della zona vietata per ospitare la folla di manifestanti il giorno prima dell’entrata in vigore del divieto. La mattina successiva, tre cortei di oltre 2.000 manifestanti, ognuno con un percorso diverso, sono riusciti a mettere in crisi il massiccio dispositivo della polizia per raggiungere le reti del cantiere del più grande mega-bacino mai costruito fino ad abbattere la recinzione di sicurezza. Il cantiere è stato bloccato per più di una settimana. Quest’ultima azione, che ha reso inutili tutti gli sforzi dello Stato per proteggere il cantiere, 3000 poliziotti antisommossa, sette elicotteri, barricate e divieti di manifestazione, ha bucato l’oscuramento mediatico che veniva finora riservato a queste mobilitazioni di difesa dell’acqua. La “battaglia di Sainte Soline” ha di fatto bloccato i cantieri per diverse settimane, è stata prima notizia in televisione e sui giornali e ha provocato reazioni a catena ai più alti livelli dello Stato. Sono state senza dubbio le parole del Ministro degli Interni a creare il maggior scalpore in questa sequenza: il giorno dopo la schiacciante sconfitta sul campo delle forze di polizia, ha definito la determinazione dei cortei dei manifestanti una sorta di “ecoterrorismo”.

Eco-terrorismo o eco-resistenza?

Più che un lapsus verbale, queste parole scelte dal ministro hanno preparato il terreno per l’implementazione dei mezzi dell’antiterrorismo nella repressione delle azioni di resistenza ecologica e contadina, che non cessano di moltiplicarsi. A riprova di ciò, dopo una nuova azione di “disarmo”, questa volta contro il gigante francese del cemento Lafarge, compiuta nelle prime ore del 10 dicembre da duecento manifestanti vestiti di bianco, è stata aperta un’inchiesta dalla Procura Antiterrorismo, affidata alla Sottodirezione Antiterrorismo. L’azione, filmata e rivendicata da un gruppo anonimo, ha portato al blocco di uno dei più grandi siti produttivi di Lafarge nel sud della Francia, causando, secondo i media, quasi 4 milioni di euro di danni alla multinazionale. Una situazione grottesca se si pensa che Lafarge è stata recentemente condannata negli Stati Uniti per aver finanziato Daesh in cambio del permesso di continuare le sue attività estrattive nel deserto siriano. Lafarge, oltre al ruolo di primo piano in una delle filiere industriali che più danneggiano il clima del pianeta, è stata anche incriminata in Francia per “complicità in crimini contro l’umanità” nell’ambito di un’indagine giudiziaria aperta nel giugno 2017. Questa accusa si aggiunge ad altre due per “finanziamento di gruppi terroristici” e “messa in pericolo di vite umane”.

I Soulèvements de la Terre sono ora indicati dai servizi di sicurezza francesi come gli istigatori di una “svolta radicale nel movimento ambientalista” in Francia, e un rapporto dei servizi segreti francesi è arrivata a raccomandarne lo scioglimento da parte dello Stato. Di fronte a questa minaccia, una petizione pubblicata sulla stampa all’inizio di gennaio ha raccolto più di tremila firme in 48 ore, testimoniando il forte sostegno di molte personalità di tutti i ceti sociali alla resistenza attiva contro la distruzione della vita e la monopolizzazione delle risorse naturali. I prossimi mesi saranno decisivi per il futuro del movimento e per la battaglia in difesa della terra e dell’acqua. O il movimento si espanderà ulteriormente e riuscirà a porre definitivamente fine ai programmi di costruzione dei mega-bacini, oppure il governo riuscirà a dividere il movimento, a reprimere le sue frange più attive e a portare a termine i suoi progetti.

È per cogliere ancora una volta di sorpresa le forze della repressione e per far risuonare a livello internazionale la lotta vitale per la difesa della terra e dell’acqua che ci rivolgiamo a voi oggi. Stiamo avviando una nuova mobilitazione per il prossimo atto di lotta contro i mega-bacini, perché ci sembra che questa battaglia sia decisiva e vitale, come quella contro l’ampliamento della miniera di lignite a cielo aperto di Lützerath per alimentare la corsa all’energia in Germania, o quella contro la distruzione della foresta di Atlanta a vantaggio di un centro di addestramento della polizia negli Stati Uniti.

La prossima manifestazione di massa indetta da Bassines Non Merci, Les Soulèvements de la Terre e la Confédération Paysanne si svolgerà il 25 e 26 marzo a Poitou. Invitiamo calorosamente a venire tutti coloro che, da tutto il mondo, non hanno intenzione di starsene a guardare la “fine del mondo” dal loro divano.

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