Libera tortura in libero Stato
A quasi 14 anni di distanza dai fatti, la Corte europea dei diritti umani di Strasburgo ha condannato l’Italia per tortura per la mattanza messa in atto dalle forze dell’ordine alla scuola Diaz nella notte tra il 21 e il 22 luglio del 2001, durante il G8 di Genova.
Non ci interessa in questa sede entrare nel merito o dare giudizi su una sentenza e su un linguaggio che poco ci appartengono, pur rispettando l’impegno e le scelte di chi, dopo aver subìto le violenze di quella notte, ha deciso di spendersi in questa direzione e oggi trova forse finalmente un punto di approdo e un riconoscimento per anni di battaglie legali. Ci limitiamo piuttosto a constatare che il verdetto di Strasburgo non fa che mettere nero su bianco (e in maniera piuttosto tardiva…) l’evidenza che per tutti questi anni è stata sotto gli occhi di tutti, oltre che oggetto di denunce e contro-inchieste.
Non così per il coro di “sinistri” cui la sentenza di ieri sembra improvvisamente aver aperto gli occhi sulla quotidianità di violenze, abusi e torture che le forze dell’ordine (nostrane e non) commettono, quasi sempre impunemente. Ecco allora che il PD con una mano si batte ipocritamente il petto per l’accaduto e con l’altra tira fuori dal cappello la promessa tempestiva di una legge sul reato di tortura, così da rassicurare la corte di Strasburgo che il nostro paese è pronto ad allineare il proprio ordinamento con quelli del resto della “civile Europa”.
Dal canto nostro preferiamo guardare alle cose con maggiore disincanto e realismo e ci permettiamo di dubitare del fatto che possa essere la semplice introduzione di un reato nel codice penale a misurare il maggiore o minore grado di “civiltà” o “democraticità” di un corpo di polizia in cui abusi e violenze non sono l’eccezione o pagine buie da voltare, ma sono piuttosto connaturate a un’istituzione marcia e reazionaria fin nel profondo.
E ne dubitiamo soprattutto alla luce degli eventi e dei fatti che i 14 anni che ci separano da Genova 2001 ci consegnano: mentre ci sono compagni e compagne che stanno scontando anni di carcere per la propria partecipazione alle mobilitazioni di quelle giornate (condannati per reati figli del codice Rocco…), per tutto questo tempo i picchiatori della Diaz e i responsabili dell’ordine pubblico di piazza non solo hanno continuato a svolgere il proprio lavoro, ma sono stati addirittura promossi, passati da un impiego di prestigio all’altro, mentre le evidenze delle responsabilità che portavano per quelle violenze gli scivolavano addosso come se niente fosse. È il caso del “superpoliziotto” Gilberto Caldarozzi, condannato in via definitiva per i pestaggi della Diaz e recentemente chiamato a fare da consulente a Finmeccanica, dove è approdato – guardacaso – grazie al presidente Gianni De Gennaro, capo della polizia all’epoca di Genova. Oppure di Giacomo Toccafondi, soprannominato il “dottor mimetica” della caserma di Bolzaneto, prima promosso e poi recentemente salvato grazie alla prescrizione, così che tra qualche mese potrà tornare tranquillamente ad esercitare.
…dobbiamo proseguire?
E d’altronde è bastato il timido annuncio del PD sulla nuova legge sulla tortura a scatenare il coro di reazioni dei vari sindacati di polizia, da sempre assecondati e ascoltati in maniera bipartisan (e recentemente anche invitati a parlare dal palco di Salvini a Roma…); lasciati liberi di difendere assassini e addirittura di applaudirli. La polizia uccide e tortura perché da sempre può farlo con la garanzia di impunità.
Per quanto ci riguarda non abbiamo bisogno di una sentenza per scoprire che la polizia picchia e abusa: i pestaggi e le violenze di Genova li abbiamo condannati 14 anni fa e la rabbia e le ferite lasciate da quei giorni non saranno lavate via dalle ipocrite promesse di chi oggi scopre l’acqua calda.
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