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L’istituto Luce ai tempi del bazooka di Draghi

Non è certo un segreto che il “successo” dell’operazione Quantitative Easing della BCE dipenderà integralmente dagli effetti che si spera esso possa provocare, in fondo la “crescita economica” non è nient’altro che una profezia che si può auto-avverare soltanto se tutti stanno al gioco: le banche prestano, le imprese investono e le famiglie consumano (sarebbe d’altronde interessante attardarsi sulla vacuità di queste categorie che incanalano il pensiero economico…).

Il massiccio acquisto di titoli di Stato da parte della BCE non avrà alcun effetto percettibile al di fuori delle inevitabili fluttuazioni borsistiche se non convincerà le banche private ad investire la nuova liquidità ottenuta di rimbalzo nell’agonizzante “economia reale”, rilanciando investimenti e soprattutto prezzi, ormai pericolosamente stagnanti. La questione, per le élites europee, resta sempre come convincere e convincersi che la luce in fondo al tunnel è veramente accesa per evitare che i soldi non siano tesaurizzati in attesa di tempi migliori.

Insomma, il fiocchetto sul “regalo” di Draghi è importante almeno quanto il contenuto del pacchetto Quantitative Easing.

Se è ancora presto per comprendere quali effetti diretti sta avendo l’operazione della BCE – a parte la scontata svalutazione dell’euro che fa gridare oggi vittoria a Draghi – è già visibile come l’inno roosveltiano contro “la paura della paura stessa” si declina oggi in una propaganda capillare in cui le suggestive cifre della sicura ripresa ritmano un’informazione tutta orientata al siamo-sulla-buona-strada : nelle mani di Draghi, il Qe diventa addirittura un bazooka puntato contro la crisi, con un’escalation d’iperboli degne della miglior propaganda di guerra.

In questo senso, il progetto di Renzi tutto incentrato intorno al brand de “la volta buona” è la declinazione nazionale di quello stesso desiderio di trasmettere l’idea che finalmente-ci-siamo.

In questi giorni su giornali e telegiornali si grida di “Italia di nuovo in crescita” (per una previsione di aumento di 0,1% del PIL da parte dell’Istat !), millantando di una “fiducia dei consumatori” al top, di oscuri misery index in picchiata al punto che qualche decina d’assunzioni dell’amico Farinetti sono presentate come la rondine che annuncia la primavera del jobs act.

È una retorica che passa anche per la ridefinizione delle categorie stesse attraverso le quali concepiamo la nostra posizione sociale, in un’inflazione linguistica che sposta sempre più in basso l’asticella dell’accettabile. Il grottesco scarto semantico che diminuisce le tutele sul lavoro ma le chiama “crescenti” e che svende il territorio chiamandolo sblocca Italia non sono solo il riflesso della faccia da culo del blocco di potere renziano  ma il sintomo di un modo di governare il cui dicastero principale è l’orwelliano Ministero della verità (“La guerra è pace, la libertà è schiavitù, l’ignoranza è forza…”).

È importante prestare attenzione a queste ingiunzioni alla fiducia non per una passione feticista verso il discorso delle classi dirigenti ma perché i suoi effetti sull’immaginario e quindi sugli spazi di conflitto saranno sempre più significativi.

La questione non è tanto di smascherare una ripresa economica che c’è solo nelle teste di chi abita le stanze dei bottoni della crisi quanto di rendersi conto che ciò che lorsignori chiamano “sviluppo” non è la creazione di ricchezza socialmente distribuita ma un meccanismo di espropriazione che punta all’accettazione definitiva della miseria generale.

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