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Lo sguardo antagonista oltre il muro dei BRICS

Se Infoaut.org avesse preso parte alla prova di maturità di quest’anno, come molti avrebbe avuto difficoltà nella traccia dedicata a Claudio Magris (dopo quasi un ventennio di macelleria formativa ed aziendalizzazione scolastica da Berlinguer ad oggi, passando per la Gelmini…) ma qualche parola sui Brics avrebbe sicuramente potuto spenderla.

Avrebbe parlato di come dopo lo scoppio della bolla della new economy statunitense nel 2000 ingenti capitali si siano riversati sui mercati immobiliari dei paesi emergenti, (la Cina su tutti, a prezzo di enormi devastazioni ambientali) per far ripartire l’accumulazione. Avrebbe parlato di come altri capitali siano andati a gonfiare la bolla dei biocarburanti in Brasile (che oggi deve aumentare i prezzi dei biglietti dei trasporti urbani). Avrebbe parlato di come in Russia la speculazione valutaria estera sia andata di pari passo con l’accentramento del sistema produttivo nelle mani della corte di Putin. Avrebbe insomma cercato di inquadrare l’emersione di nuovi mercati ed attori politici globali nel solco della tendenza sempre più inefficiente e distruttiva delle dinamiche del capitalismo finanziario e non ai danni del 99%.

Ora nel cupo presente occidentale l’accumulazione capitalista frena nei paesi europei, schiacciati dall’austerity e dai calcoli elettorali tedeschi, e la ripresa è virtuale e drogata dall’iniezione permanente di liquidità negli USA ed in Giappone. A causa dell’instabilità degli equilibri internazionali, la sempreverde carta della guerra non può dispiegarsi come in precedenza; rendendo l’impasse del conflitto siriano una schermaglia da guerra fredda tra i blocchi putrefatti del nazionalismo arabo e russo e della commistione islamo-capitalista tra paesi del Golfo e Nato – giocata sulla pelle delle popolazioni di quel quadrante mediterraneo.

Così i flussi finanziari e la crescita dei profitti vorrebbero rifugiarsi nella sicurezza del “quieto vivere” dell’apertura e dello sviluppo di sempre nuovi mercati nei paesi emergenti: accaparramento di terre, imposizione dall’alto di grandi opere, aumento del costo e diminuzione della qualità della vita (ricorda niente?)… Ma come può darsi tutto ciò in un 2013 movimentato, che segna come non solo il perimetro dei BRICS ma persino quello dei “Next 11” (entrambe sigle coniate dall’economista di Goldman Sachs Jim O’Neill) emergenti sia pervasivamente ridefinito da una geopolitica non dei capitali, ma delle lotte?

Dalle rivendicazioni dei minatori nel Sudafrica al capezzale di Madiba alla sollevazione antisessista indiana, dalle battaglie ambientali in Cina al rifiuto dei grandi eventi in Brasile, dalle proteste per gli aumenti di carburante in Indonesia alla tensione sociale antiautoritaria in Turchia ed in Russia, il manovratore è sempre più disturbato ed i rischi per gli investimenti crescono; soprattutto nel momento in cui le lotte per i diritti “dello sviluppo” (salari più alti, ambiente, libertà personali) si ricompongono – come nella Turchia e nel Brasile di questi giorni – nel piano più alto (e dirimente) della critica sistemica.

Si tratta pur sempre di una tendenza, da mettere costantemente al vaglio. Ma che poggia (e nel caso turco giovandosene egregiamente) sull’immaginario lanciato dai movimenti del 2011 e da Occupy Wall Street in primis: la possibilità per le lotte territoriali organizzate di affacciarsi su una finestra di dibattito planetario con il supporto delle nuove tecnologie di comunicazione. E da lì l’opportunità di connettere le lotte del basso verso l’alto dei paesi emergenti, le cui soggettività reclamano nuove forme di autonomia rispetto all’invasività dei megaprogetti capitalisti e delle forme autoritarie che li supportano, e quelle dei paesi occidentali, in cui la concessione di diritti formali è posta come foglia di fico davanti all’abbattimento dei diritti sostanziali. Costruendo uno sciopero sociale che può ora assumere un carattere davvero globale.

 

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