Lo spazio dell’ingovernabilità è il tempo della crisi
Ci sono temi che ritornano, in eterno forse. E ci sono momenti particolari, che non si ripetono.
Rivolgendoci intanto ai temi. Ormai da tempo, nel dibattito mediatico (e in quello di movimento), vediamo infatti ri-emergere la “questione reddito”: garantito, di cittadinanza e via discorrendo. Questione in cui la differenza tra significato e significante è lasciata nell’ambiguità, tanto quanto la sua possibile e reale formulazione in un progetto preciso e ben delineato che garantisca una qualsiasi forma di accesso a un reddito, appunto, che argini l’impoverimento dilagante nella crisi.
Rivolgendoci invece al tempo, il momento preciso non-rinviabile, il presente su cui agire qui e ora: la fase post-elettorale, lo abbiamo già detto, ci riconsegna il quadro dell’ingovernabilità intesa qui come strutturale difficoltà dei sistemi di governance a ri-generarsi. Grande confusione sotto il cielo quindi? La situazione è allora ottima! O almeno, diventa ottima se tutti coloro i quali stanno dall’altra parte rispetto al sistema di governo, riuscissero ad intravedere nell’attuale instabilità un’occasione di rilancio delle proprie istanze e di avanzamento delle lotte. In altre parole, i piagnistei lasciamoli ai soggetti che già a parole o almeno nei fatti si sono dimostrati organici a questo sistema in crisi; a noi tocca agire lucidamente il reale per rilanciare l’antagonismo e l’alternativa!
Ultimamente, è stato il M5s a riportare all’attenzione mainstream l’idea di un “reddito di cittadinanza”, facendone uno dei fiori all’occhiello per la sua campagna elettorale. In questo caso, l’ambiguità di fondo (e su cui tanto abbiamo noi discusso in questi anni) sulle forme del reddito resta. Ma è innegabile come sia anche passata presto in secondo piano in quanto, nella affermazione elettorale di Grillo, ruolo decisivo hanno giocato le strategie comunicative e le parole dello “tsunami tour” in cui è stata promessa possibilità di accesso al reddito per chiunque ne avesse bisogno. All’oggi sembra un po’ nel dimenticatoio del “dibattito politico” televisivo. Così, se il segretario del Pd, Bersani, durante la campagna elettorale si è limitato ad un incerto “ni” adesso, a giochi conclusi, nonostante la sconfitta e la rincorsa al M5s, ne esclude del tutto la possibilità perché una spesa troppo consistente per le casse dello Stato. Oltre a fargli i conti in tasca, o meglio a farci i conti in tasca trattandosi di soldi pubblici, e notando che basterebbe destinare 20 miliardi dell’inutile Tav per ridistribuire reddito per 2 anni (è la Fornero a dirci che servirebbero circa 10 miliardi per soddisfarne la richiesta) o tagliare sulle folli spese militari nell’acquisto di F16 e nel finanziamento alle “missioni umanitarie”, oltre questo appunto, chiaro è quanto simili interventi non rientrino affatto nelle norme e nei dispositivi della gestione della crisi di questa governance in stile italico. Allo stesso tempo il quadro di instabilità sopra descritto ci consegna un’occasione, forse unica, di incidere sui processi e rideterminare gli equilibri.
Attenzione! Stiamo qui parlando di conquista e riappropriazione, movimenti e anatagonismo. Processi sociali e obiettivi strategici.
Lungi da noi, appigliarci a qualcosa che venga dai palazzacci, o tantomeno nutrire speranze in semplici accorgimenti keynesiani, veri meccanismi di riproduzione capitalistica che estendono la sopravvivenza di questo sistema e in cui il reddito/sussidio potrebbe installarsi come riproposizione del dio denaro a strumento principe di valorizzazione e misurazione economica nonché di esclusione sociale.
Piuttosto il riaffiorare della questione reddito fuori dagli ambiti di movimento è una possibilità per questi (e forse anche un dovere): possibilità di riportare all’attenzione, riconquistandolo, un certo immaginario attorno alla dimensione antagonista della riappropriazione di reddito. Possibilità cioè di aggravare la crisi, economica (e cioè le exit strategy incompiute dell’austerity) e di rappresentanza, di dare forma e sostanza a un contropotere che agendo sui rapporti di forza con la/e governance amplifichi l’ingovernabilità, rispondendo a bisogni e forse desideri di milioni di persone; possibilità di slegare, almeno parzialmente, la vita dal ricatto salariale e dalla necessità del lavoro per come lo conosciamo, cioè un mercato dove esistono sfruttati e sfruttatori.
Ma in che modo ci si presenta una tale opportunità? È chiaro che non ci può bastare, per quanto imprenscindibile, la riduzione a semplice rivendicazione remunerativa. Se ridotta solo a questo – alla quantificazione monetaria di ciò che non è corrisposto alla quotidiana produzione e riproduzione sociale come messa a valore del lavoro insieme a relazioni, sentimenti, desideri, capacità – la prospettiva resterebbe imbrigliata nel gioco della misurazione capitalistica in cui il denaro continuerebbe ad essere la forma/misura del valore e della diseguaglianza :”il comunismo non è la realizzazione dell’intercambiabilità del valore, il vigere del denaro come misura reale; il comunismo è negazione di ogni misura” scriveva Marx. Non che non sia anche giusto è parte integrante della questione, anzi. Vogliamo anche il denaro!
Come formulare allora una dimensione politica e antagonista del reddito che non si fermi alle briciole ma che sappia immaginare e praticare il cambiamento?
Anzitutto, partire dalla liberazione della necessità del lavoro significa procedere in direzione della distruzione dell’imprescindibilità del nesso ormai ontologico vita/lavoro/salario, favorendo così la scelta del/al lavoro. Può (deve) essere dunque il concentrarsi anche sulla soddisfazione dei bisogni – lavoro o non lavoro, denaro o non denaro – ad aprire alla prospettiva, questa sì imprescindibile, della costruzione e ideazione in divenire di percorsi di soggettivazione e ricomposizione sociale: presupposti fondamentali di un organigramma di contropotere che dia legittimità decisionale alle lotte e ai movimenti. Un movimento per la riconquista dei bisogni di parte!
Solo la riappropriazione antagonista di case, servizi, spazi e tempi di socialità e di vita, siano essi da conquistare nella metropoli, nelle scuole, nelle università, nei territori, può dare il là ad una rottura che si fa tendenza, ad un essere soggettività contro, massificata, che esige reddito. Ciò inoltre vuol dire non perder mai di vista l’orizzonte di una ricomposizione di classe, come eterogeneità dell’intero spettro nel mondo del lavoro vivo, materiale e immateriale, cognitivo e operaio, sempre più accomunato nella sua diversità e frammentazione dall’assenza di diritti e garanzie collettive. Solo con in mente questo scenario di riappropriazione permanente e sedimentazione soggettiva possiamo formulare una ridistribuzione monetaria della ricchezza collettivamente prodotta, un reddito diretto e incondizionato che non diventi strumento di innovazione sistemica.
Quindi è a partire da questi propositi di lotta quotidiana e progettualità politica che lanciamo una giornata di lotta per venerdì 19 Aprile che sia di riappropriazione, di conquista di reddito e liberazione dei nostri bisogni dal ricatto che attanaglia la vita nella mi seria della crisi.
Con un arrivederci nelle piazze, buona lotta!
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