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Noi la crisi ve la creiamo!

Ha vinto l’Oxi, ed era tutt’altro che scontato. Nessuno, soprattutto, pensava a uno scarto di questa grandezza, misura della distanza che separa la dignità dall’ignavia. Nonostante la campagna terroristica delle organizzazione internazionali e la concreta minaccia di asciugare i portafogli, il popolo greco ha sconfitto la paura e ha scelto la dignità. È stato sconfitto il sistema del debito, raccogliendo e trasformando in arma la parola d’ordine che da tempo i movimenti agitano: noi la crisi non la paghiamo. Sono stati sconfitti la Merkel, Schäuble e Draghi, cioè i rappresentanti della dittatura finanziaria sul piano continentale. Sono stati sconfitti conservatori e socialdemocratici, ancora una volta uniti a difesa degli interessi di banchieri e rentier. Sono stati sconfitti Renzi e il PD, ignobili baciapile dei potenti di turno. Chi crede alla democrazia dovrebbe invocare le immediate dimissioni di tutta questa classe dirigente. Noi che più realisticamente pensiamo in termini di rapporti di forza, assumiamo il dato di fatto del loro indebolimento e da qui rilanciamo in avanti. Perché sappiamo che questa vittoria e la loro sconfitta rischiano di essere risultati velocemente reversibili se non si riescono ad approfondire e portare sulla linea di faglia rispetto alla Troika e alle politiche di austerity. Ora che abbiamo intravisto un barlume di paura negli occhi dei nostri nemici, quella paura va agita e trasformata in terrore.

Non la pensano certamente così i sinistri dell’Europa a tutti i costi, che puntano a tornare al tavolo delle trattative per la questua con le Istituzioni, già appagati dell’espressione democratica del popolo greco per un referendum che – fosse stato per loro – non avrebbero nemmeno convocato. Ma anche la destra fino all’altro ieri anti-europeista inizia ad avere paura. I leghisti hanno già cambiato il loro “no euro” in “riformiamo l’euro”. Ora, pur senza potersi schierare per pudore ideologico al fianco della Merkel, attaccano ferocemente la Grecia perché non vuole ripagare il debito. Quando si arriva al nocciolo della questione, cioè al denaro e agli interessi di classe, non ci sono appelli al popolo o alla nazione che tengano. Cosa voglia fare il governo di Syriza è ancora incerto: la dialettica interna sembra vivace, e già dai prossimi giorni si potrà verificare quanto le dichiarazioni rispetto alla ripresa della trattativa risponda alle reali intenzioni, a incertezza rispetto al che fare, a posizioni tattiche o altro ancora.

Lo abbiamo detto e lo ripetiamo: il problema è quello che facciamo noi, perché sappiamo che solo le lotte potranno forzare Syriza e fare della contingenza un’occasione di rottura. Coerentemente con quello che abbiamo sostenuto prima del referendum e nei mesi scorsi, adesso, dopo i risultati, ci sono due posizioni a noi avverse. Una è quella della “sinistra da club med”: non perché sia sbagliato andare ad Atene per capire e stringere rapporti, anzi va fatto, ma perché è comico pensare di risollevare le proprie misere sorti elettorali e di reputazione mettendosi la maglietta della squadra che vince. L’altra posizione da evitare è quella di chi, a quella sinistra, risponde chiudendosi nel proprio “resort” sperando nell’insuccesso degli altri. In entrambi i casi, si nega il peso avuto dai movimenti e dalle lotte: i primi perché li ritengono semplici strumenti per accedere alle istituzioni, i secondi perché pensano che effettivamente i movimenti e le lotte non abbiano la capacità di incidere su nessun’altro campo che non sia il proprio orticello. Non capire che anche l’oxi è una vittoria dei movimenti, significa condividere con la sinistra un’idea di onnipotenza delle istituzioni e di impossibilità delle lotte a trasformare le situazioni e imporre i campi di battaglia.

La verità è tutt’altra, e lo dimostrano anche – se ce ne fosse bisogno – i dati del referendum: decisivo per la vittoria dell’oxi è stato il voto dei giovani dai 18 ai 34 anni, che hanno votato in massa per il no, mentre la preferenza del sì cresce mano a mano che sale l’età. A dimostrazione che il rifiuto dell’austerity assume una forte connotazione generazionale, ossia di quella che è stata la spina dorsale dei movimenti e delle lotte. È la generazione della crisi, che negli anni si è rivoltata contro l’austerity e oggi fa pesare anche su questo livello la potenza del suo rifiuto. A dimostrazione che dalle lotte nasce l’oxi, e alle lotte ritorna la palla. Sì, perché l’oxi non viene dall’urna elettorale, ma dal fuoco della rivolta. E quell’oxi a sua volta non è un traguardo, ma un passaggio. O almeno, così dobbiamo avere la capacità di renderlo.

Pro o contro che sia, dunque, non è il tifo quello che ci interessa, ma giocare la partita fino in fondo. Lo abbiamo detto e lo ripetiamo: se Troika e Grecia raggiungono un accordo a vincere è la prima. Non è infatti una questione di libri contabili o di punti percentuali sui tagli, è una questione interamente politica. Non solo. Immediatamente dopo i risultati, Martin Schulz – nella peggior tradizione socialdemocratica tedesca dei Noske – sostiene che la Grecia va strangolata chiudendo i rubinetti bancari e parla tutt’al più di “aiuti umanitari”. Dunque, potrebbero essere i falchi dell’Europa a rompere con la Grecia o a minacciare di farlo, in questo modo riprendendo in mano quel pallino che per ora gli è parzialmente sfuggito. Noi quel pallino dobbiamo trasformarlo in una palla da cannone, costringendo anche chi oggi vuole trattare a non poterlo fare. In questo, la tradizione rivoluzionaria ci ha insegnato che il tempo è una variabile decisiva: lo spazio aperto dal no non durerà in eterno, forse potrebbe durare poco. È in questo spazio che dobbiamo piantare i cunei della rottura che impediscano ai nostri nemici di riprendere in mano il controllo della paura.

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