«Ombre rosse», nubi scure
Difficile persino definire quanto successo ieri vendetta di Stato, sembrerebbe quasi di nobilitare delle scelte prese per pura convenienza politica da entrambi i lati delle Alpi. L’arresto in Francia di sette ex militanti di organizzazioni rivoluzionarie italiane degli anni ’70 ormai anziani (alcuni con problemi di salute) si inserisce al crocevia tra vicende contingenti ed avvenimenti storici, sostanzialmente celebrando il processo di regressione che politica e giornalismo hanno subito negli ultimi cinquant’anni senza sosta.
Così, in piena pandemia, mentre la “riserva democratica” Draghi sta per varare il Pnrr, ci sono tensioni dentro la maggioranza di teatranti che lo sostiene ed il consenso verso il suo governo è in caduta libera ecco che in soccorso viene l’amico Macron con un petit cadeau, un po’ come fu con il caso Battisti per Salvini e Bolsonaro. Scambi tra autocrati, sulla pelle di protagonisti di vicende concluse da decine di anni. Nessuna volontà di giustizia, soltanto una manciata di visibilità sui maggiori quotidiani che ne approfittano per esporre il solito mercatino di una retorica, quella sugli “anni di piombo” che ormai è così consumata e contradditoria da finire in seconda pagina inesorabilmente in fretta.
Solo uno spot dunque, una versione low budget europea de “La regola del silenzio”? No non solo perché collateralmente questa vicenda ci mostra come si è evoluto il dibattito su quegli anni, ma più in generale sul conflitto sociale all’interno delle istituzioni, dei media e della società civile nel nostro paese. O meglio come è regredito questo dibattito, rischiando di diventare lettera morta sulle cattedre di qualche accademico. Lo si nota dai titoloni di ieri che annoverano ancora come “brigatisti rossi” ex militanti di svariate organizzazioni rivoluzionarie, che nel panorama di quegli anni rappresentavano ipotesi ed opzioni differenti. Gli anni ’70 restano una melassa antistorica di luoghi comuni utilizzata come spauracchio nei confronti di ogni singola lotta sociale in questo paese. I parallelismi ormai vengono redatti con il pilota automatico.
Il modo di “regolare i conti” con quegli anni da parte dello Stato è semplicemente non farlo, per tenere aperta il più possibile la narrazione di un pericolo terroristico dietro l’angolo. Si tratta di esorcizzare la possibilità del conflitto sociale (di qualsiasi conflitto sociale, non solo quello armato) come costruzione di un itinerario diverso da quello dello stato di cose presenti. Non è un caso che questo tipo di esorcismo arrivi al suo culmine proprio oggi, mentre una pandemia globale ci mostra la decadenza in cui versa la nostra cosiddetta civilizzazione.
E se alle nostre latitudini, in assenza di conflitti sociali di vasta entità, un discorso del genere appare parossistico, utile solo per nutrire la pancia reazionaria di alcuni bacini elettorali, oltralpe questa strategia è ben più chiara.
A fronte degli ultimi ed importanti cicli di mobilitazione che hanno coinvolto la Francia la mossa di Macron è un tentativo di consolidare quella retorica dell’islamogauchisme che prova a mettere in un unico pentolone terrorismo islamico e conflitto sociale per sostanziare la reazione securitaria dello Stato.
In fondo ha ragione Carlo Bonini di Repubblica quando dice che gli arresti sono figli “di un nuovo clima politico in Europa”: le nubi gonfie della reazione preventiva.
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