Salvini e la guerra ai poveri nelle città
Le immagini in serie di Matteo Salvini, scattate con le più svariate felpe recanti il nome della città di turno in cui il ducetto padano si trova a propagandare i suoi messaggi razzisti e xenofobi, hanno giustamente colpito molto gli osservatori e gli analisti del fenomeno Lega Nord 2.0.
Nata a cavallo della fine della prima Repubblica su uno spirito apertamente basato su un immaginario secessionista – con annesse retoriche contro i meridionali – e fortemente culturalista – quindi apertamente all’attacco non solo del sud ma anche dei migranti di ogni provenienza geografica, religione, costumi – la Lega Nord salviniana, dopo essere stata travolta dagli scandali del Trota e degli investimenti tanzanesi, ha mutato radicalmente pelle prendendo ad esempio l’esperienza di Marine Le Pen e la sua trasformazione del Front National. Fin qui la novità è nota a tutti.
Specificità dell’azione di Salvini è stata però l’introduzione di un cambiamento forte nella relazione tra la Lega e le città: la strategia di Salvini ha agito al fine di portare lo scontro tra poveri all’interno di ognuna di esse, autoproclamandosi (la felpa è il simbolo di questa appropriazione) capo e guida di una comunità nella quale individua e traccia la linea del buono e del cattivo. Di qui l’invito a “ripulire le città”, i richiami alle ruspe; ma anche l’atteggiamento nei confronti dei movimenti sociali che da sempre si oppongono alle retoriche e alle pratiche leghiste, rinnovato dal punto di vista della narrazione.
E’ un passaggio importante da leggere: da una situazione precedente nella quale sia “movimenti” che leghisti si raffiguravano entrambi lontani dall’inseguire una costruzione di discorso ed egemonia sui territori a partire dalle loro identità precostituite, costruendo entrambi (chi in buona fede e chi no, ca va sans dire) pratiche di rottura con il “sistema” dominante delle varie reti di relazioni sociali, Salvini sta cercando un passaggio in avanti.
Appropriandosi di un ruolo dirigente della parte “buona” delle comunità, Salvini cerca di isolare i movimenti sociali descrivendoli come la “feccia” delle città dove questi si trovano, evitando che questi possano legarsi ai tessuti sociali reali e costruendo intorno a loro una retorica di isolamento. La parola d”ordine dei “centri a-sociali” riassume perfettamente questa dinamica nella quale è importante non cadere.
Questa strategia è funzionale al suo portare avanti una guerra ai poveri dislocata nei territori, nel quale il nemico non è più caratterizzato solamente in base alle sue caratteristiche etniche ma diventa chiunque si opponga al “law and order” salviniano, che può essere applicato a qualunque contesto urbano e su ogni specificità etnica. E’ ammissibile che ci siano leghisti di pelle nera, se questi si adeguano alle politiche razziste del partito; non è ammissibile invece che il bianco o la bianca, se indisponibile a piegarsi, mantenga il suo status di appartenente alla comunità.
Ma per piegarsi qui non si intende una sola sottomissione ideologica: significa anche il piegare la testa di fronte alle ingiustizie e all’abbandono, immaginando che l’unico aiuto possa arrivare dalla Lega e non invece dalle lotte. Degli italiani poveri infatti a Salvini non è mai importato niente, questi sono utili finchè sono buoni per giustificare gli ipocriti strali contro un potere “che non fa niente per aiutare chi è davvero in difficoltà” (esattamente come la Lega nella miriade di anni in cui ha esercitato il potere a livello locale e nazionale). Ma il giochino va bene fino a quando verso il povero si può utilizzare un approccio quasi caritatevole, al quale il prode Salvini può stringere la mano per un meraviglioso selfie: non se questo si organizza e alza la testa.
E’ proprio la possibilità di rottura di questo giochino il peggior incubo di Salvini. Di conseguenza l’imperativo per rispondere a questa nuova strategia leghista è quella di rispondere sul livello nuovo agito da questa, alzando il livello del proprio impegno nel costruire relazioni sociali ampie sui territori e rivendicando anche la specificità di questi, l’identità di questi in opposizione al messaggio leghista. E’ in parte quanto ad esempio sperimentato a Palermo qualche mese fa proprio in occasione della visita di Salvini in città, dove il capetto leghista è stato reso evidentemente estraneo al contesto sociale e politico locale.
Rippropriarci di un radicamento guerra tra poveri salviniana l’unica vera straniera nei territori.
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