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Salvini è servito..invasione respinta!

Doveva essere il lancio della campagna elettorale della destra italiana verso le amministrative, è stata una giornata importante di riscossa della città meticcia, antirazzista e antifascista; passa alla storia come un 8 novembre che scalfisce e fa passare in secondo piano l’agognata vetrina elettorale di Salvini rispetto  all’accoglienza riservatagli da una Bologna intollerante al suo messaggio reazionario.

Se il neo ducetto padano pensava di costruirsi un palcoscenico in città, tutti i giornali e i telegiornali parlano invece della dura opposizione che l’ha contrastato per tutta la giornata. E mentre i leghisti riprendevano i loro pullman per fare ritorno alle loro case a chissà quanti chilometri di distanza, la bandiera verde della Lega bruciava in piazza Maggiore a simboleggiare la fine di una parentesi di poche ore ad una storia quotidiana completamente differente, resa viva da una giornata importante di lotta e resistenza popolare, di opposizione diffusa e con importanti picchi di conflitto agiti dalle lotte sociali cittadine.

Era da tempo che il progetto leghista a trazione salviniana aveva individuato nell’8 novembre a Bologna il momento in cui dare la sterzata finale alla propria campagna propagandistica per ricollocarsi nello scenario politico italiano. Dopo un anno in cui in tutte le città la presenza del leader che inneggia al primatismo italiano ha trovato una costante opposizione – che ne ha sempre messo in discussione l’agibilità politica – Salvini aveva lanciato una tre giorni per “bloccare l’Italia”.

A conti fatti, si è reso manifesto come oltre alle presenze televisive (garantitegli da Pd e Berlusconi) la Lega sui territori conti – a parte che nelle sue storiche roccaforti lombardo-venete – semplicemente zero. A parte qualche sparuto volantinaggio qua e là, l’evento si è infine tutto concentrato sulla kermesse elettoralistica della domenica nel capoluogo emiliano. Preceduto da dichiarazioni altisonanti (“sgombereremo Bologna dalle zecche rosse”, “troveremo solo pochi scalmanati a contestarci”…), l’appuntamento felsineo voleva essere da un lato una nuova Pontida, un raduno del popolo leghista, e dall’altro un momento per catturare l’attenzione mediatica e lanciare il nuovo carrozzone elettorale del centro destra verso la prossima tornata di elezioni amministrative.

Così non è stato. All’appello alla Difesa di Bologna c’è stata una risposta importante, forte e molteplice. Migliaia di persone hanno presidiato la città: dalle centinaia stanziatesi al Pratello, storico quartiere antifascista della città, alle decine di gruppi di cittadini che hanno messo in difficoltà le truppe leghiste non appena tentavano di mettere il naso fuori dalla cintura creata loro attorno dal migliaio di celerini presenti a gestire l’ordine pubblico; passando per le contestazioni giunte sin in piazza durante il comizio delle destre e alle azioni diffuse nella città.  E ovviamente, con il grosso corteo delle lotte sociali cittadine dove migliaia di persone tra studenti e giovani, occupanti di case, sindacalismo di base e varie forme dell’associazionismo cittadino sin dalle 10 del mattino hanno bloccato il ponte Stalingrado, cerniera tra il centro e la periferia, per disturbare l’arrivo dei leghisti.

Su questa piazza si è concentrata l’attenzione maggiore delle forze dell’ordine, che hanno tentato di impedire al corteo di muoversi verso il centro. Dopo tre pesanti cariche contro i manifestanti, lo scenario cambia con l’arrivo in porta Mascarella, ai piedi del ponte, di un altro corteo, partito da piazza XX settembre: trovatasi circondata, la polizia carica a quel punto su entrambi i lati. Su ponte Stalingrado si conteranno alla fine cinque cariche, che però non riescono scalfire di un millimetro la determinazione dei manifestanti. Mentre da porta Mascarella due cortei ripartivano, il corteo di Stalingrado ha aggirato da porta San Donato il blocco poliziesco ed è giunto sino a piazza Verdi, cuore della zona universitaria: da lì è poi riuscito a riconquistare piazza Maggiore, dove sino a poco prima si erano concentrati i leghisti.

Salvini esce così battuto politicamente, col suo fazzolettino verde al collo e il suo tentativo di porsi come forza nazionale che si è invece trovato di fronte la riscossa e la dignità di una città che, pur in un autunno complessivamente complicato per i movimenti, è riuscita a produrre passaggi importanti di lotta. Dal 2 ottobre con i tafferugli sotto Unindustria agiti dagli studenti medi contro l’alternanza scuola-lavoro voluta da Renzi, passando per le lotte universitarie contro il nuovo ISEE; elevandosi con la settimana di conflitto contro lo sgombero dell’Ex Telecom ed esprimendosi in decine e decine di iniziative contro l’invasione leghista negli ultimi dieci giorni. L’8 novembre segna dunque un nuovo passo in avanti per il consolidamento e il rilancio di un’ipotesi antagonista nei territori contro l’austerità e le varie facce di chi si propone come gestore della crisi.

Siamo sicuramente ancora solo ai prodromi di un’ipotesi di reale consolidamento di un movimento di classe in città, ma nelle ultime settimane a Bologna si sono scatenate molteplici energie liberogene, capaci di mettere in moto pezzi variegati di corpo sociale: dall’ormai nota presenza nel mondo della formazione e l’importante sciopero nei magazzini della logistica, passando per la più recente effervescenza del movimento di lotta per il diritto all’abitare… molti nuovi pezzi di città si stanno mettendo in gioco.

Dentro questo schema ancora frastagliato e in divenire, ci pare che una scommessa vincente sia stata quella di insistere sull’elemento della territorialità: così come si era visto anni fa nella Val di Susa che rispondeva al leghismo di Cota con le bandiere piemontesi e il detour del “Padroni a casa nostra”; così come a Palermo le bandiere siciliane avevano accolto il leader leghista; così come a Pisa è l’identità dei quartieri popolari che costruisce l’opposizione alla presenza leghista nei territori… anche la costruzione di una giornata di resistenza popolare giocata sulle corde produttivamente contraddittorie di una Bologna meticcia che rivendica la sua appartenenza contro l’invasore esterno pare una scommessa vinta. E’ infatti soprattutto su questo terreno che si fa male per davvero all’ipotesi leghista di consolidamento di un blocco sociale reazionario.

Le lunghe ore di resistenza sul ponte Stalingrado indicano che in questo paese l’unica vera opposizione sociale è quella che si costruisce nelle lotte. Dentro l’apparente afasia dei movimenti è necessario approfondire le linee di conflitto presenti nei territori e sperimentare nuove forme di comunicazione, di conflitto e di presenza nel sociale. Per accompagnare quella torsione in corso che, con tempi apparentemente lunghi ma forse anche fugaci, visti dall’alto della Storia, ci accompagnano dalla stagione dei “movimenti” ad un nuovo corso della lotta di classe che sobbolle invisibile nei quartieri, ma che tante scintille sparse possono far esplodere.

Liber* tutt* e adelante!

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