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San Didero: la distanza incolmabile tra il paese reale e lo Stato degli speculatori

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Sono arrivati di nuovo in piena notte. Uno spiegamento di forze incredibile con idranti, droni, camion caricati con reti e torri faro, oltre mille uomini. Un investimento di risorse che se fosse stato utilizzato con la stessa solerzia per lo screening e il rafforzamento della sanità territoriale o per la campagna vaccinale oggi probabilmente la provincia di Torino verserebbe in una situazione totalmente differente.

Invece no, le priorità sono altre, e mentre a mezzo televisivo assistiamo al balletto delle promesse sulla fuoriuscita dalla pandemia, che ormai si è completamente cronicizzata, un sacco di soldi vengono spesi per recintare un fazzoletto di terra, manu militari, per costruire un fortino in mezzo alla Val di Susa, trattata come territorio di conquista da colonizzare.

Quanto sta succedendo in queste ore rende bene l’idea di cosa sia lo Stato italiano e di che interessi difenda. Mentre le nuvole dei fumi dei lacrimogeni lambiscono l’abitato di San Didero e rendono inutilizzabili i pascoli per il bestiame si capisce cosa lo Stato intenda per transizione ecologica.

Un favore di oltre 50 milioni di euro alle lobbies del cemento e del tondino, una caserma a cielo aperto in piena Val Susa, per affermare con la sopraffazione che le ragioni della vita devono soccombere di fronte al potere del denaro. Sì perchè un autoporto in valle esiste già, ed è quasi fallito perchè, come da anni il movimento continua ad affermare inascoltato, il traffico merci sulla direttrice tra Torino e Lione continua a rarefarsi. Perchè costruire un autoporto a San Didero significa far esplodere una bomba ecologica nell’intera valle. I terreni sono ricchi di pcb e diossine, l’inquinamento dei camion, lo smarino degli scavi che percorrerà l’intera valle.

L’incidenza delle malattie polmonari se il progetto dovesse essere realizzato crescerebbe esponenzialmente ed è paradossale che in un momento in cui si discute delle correlazioni tra Covid e inquinamento, nel momento in cui la questione della salute e del benessere complessivo della società è così centrale si persegua senza colpo ferire, senza alcun dibattito nelle sfere istituzionali e nel teatrino della politica un progetto del genere.

L’autoporto va spostato da Susa a San Didero, e va spostato solo per poter devastare ancora un’altro pezzo di valle per oltre quarant’anni. Per lasciare il posto alla stazione internazionale del TAV, vera e propria cattedrale nel deserto e a un altro deposito di smarino.

Questo perchè il “progresso” non può essere fermato. Un progresso che ha portato l’uomo a sfidare i più pericolosi limiti ecologici, rischiando di arrivare fino al collasso della civiltà. Un progresso che ha regalato ai più giovani un mondo dove la stessa sopravvivenza della specie è messa in dubbio. Dove la forbice tra ricchi e poveri, tra chi specula e chi subisce si approfondisce di anno in anno. Questo è il disegno che sta dietro a megaprogetti come il Tav. Mentre la crisi ecologica è qui ed ora si vogliono emettere 10 tonnellate di CO2 nell’aria per poi recuperarle, forse entro il 2100, sempre che nel frattempo il treno veloce non venga superato da altre tecnologie, sempre che tra ottanta anni ci sia ancora qualcosa da recuperare.

Ecco la transizione ecologica del governo Draghi, del ministro Cingolani, regalare altri soldi a speculatori e devastatori, imporre manu militari, con enormi dispiegamenti di forza l’obbedienza ad un territorio che ormai è considerato al di fuori, de facto, dallo stato di diritto. I cittadini della Val di Susa (e non solo, anche di tutti quei territori dove le ragioni del denaro non coincidono con quelle della salute pubblica) ormai sono considerati alla stregua di dei sudditi, lì dove non direttamente dei nemici. Questi soldi, questi 50 milioni, quegli oltre 8 miliardi di euro del progetto complessivo del TAV, potrebbero essere spesi per rispondere alle sfide del presente, per adeguare la sanità, per riparare ai torti che il concetto malinteso di progresso ha fatto alla natura e alle prossime generazioni. Potrebbero essere usati per dare sollievo a chi più di altri sta pagando questa crisi. Questo sarebbe un vero progresso, un progresso di civiltà, di vita comune, di un nuovo modo possibile di vivere le relazioni tra umani. Si potrebbero bonificare territori, generare fonti di energia alternativa, pensare a sistemi di trasporto per i cittadini che permettano di evitare il contagio. Si potrebbero fare molte cose con quel maledetto denaro. Ma l’unica che sono disposti a fare, con manganelli, idranti e lacrimogeni, è la perpetuazione di un modello di sviluppo mortifero e violento.

Questa è la verità che la Val di Susa sperimenta nell’epoca della pandemia e della crisi ecologica, questa è la verità che coinvolge la vita di milioni di persone in tutto il paese. Oggi come non mai essere No Tav non vuol dire solamente opporsi alla devastazione, ma vuol dire offrire un’opportunità di vita diversa, collettiva, combattendo a fianco della natura e non contro di essa. Essere No Tav vuol dire mettersi in cammino per conquistare il vero progresso, quello di una vita degna per tutt* contro quello che ci offre questo modello di sviluppo: una lotta per la soppravvivenza quotidiana.

 

 

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