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Sciopero generale (malgré soi) contro la manovra Monti

Non sarà certo una scadenza che verrà ricordata anche se è ad oggi la prima risposta generale del mondo del lavoro (dipendente salariato classico – gli studenti erano già scesi in piazza a caldo lo scorso 17 novembre) alla manovra del governissimo Monti. Dopo avere provato in tutti i modi ad ottenere una qualche forma minima di ritocco alla più dura manovra contro le classi medio-basse, i confederali si trovano obbligati, loro malgrado, a confermare uno sciopero generale (di 3 ore) contro una manovra che giudicano “iniqua” e volta far cassa sulla pelle dei soliti noti.

E’ uno sciopero che mostra soprattutto la miseria di un centro-sinistra “montizzato” e sussunto dalla retorica del “ce lo chiedono i mercati”. Perfino l’ultimo filo che teneva insieme “partiti” e “sindacati” sembra rompersi con i primi ben attestati sulla linea del silenzio dettata da “interessi superiori” e i secondii obbligati, fin nelle loro componenti più gialle e aziendalistiche, a dire “No” ad una manovra che chiede tutto senza dare in cambio niente. A Vendola e soci – terminato l’idillio coi “movimenti” – il compito di rappresentare una Sinistra che non c’è più.

Se in qualche città (Brescia, Bologna) la Cgil sceglie di scendere in piazza da sola, nel resto del paese ci si accomoda stancamente a dei presidi che dicono poco e fanno ancora meno. La Fiom da sola, in qualche caso accompagnata da rappresentanze sociali (qualche centro sociale, qua e là dei sindacati di base, un po’ di bandiere notav e poco altro), tenta almeno di attravresare piazze e strade delle città, non senza risultati numerici significativi (7/8000 a Torino con punte di adesione allo sciopero all’80/90 % in alcune fabbriche).

Restano però poco più di buone intenzioni dentro un quadro complessivo drammatico per l’attacco senza precedenti alle condizioni di vita di cittadini-lavoratori-consumatori che, in larga parte, credono ancora di poeter scampare agli effetti di una crisi strutturale passando per la stretta cruna dell’ago predisposta da Monti & company. Di ben altro avremo bisogno per risalire la china dell’obbedienza alla Finanza, uscire dal lungo inverno montiano e costruire una nuova primavera. Coniugando insieme antagonismo e ricostruzione dei legami sociali, al di fuori di identità lavorative  formate in un altrove-qui sistemico che dovremo invece imparare a ri-aggredire. Quel poco che abbiamo in casa (notav, mobilitazioni studentesche, lotte territoriali e resistenze diffuse) e quanto arriva da più lontano (indignados, occupy e piazze arbe) ci indicano questa strada, tanto per iniziare…

Maelzel

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