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Sulla testa dei re

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Lo diciamo senza tanti giri di parole: il bacio della pantofola da parte delle istituzioni a guida PD alla famiglia Savoia, con la tumulazione dei resti di Vittorio Emanuele III°, si inserisce in perfetta continuità con quelli a Priebke e Casamonica. Anzi in qualche modo suggella l’alleanza, l’eredità e la costruzione di sistema compiuta da varie forme di potere autoritario in questo paese, nelle facce dell’oppressione nazifascista, della criminalità organizzata, della monarchia collaborazionista per arrivare fino all’attuale destra neoliberale barricata nei palazzi romani.

Possono cambiare le forme, ma è solo un paradosso apparente la plateale e pubblica celebrazione del potere mafioso dei Casamonica nei giorni del Giubileo davanti al rientro clandestino di un esponente di casa Savoia tumulato come un malavitoso ma con un tanfo di incenso e sacra aura mediatica inaccettabili; così come venga negata cittadinanza a chi nasca nel nostro paese da genitori stranieri, ma concessa alle esequie di veri e propri criminali di guerra con la scusa che “tutti i morti siano uguali”; come se fosse accettabile che il boia Priebke dovesse riposare in una di quelle carceri in cui ha torturato e mandato a morire tanti oppositori nella solitudine e nel silenzio, magari proprio al loro fianco. Per non parlare dello strumento spettacolare con cui il buonismo di Fabio Fazio ha riabilitato il principe Emanuele Filiberto, che tra una stecca a Sanremo ed una pallonata a Quelli che il Calcio ha potuto permettersi, impunito, di sparare a zero su entità come l’ANPI.

Intorbidendo le acque della memoria storica, il cui verdetto è che gli affiliati di questa congrega di potere che si ammantano dei paramenti di patria, onore ed interesse nazionali sono sempre i primi a strumentalizzarli ed all’occorrenza a tradirli: dal duce del “se avanzo seguitemi, se indietreggio uccidetemi” fuggito travestito da soldato tedesco, ai rituali mafiosi e democristiani, ai giochi finanziari delle tre carte dei contemporanei decreti “Salva Italia”.

Un ossequio che nel momento in cui è consumato deve ribadire il rapporto di forza presente, la perpetuazione dei poteri temporali, il monito che si può protrarre fino ed oltre al 2017 ciò che un secolo fa doveva cambiare affinché nulla cambiasse. Perché vi sono evidenti segnali di continuità storica tra il ventennio (e ciò che l’ha preceduto) e l’epoca attuale, a cominciare dallo stesso nome di questo governo: al di là dei facili paralleli con la situazione libica, abbiamo avuto una guerra non guerreggiata ma finanziaria che ha lasciato il mondo più impoverito, insicuro, diffidente verso lo straniero anziché verso i suoi architetti, riconosciuti ed affrontati dai movimenti del 2011.

Con la complicità di una certa geopolitica che riduce popolazioni e territori alla stregua di etichette e squadre da tifare o a cui opporsi, e che impedisce di scorgere dei punti di convergenza e somiglianza. Come quelli che ci legano alla penisola iberica – dove una monarchia spagnola anch’essa collusa col franchismo è garante e perno di un sistema in bancarotta, in più sensi – le cui spinte centrifughe sono anche il prodotto dell’odio verso quelle porte girevoli da cui transitano tutti i figuranti di potere dal sangue più o meno blu, passati presenti e futuri.

Tanti che oggi continuano ad ambire e sono legittimati al conseguimento del potere assoluto: lo zar Putin, il sultano Erdogan, il presidente ereditario Kim Jong Un, il mandarino Xi, il re Salman, come la cancelliera Merkel, il CEO Trump ed il conte Gentiloni: i nuovi nobili, contestati al G20 di Amburgo ed al G7 di Torino.

Ma il passato non può rimanere una trappola in cui crogiolarsi e su cui piangere e strepitare. Deve essere una conquista da rinnovare ogni giorno, per cui battersi con tante lotte reali e poche semplici parole: voi e chi vi difende, imbelletta e legittima siete da una parte, e noi dall’altra!

“Oh gentiluomini, il tempo della vita è breve! 
Trascorrere questa brevità nella bassezza 
sarebbe cosa troppo lunga.
 Se viviamo è per marciare sulla testa dei Re.
 Se moriamo, o che bella morte, quando i Principi muoiono con noi. 
Ora per le nostre coscienze le armi sono giuste.
 Quando l’intenzione nel portarle è ragionevole.” [William Shakespeare, Enrico IV]

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