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Tra Renzi, Draghi… e Camusso

Il futuro del proletariato italiano rischia di essere preso in una triplice tenaglia, intrappolato tra i diktat di una Banca Centrale Europea sempre più esosa e le promesse alquanto ambiziose del neo-presidente del Consiglio.. cui fanno da complemento i ‘nì’ di Camusso, che a nome di Cgil-Cisl-Uil plaude per la riduzione del cuneo fiscale sul lavoro dipendente ma critica (giustamente) il prelievo fiscale sulle pensioni da lavoro.

Assisteremo così molto probabilmente alla mesinscena di una contrapposizione intra-generazionale dove al rampantismo giovanilista di un Renzi che promette contratto unico e garanzia di reddito farà da nemesi il sindacalismo concertativo, trincerato nella difesa degli unici pezzi di società ancora in grado di tutelare… ma pronto a dare in cambio tutto il resto.

Annunciata da tempo, la proposta renziana del Job Act inizia a prendere forma e – pur restando indefiniti molti aspetti – non c’è molto di cui essere felici. Per quel poco che riusciamo a capire del burocratese parlamentare e la sua ridda di articoli e commi, la grande innovazione si farà (se si farà!) al prezzo di una infinità disponibilità della forza-lavoro ad accettare quel che gli viene proposto (un po’ sul modello workfaristico tedesco delle leggi Hartz in cui il percettore di reddito è obbligato a svolegere qualunque lavoro gli venga propostro per mantenere il proprio diritto al reddito).

Tra i grossi nodi che Renzi e il suo programma cercheranno di sciogliere c’è la razionalizzazione della Pubblica Amministrazione, da rendere più produttiva e snella (migliaia di licenziamenti?) assieme una commistione sempre più spinta tra Pubblico e Privato nell’erogazione dei servizi. Licenziamenti massivi e privatizzazione saranno dunque i due cardini di una politica economica che si dice disponibile a dare in cambio un salario di sussistenza, al prezzo però di una totale disponibilità nell’accettare qualunque proposta arrivi.

Qualche altro dettaglio interessante: al primo punto del comma 2 del 1 articolo leggiamo che “con riferimento agli strumenti di tutela in costanza di rapporto di lavoro [si dà l’]impossibilità di autorizzare le integrazioni salariali in caso di cessazione di attività aziendale o di un ramo di essa“… il che ci sembra implicare che se una ditta fallisce i lavoratori/trici di essa non riceveranno più il dovuto che fino ad oggi veniva garantito (per il lavoro dipendente) da vari strumenti locali o nazionali. Assieme alla riduzione del costo del lavoro (per le aziende), lo Stato getta le basi per un esonero di responsabilità per quelle migliaia di lavoratori e lavoratrici destinati alla mobilità. Qui il vero obiettivo è la riforma (abolizione) della cassa integrazione: ci viene detto “contributi più bassi per tutti” (cioè meno tasse per il lavoro dipendente, con l’approvazione dellam Camusso) ma, si precisa, “più alti per chi ne fa ricorso”. Si andrà cioè verso l’esaurimento la cassa in deroga in favore dell’assegno unico di disoccupazione e degli ammortizzatori per tutti (il Naspi appunto – il reddito di base in declinazione renziana).

Vero è che qualche spiraglio la proposta sembra contenerla, nella misura in cui un’omogeneizzazione delle forme contrattuali potrà forse produrre una più chiara consapevolezza della comune condizione in cui versano oggi milioni di precari/e e diventare quindi oggettiva condizione per una futura e ipotetica (soggettiva) ricomposizione di interessi dal nostro lato della barricata. Ma con i se non si costruiscono percorsi ed è molto probabile che Renzi utilizzerà questa proposta e la promessa di un reddito (molto condizionato) per far presa su quel 50% di disoccupazione giovanile che suppone assai disponibile ad accettare un lavoro pur che sia… 

Le proposte sembrano piacere alquanto i due bastioni mediatici della borghesia italiana, tanto di “sinistra” che di “destra”: “Uno choc per rilanciare il Paese. Uno choc che passa dalla lotta alla disoccupazione e dal taglio alle tasse per almeno 10 miliardi di euro. Un piano pensato per spingere i consumi e rilanciare il lavoro” gongola Repubblica. Gli fa eco la redazione economica del Corriere: “Effetto Renzi sulla Borsa, avvio ok“.

Il “grande choc per rilanciare l’economia” che sembra tanto piacere anche al vice Alfano consisterebbe insomma nell’operare una compiuta e radicale metamorfosi della società italiana, renderla cioè più competitiva e capitalista di quanto già è, abbattendo i costi sociali di riproduzione (welfare, lavoro pubblico e pensioni) e puntando sulla disponibilità al farsi sfruttare delle giovani generazioni (ma anche qui ci saranno, crediamo, ampi margini di battaglia!).

In questo senso, le dichiarazioni della Banca Centrale Europea – “L’Italia non ha fatto tangibili progressi per far scendere il deficit, rimasto al 3 per cento nel 2013 contro il 2,6 raccomandato dall’Europa” – fungono forse più da ulteriore disciplinamento dei passaggi da farsi che come reale contestazione del piano renziano. Se è pur vero che è difficile far quadrare questi conti, siamo altrettanto certi che sul desiderata della governabilità convergeranno tutti. In fondo non tocca a noi farci ragionieri dell’Europa del Capitale quanto forzare le eventuali brecce che potranno aprirsi.

Che le lotte e le pressioni dal basso siano il vero incubo da esorcizzare ce lo dice del resto l’articolo 5 del piano casa presentato ieri in Consiglio dei Ministri (→Gravissimo attacco del governo Renzi contro i movimenti per il diritto all’abitare). Alla lotta dunque, cominciando dal prossimo 12 aprile, data che dovrà necessariamente configurarsi come prima risposta del movimenti ai piani di Renzi e alla compatibilità europea che ci strozza.

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