Un NO strategico alla riforma del lavoro
Il ddl Fornero è passato al Senato nella giornata di ieri. Alla camera, in assenza di lotte e conflitti all’altezza della posta in gioco, il voto sarà ancora più blindato ed il passaggio più rapido. Il Senato ha liquidato l’art.18 con 231 voti a favore e solo 33 contrari: aggravando quanto era già previsto sul lavoro precario, rendendo ancora più facile licenziare e indebolendo ulteriormente gli ammortizzatori sociali.
In sintesi:
* per i Contratti di lavoro a termine sono cancellate le causali nelle assunzioni con contratti di lavoro inferiori a 12 mesi ( il testo della Ministra indicava sei mesi) e inoltre con accordi interconfederali, contratti nazionali di categoria, contratti territoriali e aziendali si può derogare alle causali per tutti i contratti a termine, a prescindere dalla loro durata, fino al 6% dei lavoratori occupati, Questo significa che il contratto a tempo indeterminato diventa un miraggio!
* per i Lavoratori interinali con contratto a termine la stabilizzazione avverrà solo dopo 36 mesi, ma il loro rapporto di lavoro sarà a tempo indeterminato con le agenzie interinali e non con l’azienda nella quale lavorano.
* per gli Apprendisti: si consente alle aziende di assumere nuovi apprendisti anche se non hanno confermato nessuno dei contratti di apprendistato precedenti, in barba alle percentuali di conferma previste dal CCNL dei metalmeccanici , già ridotte dalla ministra Fornero. Sui Licenziamenti, non solo si conferma la cancellazione dell’art. 18, per cui di fronte ad un licenziamento illegittimo non è più automatica la reintegrazione nel posto di lavoro, ma sono state date ulteriori possibilità alle aziende per licenziare.
* sugli Ammortizzatori sociali, oltre ad aver cancellato la cassa integrazione per cessazione di attività, la legge 223 e aver ridotto la durata del trattamento di mobilità, hanno anche deciso che le aziende nei prossimi tre anni non dovranno pagare il contributo previsto dal testo della Fornero per i contratti di lavoro a termine. Il che significa che le mancate entrate pari a 7 milioni di euro per ogni anno vengono compensate esclusivamente dai fondi per il sostegno all’occupazione giovanile e delle donne. (fonte Fiom)
Ci è utile, come forze sociali inclini alla trasformazione reale ed indisponibili al mero ruolo di testimoni del lamento, analizzare la posta in gioco, di ristrutturazione politica e sociale, che segna questa riforma del lavoro, nel quadro della strategia di “crescita” del governo Monti.
Il compito di “risanare” i conti, abbattendo debito e spesa pubblica, è affidato da Monti a tasse, tagli e “spending review”; la riforma del lavoro – assieme alle decantate liberalizzazioni – debbono invece assolvere – nel quadro internazionale di crisi – al compito di svalutare decisamente il costo del lavoro, per riattrarre “capitali”, ri-orientare flussi produttivi di beni e servizi dentro l’italica periferia europea e riformulare il nesso tra produzione e profitto sganciando completamente l’impresa da qualsiasi vincolo con la forza-lavoro. Profitto variabile indipendente, insomma.
Accanto alla proletarizzazione cui la gran parte dell’ex ceto medio è forzata da provvedimenti che mirano alla concentrazione di capitali ed alla salarizzazione di fatto di piccoli produttori, un secco impoverimento generale deve essere accompagnato da una vera e propria “nuova accumulazione”. Sta qui l’idea e la tendenza di “crescita” a cui contrapporre non impossibili corporativismi né docili mediazioni, quanto piuttosto la nuova consapevolezza che l’attacco oggi è giocato interamente sul piano della vita messa al lavoro, delle sue condizioni e dei dispositivi di assoggettamento che ne stanno riformulando soggettività ed istanze.
Sono nate e si riprodurranno esponenzialmente nuove condizioni soggettive – disponibili al conflitto quanto ad oggi irrapresentate né organizzate: crescita degli working poors, intermittenza permanente di lavoro\inoccupazione\disoccupazione (quanti sono e saranno gli interinali, i lavoratori al nero, i precari che hanno perso il beneficio del sussidio o di altri ammortizzatori sociali?), ricattabilità endemica nella costrizione al lavoro, inscindibilità di sfruttamento e meccanismi d’indebitamento (mutuo, assicurazioni, equitalia…)…
Il piano del ddl Fornero sintetizza e ricompone, sul piano del capitale, il portato simbolico dell’abolizione dell’articolo 18 sancendo definitivamente il principio della licenziabilità individuale; la soppressione di gran parte degli ammortizzatori sociali, in risposta alle pretese (chimeriche, in assenza di lotte e di riappropriazione sociale di massa) del reddito di cittadinanza; l’approvazione dei contratti- schiavitù Apprendistato.
In tutto questo la risposta del sindacato confederale, Cgil in testa, è quella di funzionare da vera e propria tachipirina delle lotte, preparandosi a diventare “sindacato aziendale di mercato” sempre più con la funzione di erogare quei “servizi”che si salveranno dai tagli al welfare.
Troppi i legami con lo schifo di questa classe politica, troppa l’abitudine a rinunciare a prendere la posizione giusta, troppa la formazione pluridecennale di soggettività politico-sindacali inclini alla concertazione a senso unico per l’azienda ed il padrone.
Lo sciopero generale, l’assedio al parlamento, l’estensione delle lotte riuscita in Spagna qui necessariamente deve imboccare altre strade. E non da ora ce ne siamo accorti. Le uniche indicazioni che provengono dall’alto delle tradizionali organizzazioni sindacali, sono quelle che ci confermano l’urgenza di rimboccarsi le maniche per interpretare la diffusa insopportabilità in chiave del blocco e della costruzione conflittuale di processi comuni di quello che chiamiamo sciopero sociale.
Già dalla prossima settimana occorrerà rimetterlo in pratica.
Nuova camera sociale del lavoro – Pisa
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vedi anche: La strategia della “crescita” del governo Monti
Il ddl Fornero è passato al Senato nella giornata di ieri. Alla camera, in assenza di lotte e conflitti all’altezza della posta in gioco, il voto sarà ancora più blindato ed il passaggio più rapido. Il Senato ha liquidato l’art.18 con 231 voti a favore e solo 33 contrari: aggravando quanto era già previsto sul lavoro precario, rendendo ancora più facile licenziare e indebolendo ulteriormente gli ammortizzatori sociali. In sintesi:
* per i Contratti di lavoro a termine sono cancellate le causali nelle assunzioni con contratti di lavoro inferiori a 12 mesi ( il testo della Ministra indicava sei mesi) e inoltre con accordi interconfederali, contratti nazionali di categoria, contratti territoriali e aziendali si può derogare alle causali per tutti i contratti a termine, a prescindere dalla loro durata, fino al 6% dei lavoratori occupati, Questo significa che il contratto a tempo indeterminato diventa un miraggio!
* per i Lavoratori interinali con contratto a termine la stabilizzazione avverrà solo dopo 36 mesi, ma il loro rapporto di lavoro sarà a tempo indeterminato con le agenzie interinali e non con l’azienda nella quale lavorano.
* per gli Apprendisti: si consente alle aziende di assumere nuovi apprendisti anche se non hanno confermato nessuno dei contratti di apprendistato precedenti, in barba alle percentuali di conferma previste dal CCNL dei metalmeccanici , già ridotte dalla ministra Fornero. Sui Licenziamenti, non solo si conferma la cancellazione dell’art. 18, per cui di fronte ad un licenziamento illegittimo non è più automatica la reintegrazione nel posto di lavoro, ma sono state date ulteriori possibilità alle aziende per licenziare.
* sugli Ammortizzatori sociali, oltre ad aver cancellato la cassa integrazione per cessazione di attività, la legge 223 e aver ridotto la durata del trattamento di mobilità, hanno anche deciso che le aziende nei prossimi tre anni non dovranno pagare il contributo previsto dal testo della Fornero per i contratti di lavoro a termine. Il che significa che le mancate entrate pari a 7 milioni di euro per ogni anno vengono compensate esclusivamente dai fondi per il sostegno all’occupazione giovanile e delle donne. (fonte Fiom)
Ci è utile, come forze sociali inclini alla trasformazione reale ed indisponibili al mero ruolo di testimoni del lamento, analizzare la posta in gioco, di ristrutturazione politica e sociale, che segna questa riforma del lavoro, nel quadro della strategia di “crescita” del governo Monti.
Il compito di “risanare” i conti, abbattendo debito e spesa pubblica, è affidato da Monti a tasse, tagli e “spending review”; la riforma del lavoro – assieme alle decantate liberalizzazioni – debbono invece assolvere – nel quadro internazionale di crisi – al compito di svalutare decisamente il costo del lavoro, per riattrarre “capitali”, ri-orientare flussi produttivi di beni e servizi dentro l’italica periferia europea e riformulare il nesso tra produzione e profitto sganciando completamente l’impresa da qualsiasi vincolo con la forza-lavoro. Profitto variabile indipendente, insomma.
Accanto alla proletarizzazione cui la gran parte dell’ex ceto medio è forzata da provvedimenti che mirano alla concentrazione di capitali ed alla salarizzazione di fatto di piccoli produttori, un secco impoverimento generale deve essere accompagnato da una vera e propria “nuova accumulazione”. Sta qui l’idea e la tendenza di “crescita” a cui contrapporre non impossibili corporativismi né docili mediazioni, quanto piuttosto la nuova consapevolezza che l’attacco oggi è giocato interamente sul piano della vita messa al lavoro, delle sue condizioni e dei dispositivi di assoggettamento che ne stanno riformulando
soggettività ed istanze.
Sono nate e si riprodurranno esponenzialmente nuove condizioni soggettive – disponibili al conflitto quanto ad oggi irrapresentate né organizzate: crescita degli working poors, intermittenza permanente di lavoro\inoccupazione\disoccupazione (quanti sono e saranno gli interinali, i lavoratori al nero, i precari che hanno perso il beneficio del sussidio o di altri ammortizzatori sociali?), ricattabilità endemica nella costrizione al lavoro, inscindibilità di sfruttamento e meccanismi d’indebitamento (mutuo, assicurazioni, equitalia…)…
Il piano del ddl Fornero sintetizza e ricompone, sul piano del capitale, il portato simbolico dell’abolizione dell’articolo 18 sancendo definitivamente il principio della licenziabilità individuale; la soppressione di gran parte degli ammortizzatori sociali, in risposta alle pretese (chimeriche, in assenza di lotte e di riappropriazione sociale di massa) del reddito di cittadinanza; l’approvazione dei contratti- schiavitù Apprendistato.
In tutto questo la risposta del sindacato confederale, Cgil in testa, è quella di funzionare da vera e propria tachipirina delle lotte, preparandosi a diventare “sindacato aziendale di mercato” sempre più con la funzione di erogare quei “servizi”che si salveranno dai tagli al welfare.
Troppi i legami con lo schifo di questa classe politica, troppa l’abitudine a rinunciare a prendere la posizione giusta, troppa la formazione pluridecennale di soggettività politico-sindacali inclini alla concertazione a senso unico per l’azienda ed il padrone.
Lo sciopero generale, l’assedio al parlamento, l’estensione delle lotte riuscita in Spagna qui necessariamente deve imboccare altre strade. E non da ora ce ne siamo accorti. Le uniche indicazioni che provengono dall’alto delle tradizionali organizzazioni sindacali, sono quelle che ci confermano l’urgenza di rimboccarsi le maniche per interpretare la diffusa insopportabilità in chiave del blocco e della costruzione conflittuale di processi comuni di quello che chiamiamo sciopero sociale.
Già dalla prossima settimana occorrerà rimetterlo in pratica.
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