Una catena umana di 620 km per accedere al tempio: la rivolta delle donne del Kerala
Sono più di 3 milioni le donne che nella giornata di martedì 1 gennaio hanno partecipato alla catena umana chiamata “muro delle donne” per ribadire il loro diritto ad entrare nei luoghi di culto.
La dimostrazione era anche appoggiata dal governo del Kerala (regione meridionale del paese) che nel mese di settembre aveva abolito il divieto storico di accesso al tempio indù Sabarimala alle donne. Durante la notte fra il 1 e il 2 gennaio, due donne, Bindu e Kanakdurga, sono riuscite ad entrare per la prima volta nel tempio sacro, il quale è poi stato chiuso per un’ora per effettuare un rituale di purificazione in risposta all’ingresso delle due donne. Nonostante l’emendamento del governo nessuna donna era ancora riuscita ad entrare nel tempio. Il primo tentativo era avvenuto ad ottobre da parte di altre due donne, ma alcuni religiosi integralisti le avevano bloccate. Da allora decine di donne avevano provato a compiere il pellegrinaggio al tempio Sabarimala come gesto di protesta.
Questi due episodi hanno scatenato una feroce reazione nella regione. In numerose città si sono sollevati fondamentalisti religiosi, tradizionalisti e gruppi di destra. Ieri sono avvenuti tafferugli sotto il Parlamento della città di Thiruvananthapuram, capitale del Kerala. Le proteste delle donne hanno inoltre polarizzato le posizioni politiche del paese. Il Partito Popolare Indiano (BJP), a alla guida del paese, attraverso il leader Sreedharan Pillai ha definito “devastante, una cospirazione degli atei” l’iniziativa delle due donne entrate nel tempio. Anche il primo ministro Narendra Mori, appartenente al BJP, si è esposto: “il divieto è un credo religioso, non una questione di parità di genere”.
Per quanto alle nostre latitudini si possa essere influenzati e traditi da uno sguardo coloniale orientato perennemente a rinvenire la salvifica lotta tra forze modernizzatrici e quelle della conservazione, la partecipazione massiccia delle donne del Kerala a questa protesta rivela un uso politico della religione per riconquistare uno spazio di autodeterminazione sorprendente. Centinaia di migliaia di donne indiane misurano su una scala collettiva e di massa le sfide che quotidianamente sono costrette ad affrontare in solitudine: la violenza e il problema dell’autodifesa, la subalternità e il problema della della visibilità in una società prepotentemente maschilista. L’India è tutt’oggi uno dei paesi al mondo con il più alto tasso di violenze sessuali e mutilazioni e aggressioni nei confronti delle donne.
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