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I furbetti del cantierino

 

Partiti, mafie e appalti da Venaus a Chiomonte

(2006-2011)

Lazzaro prestanome di Lo Presti? – I Lazzaro nel Canavese – Ferdinando Lazzaro in carcere – Osvaldo Napoli e la “talpa” in procura – Tonino Esposito minaccia Procopio – Rinaudo al telefono con Esposito – Procopio e Lunardi – I Lazzaro e Bruno Iaria – Giovanni Iaria nel Canavese – Iaria e il procuratore di Ivrea – Claudio Martina a casa di Iaria – Bertot e Porchietto al bar della ‘Ndrangheta – Bertot e Iaria – Il patto politica-‘Ndrangheta su Tav e cantieri – Il boss De Masi appoggia Fassino – Scontri in valle per i sondaggi – Ltf e Procopio condannati in primo grado – Ltf firma il contratto Tav con Lazzaro e Martina – I No Tav respingono Lazzaro e la polizia – Rinaudo indaga i No Tav – Nasce la Libera Repubblica della Maddalena.


L’ascesa dei Lazzaro

Quando Rocco Lo Presti, storico boss della Val Susa, venne arrestato il 6 novembre 2006, era passato un anno e mezzo dalla cena che Luciano Moggi aveva organizzato alla presenza del suo emissario a Torino, Tonino Esposito, e il futuro pm d’assalto contro il movimento No Tav, Antonio Rinaudo. L’arresto di Lo Presti segnò la fine di un’epoca nella storia della ‘Ndrangheta valsusina e torinese. Tale trasformazione era già iniziata molto prima, il 3 giugno 1993, quando il sindaco di Bardonecchia, Alessandro Gibello (Dc), aveva firmato l’ultima autorizzazione a edificare per il clan di Lo Presti, al fine lasciargli deturpare l’ultimo territorio rimasto verde sul demanio comunale, nell’area denominata Campo-Smith. Le ditte facenti capo al boss furono beneficiarie degli appalti attraverso prestanome, com’era già avvenuto con l’autostrada del Frejus, conclusa nel 1990.

Un anno dopo l’investitura istituzionale per l’edificazione di Campo-Smith, tuttavia, la procura di Torino indagò il sindaco, alcuni funzionari del comune e i carabinieri di Bardonecchia (si era in pieno clima Tangentopoli) per favoreggiamento e collusioni decennali con il padrino dell’ormai famosa “mafia della Val Susa”. Lo Presti sarà condannato a sei anni per associazione mafiosa nel 2002, ma l’istanza d’appello giacerà dimenticata nei cassetti della procura, permettendogli quella libertà che utilizzerà per mettere in piedi il giro d’usura a Torino grazie a Tonino Esposito. Il vecchio boss sperava così di non attirare le attenzioni della procura, spostando i propri interessi a Torino. Si sarebbe servito, come luogotenente, dell’amico del pm Rinaudo.

Nel 2006, conclusa la grande spartizione per i giochi olimpici, Lo Presti finì però, nuovamente, sotto i riflettori della stampa, con le manette ai polsi proprio per il giro di usura, che fu scoperto dal pm Malagnino (che proprio durante quella indagine, per primo, scoprì il legame tra Esposito e Rinaudo. Lo Presti, vecchio e malato, uscì allora definitivamente di scena. I suoi alleati storici, i Mazzaferro, erano a loro volta, da tempo, fuori gioco: Vincenzo è in carcere per narcotraffico e Ciccio è stato assassinato in una faida nel 1993. Quando la magistratura indaga su Campo-Smith, tuttavia, l’ex sindaco di Bardonecchia Mario Corino rivela alla stampa (è il 6 ottobre 1994) che i prestanome per i Mazzaferro-Lo Presti per l’A32 furono i Lazzaro, la famiglia di Bronte (un piccolo centro della provincia di Catania) emigrata a Susa, che già negli anni Settanta era stata al centro di violenze occorse in valle nei confronti di operai e aziende rivali. Il rapporto Cnel del 2010 ricostruisce così la situazione nel torinese prima degli anni Novanta: “Prima che intervenissero i magistrati c’era stata un’alleanza tra famiglie legate alla ‘ndrangheta calabrese e famiglie legate alla mafia siciliana, in particolare a quelle del catanese, che era riuscita a monopolizzare il traffico di sostanze stupefacenti e le attività estorsive in danno di commercianti ed operatori economici”.

Nel 1992 Benedetto Lazzaro – il capostipite della famiglia – fu arrestato per reati contabili; poi, nel 1993, finì sotto inchiesta proprio per i 13 miliardi di lire ricevuti per i lavori dell’autostrada Torino-Bardonecchia. Sono gli anni in cui, dopo quarant’anni di devastazione ambientale da parte dei boss, e nell’ambito dell’esigenza dello stato di rifarsi un’immagine dopo le stragi di Capaci e via d’Amelio, il presidente Scalfaro impone lo scioglimento per mafia del comune di Bardonecchia, primo caso in assoluto nel nord Italia (1995). Ma già alla fine degli anni Novanta, non risultando coinvolti direttamente, per ciò che appurò la magistratura, nelle faide e nel narcotraffico, i Lazzaro gestivano il loro piccolo impero nei cantieri della valle pressoché indisturbati. Il padre Benedetto lasciò allora il posto al figlio Ferdinando, secondo un tipico avvicendamento da anni Novanta in cui in primo piano emerge una generazione dall’aspetto più rispettabile, da “colletto bianco”. Ferdinando arriva ad allargare il giro d’affari della famiglia anche al Canavese, l’area settentrionale della provincia di Torino, a nord della Val Susa: nel 1999 la Regione Piemonte offre ai Lazzaro ben 1.5 mld di lire per la ristrutturazione di alcuni immobili nel comune di Agliè.

Anche Lo Presti e i Mazzaferro avevano avuto a che fare con quest’area, se è vero che l’imprenditore Mario Ceretto, del cui omicidio era stato accusato proprio Lo Presti, proveniva da Cuorgné. Ma soprattutto, a Cuorgné era presente da tempo un altro affiliato alla ‘Ndrangheta, Giovanni Iaria, naturalmente imprenditore edile e stretto amico di Ciccio Mazzaferro. L’attività di Iaria traduce al meglio il carattere squisitamente di classe dell’attivita dell’organizzazione: tutti gli imprenditori del Canavese di rivolgevano a lui per ottenere mano d’opera a basso costo, poiché la violenza di cui poteva disporre l’organizzazione era anzitutto una minaccia persistente contro qualsiasi rivendicazione operaia. Una forma di violenza cui non erano certo estranei i Lazzaro, inquisiti più volte negli anni Settanta per strane “risse” e “pestaggi” contro valligiani e operai, e il cui capofamiglia, Benedetto, finì proprio in un’inchiesta sul caporalato. L’attività di Iaria nel Canavese per conto della ‘Ndrangheta era pervasiva: coltivò rapporti così stretti con il procuratore di Ivrea che quest’ultimo, una volta scoperto, fu costretto a dimettersi dalla magistratura.

I Lazzaro, dopo l’appalto nel Canavese, creano un cartello illegale che copre tutta l’area di Torino e la Val Susa: da Torino ad Avigliana, passando per Rosta e Sant’Ambrogio, un paesino che subirà una speculazione edilizia vergognosa, con annesse truffe alle famiglie che acquisteranno le case, e che sarà perciò segnato, nella diceria popolare, dalla triste e non meritata fama di paese “della mafia valsusina”. Le commesse pubbliche che i Lazzaro e i loro soci riescono ad ottenere grazie al cartello-ombra hanno il valore di decine di miliardi di euro. Le riunioni si tengono a Buttigliera Alta, nella bassa Val Susa, più precisamente nella sede della Escavazioni Valsusa. Il 31 maggio 2002, però, Ferdinando Lazzaro viene arrestato assieme a undici imprenditori coinvolti nel cartello.

Interessante è che i magistrati che hanno ordinato gli arresti siano costretti anche ad aprire uno scomodo fascicolo “giudiziario-politico” della vicenda.

Le indagini, infatti, erano state chiuse in fretta e furia a causa di una fuga di notizie. In una conversazione registrata dalle microspie collocate alla Escavazioni Valsusa, l’imprenditore Beppe Magrita di Giaveno (paese della Val Sangone, situata immediatamente a sud della Val Susa) aveva detto ai sodali di non parlare più al telefono dei loro affari, perché gli apparecchi erano tutti sotto controllo. Qualcuno, disse, aveva fatto trapelare la notizia dalla procura. “Non fate mai il suo nome” disse Magrita intercettato; ma un altro degli imprenditori arrestati, Francesco Butano, parlò in carcere con i magistrati e rivelò che la talpa in procura aveva riferito dell’indagine in corso a Osvaldo Napoli, parlamentare di Forza Italia e sindaco di Valgioie, che è proprio nella Val Sangone: il ben noto affiatamento tra “politica” e “impresa”, condito dalle solite liason all’interno della magistratura…

Lo stesso Ferdinando Lazzaro, in carcere, dopo neanche due mesi dall’arresto, cominciò a parlare ai magistrati per migliorare la propria posizione processuale. Confidò di aver corrotto un funzionario, Adriano De Falco, inviato da Napoli a Torino dopo la terribile alluvione del 2000, in veste di Magistrato del Po: era lì per mettere in sicurezza gli argini e impedire altre morti o altri disastri per le famiglie e gli abitanti del torinese, ma affidava i lavori a chi gli girava il 5% della commissione pubblica che lui stesso firmava. Lazzaro disse di aver ottenuto così, ad esempio, l’appalto per mettere in sicurezza (si fa per dire, visto lo scenario) le sponde fluviali della Dora a Susa con la sua ditta Italcoge: aveva versato 40 mln di lire a De Falco, consegnandoglieli di persona in un ristorante di Meana di Susa. Lo stesso aveva fatto la famiglia Lucco Castello, titolare della Escavazioni Valsusa, che aveva ottenuto l’appalto per i lavori all’ospedale di Susa.

 

Tonino Esposito e Vincenzo Procopio

Mentre Lazzaro era in prigione e si confessava ai pm, nel 2002, Lo Presti era vivo e vegeto e ancora libero in attesa dell’appello per la condanna del 2002 per associazione mafiosa (Campo-Smith). In quei mesi Tonino Esposito raccoglieva per lui, a suon di ricatti e minacce, i soldi degli indebitati torinesi, e Lo Presti tentava l’ultima avventura in grande stile: dalla sua dimora di Bardonecchia adocchiò gli appalti faraonici previsti per Torino 2006. Sono gli stessi mesi in cui Ugo Martinat era viceministro e Vincenzo Procopio, che gli imprenditori milanesi definivano il “cassiere” dei versamenti per Alleanza Nazionale attraverso la Sti, faceva parte del comitato direttivo delle Olimpiadi. A settembre del 2003 Procopio iniziò a ricevere strane telefonate di minaccia. Poco dopo fu avvicinato da Tonino Esposito, che gli disse: “So che hai dei problemi. Conosco persone che ti possono aiutare”. Poche settimane più tardi tutti i membri del consiglio ricevettero una busta contenente un proiettile Smith&Wesson calibro 10.

Il messaggio era chiaro; ma soprattutto, con queste modalità, avvenne l’incontro tra due diversi e specifici ambienti criminali: quello di Alleanza Nazionale, facente capo a Martinat e Procopio (istituzioni), e il settore della ‘Ndrangheta valsusina di Esposito e Lo Presti (capitali illegali). È in questo momento che il pm Antonio Malagnino, ordinando ai carabinieri di intercettare il telefono di Esposito, si accorge che quest’ultimo si intrattiene al telefono con il pm e suo collega Antonio Rinaudo. Dai colloqui di Procopio e Giovanni Desiderio (membro del comitato direttivo di Torino 2006) emergeranno le manovre di Lunardi, d’accordo con il colosso imprenditoriale che fa capo al costruttore Marcellino Gavio, per dare a sé stesso il denaro che il suo ministero intendeva versare per il cantiere Tav di Venaus: attraverso società-paravento come l’Alpina di Milano (che copriva la sua Stone) o la Eiffage (che copriva la Rocksoil, intestata alla figlia, già impiegata per il TGV Lione-Marsiglia).

I legami tra Vincenzo Procopio e la Val Susa non si fermarono qui: nello stesso periodo curò anche interessi privati per gli appalti relativi alla variante di Avigliana, in bassa valle, appaltata dall’agenzia Torino 2006 di cui era consigliere; tre anni più tardi, quando tanto lui quanto Gavio e Martinat saranno indagati in seguito alle intercettazioni di Malagnino, Procopio eleggerà domicilio legale in uno studio dei fratelli Galasso; un nome che riporta ancora ad Antonio Rinaudo e Tonino Esposito, se è vero che entrambi, soltanto un anno prima, sedevano con lui in un Hotel di lusso alle cene con Moggi. Nella cena con Moggi al Concord del 26 febbraio 2005 Rinaudo aveva tra i suoi amici, in altre parole, tanto chi era andato a minacciare Procopio per conto di Lo Presti riguardo a Torino 2006, quanto chi offrirà proprio a Procopio domicilio legale per le accuse di turbativa d’asta circa il cunicolo di Venaus.

 

Ferdinando Lazzaro e Bruno Iaria

Le pressioni di Esposito su Procopio furono, nel 2003, la punta dell’Iceberg dell’inserimento della ‘Ndrangheta negli appalti per le Olimpiadi. Molta luce su questi legami sarà fatta dalle dichiarazioni di un affiliato dell’organizzazione, Rocco Varacalli, che – poco dopo la conclusione dei Giochi e quasi in contemporanea con l’arresto di Lo Presti ed Esposito – iniziò a parlare con i magistrati. Dichiarò che tutti i cantieri di Torino 2006 erano stati subappaltati a ditte facenti capo alla ‘Ndrangheta, che aveva avuto così modo di ripulire miliardi di capitali accumulati con il narcotraffico. Molti altri cantieri edili torinesi, ed anche varianti urbanistiche centrali dell’era Chiamparino (all’epoca delle rivelazioni di Varacalli in pieno corso), erano state realizzate dalle ditte dell’organizzazione (ad esempio la Spina 3). Le dichiarazioni-fiume testimonieranno anche che i lavori per la costruzione del Tav Torino-Milano erano stati realizzati da ditte di copertura per il riciclaggio dei capitali del narcotraffico, e pure con costi gonfiati, grazie ai subappalti forniti dal Gruppo Gavio alle ditte dell’organizzazione (la procura di Milano indagherà solo nel 2008, a lavori finiti, le ditte controllate dalla ‘Ndrangheta che hanno lavorato al Tav Torino-Milano anche per aver usato i cantieri lungo la linea per interrare tonnellate e tonnellate di rifiuti tossici).

Già a inizio anni Novanta, del resto, mentre Lo Presti iniziava a indebolirsi in seguito alle inchieste su Campo-Smith a Bardonecchia, gli appalti per la costruzione del più grande e famoso centro commerciale dell’area torinese, Le Gru di Grugliasco (progettato da Berlusconi in società con un’azienda francese, condannata per 2 mld in tangenti agli amministratori locali), erano stati distribuiti alle famiglie ‘Ndranghetiste radicate in pianura, nella cintura cittadina. Fu proprio alla conferenza stampa per l’inaugurazione delle Gru, il 9 dicembre 1993, che Berlusconi annunciò la sua “discesa in politica” ai giornalisti, alla presenza delle famiglie Belfiore, Pelle e De Masi (come raccontò Varacalli alla procura dopo le Olimpiadi).

Varacalli non si limitò al passato e descrisse l’intera struttura dell’imprenditoria ‘Ndranghetista nella provincia di Torino, attraverso l’enumerazione delle “locali”, le cellule territoriali dell’organizzazione. Nel capoluogo Giovanni Catalano teneva nel 2006 le relazioni tra i centri della Calabria e quelli del Piemonte, dal centro operativo dell’organizzazione, il Bar Italia di via Veglia 59, in Borgata Lesna: nell’esercizio si tenevano le riunioni dei boss di tutta la provincia di Torino. Salvatore De Masi detto Giorgio, invece, la cui famiglia era stata coinvolta nella costruzione delle Gru, è capolocale a Rivoli dopo una complessa vicenda di sangue; e Giovanni Iaria, con il figlio Bruno, gestisce come sempre la “locale” di Cuorgné, nel Canavese, dove, come abbiamo visto, la famiglia Lazzaro di Susa ha interessi fin dagli anni Novanta. Il legame Lazzaro-Iaria, tuttavia, sembra essere molto più sostanziale di una semplice comunanza di influenze territoriali: il suo meccanismo è occultato da manovre contabili e dall’utilizzo di prestanome.

I Lazzaro, ad esempio, ottengono appalti per lotti della Salerno-Reggio Calabria e per alcuni acquedotti calabresi, sempre in società con Foglia Costruzioni srl, ditta che fallisce poco dopo e viene fagocitata dalla Finteco; quest’ultima fa capo, attraverso prestanome, proprio a Giovanni Iaria. Tuttavia Ferdinando Lazzaro, nel 2006, inserisce direttamente Bruno Iaria nella sua ditta, la Italcoge di Susa, con la qualifica di “dipendente” (ovviamente Bruno Iaria non è un operaio); una qualifica che Iaria manterrà fino al 2007, per poi sparire dai registri contabili della ditta. Un piccolo  errore che comunque, come vedremo, non costerà nulla ai Lazzaro. Le connessioni che gli Iaria, dal Canavese, hanno con la Val Susa, non finiscono qui: nel 2007 un altro imprenditore valsusino entra direttamente in contatto con Bruno e Giovanni Iaria, entrando nella loro casa a Cuorgné per un incontro (non sa che il luogo è videosorvegliato dai carabinieri, che indagano in seguito alle deposizioni di Varacalli): è Claudio Pasquale Martina, la cui famiglia possiede la Martina Srl, anch’essa di Susa e anch’essa specializzata, come la Italcoge dei Lazzaro, nel movimento terra.

Il legame Iaria-Lazzaro prosegue il 23 ottobre 2008, quando la Italcoge (Lazzaro) ottiene appalti per i sovrappassi e sottopassi valsusini di Vaie, Chiusa san Michele e Sant’Antonino in società con la Foglia Costruzioni che, secondo un copione già noto, “fallisce” e viene sostituita da Finteco (Iaria). Negli stessi mesi la commissione parlamentare antimafia indica “Val d’Aosta, Val Susa e Torino come zone di particolare criticità riguardo alla ‘Ndrangheta”. Chiamparino si indigna e Maurizio Laudi (che nel 2008, dopo lo scandalo delle regalie di Moggi, è stato premiato con la direzione della divisione distrettuale antimafia) gli va in soccorso: “La reazione di Chiamparino – dice – è giustificata. Per Torino non c’è mai stata alcuna vicenda o episodio che potesse essere sintomatico di infiltrazione” (Il Sole24Ore, 8 marzo 2008). Caselli gli fa da sponda: “Se ci fossero infiltrazioni nel comune di Torino, pensa che non me ne sarei accorto?”.

I giornalisti se la ridacchiano: al procuratore, è ovvio, non sfugge mai niente. È vero che non si accorse (a suo dire) della Trattativa stato-mafia a Palermo, nel periodo 1993-1996 quando a Palermo proprio lui dirigeva la procura della repubblica; ed è vero che non si accorse che gli uomini che la conducevano erano i vertici della sua polizia giudiziaria (in alcuni casi, come quello del gen. Mori, da lui stesso coinvolti in operazioni delicatissime, che non a caso condussero a palesi depistaggi). Ora Caselli (siamo nel 2008) non si è accorto che l’Agenzia Torino 2006, nel cui scenario avvennero i contatti Procopio-Esposito (e sulle cui vicende il pm Malagnino aveva indagato già nel 2003) è un’emanazione istituzionale del comune di Torino; né che lo stesso consigliere dell’agenzia Procopio ha mestato a lungo per coinvolgere il Gruppo Gavio nel cantiere previsto a Venaus, proprio nei mesi in cui esso subappaltava alla ‘Ndrangheta i lavori per il Tav Torino-Milano. E in effetti, oltre a lasciare indenni i politici coinvolti nelle indagini (con una sola eccezione su cui torneremo) l’operazione Minotauro del 2011, coordinata da Caselli, lascerà completamente indenne il comune di Torino (inteso come istituzione).

 

“… pensiamo all’alta velocità…”, “… sosteniamo Fassino…”

Pochi mesi più tardi le dichiarazioni di Laudi e Caselli, Rocco Lo Presti è raggiunto, a tre anni dall’arresto che lo colpì assieme a Tonino Esposito, dalla prima condanna definitiva della sua vita: cinque anni in cassazione, da scontarsi ai domiciliari. È il 15 gennaio 2009; viene arrestato il 21 gennaio; il 24 gennaio (tre giorni dopo) muore. La sentenza contiene una rivelazione agghiacciante: “Esiste un’emanazione della ‘Ndrangheta nel territorio della Val Susa e nel comune di Bardonecchia”. È passato mezzo secolo dall’arrivo di Lo Presti in Val Susa e dalla sua cementificazione dell’alta valle, trent’anni dai suoi appalti per l’autostrada, sedici dall’affare per Campo-Smith. Ma il potere giudiziario di una società divisa in classi, come una nottola tutt’altro che stupida, arriva sempre a sanzionare dopo i delitti commessi da chi detiene i capitali, quando gli affari (sulla nostra pelle) sono già stati fatti.

Le elezioni europee sono previste sei mesi dopo la morte del vecchio boss; e il 23 maggio, a due settimane dal voto, Claudia Porchietto, assessore regionale al lavoro (Pdl), si reca al Bar Italia di via Veglia 59 per fare una visita a Giuseppe Catalano, accompagnata dal nipote del boss, Luca Catalano. I carabinieri la filmano, ma i suoi dialoghi con il boss non vengono trasmessi alla procura. È poi la volta del sindaco di Rivarolo Canavese, Fabrizio Bertot (Pdl), che entra al Bar Italia dopo quattro giorni (dieci giorni prima del voto). Il trattamento dei carabinieri è per lui difforme: il suo dialogo con i boss viene registrato e inviato alla procura. Catalano ha contattato, per l’occasione, Salvatore De Masi di Rivoli, Giovanni Iaria di Cuorgné (la zona in cui Bertot è sindaco) e un’altra decina di boss, affinché presenzino alla riunione con il candidato alle europee.

Alle ore 12.15 il boss Catalano presenta il candidato ai suoi sodali:

 

Catalano: … un attimo di attenzione.. che… devo esprimere due parole sole e poi… (inc.)… prima di tutto… (inc.) … esprimo… un vero piacere che oggi abbiamo accanto il signor sindaco… il suo segretario… e per noi è un grande orgoglio… poi vi tengo presente che il sindaco è candidato alle europee… e quindi possiamo votarlo sia il Piemonte che Lombardia…

Iaria: pure in Liguria…

Catalano: pure in Liguria… e già sappiamo che…

Iaria: … e Valle d’Aosta…

Catalano: … abbiamo tanti amici… quindi vi chiedo cortesemente… chi c’ha un parente… chi c’ha un amico… di passare questa parola… che avendo… una persona che noi conosciamo… ci porta al bene… sempre… io non ho altro da dirvi…(incomprensibile)… mi fa piacere che fate questo…(inc.)… che ehh…

Iaria… (inc.)…

Catalano: oltre quarant’anni… quindi… vi ringrazio della vostra attenzione… (inc.)

 

Come si evince dalla successive parole del candidato Bertot, a questo punto interviene il segretario del sindaco, il cui intervento non viene trasmesso dai carabinieri alla procura. Si conosce invece l’intervento di Bertot alla riunione, che inizia dopo le 14.00:

 

Bertot: … chiedo scusa per l’italiano … (risate) […] no, io vi ringrazio di tutto un po’… di tutto quello che state facendo… ma soprattutto … (rumore di sedia)… per quello che farete! […]. Io che sono un po’ appassionato di urbanistiche… di opere pubbliche … di lavori… e sono convinto che il Piemonte abbia bisogno come terra… di tutta una serie di opere… grosse… importanti… pensiamo al collegamento con Genova per il porto… (rumore) … pensiamo all’Alta Velocità… tutte cose che comunque passano dal Parlamento Europeo… non passano da … (inc.)… […] perché quel terzo valico con Genova… invece di usarlo… usarlo qui… decidessero di usare il porto di Marsiglia… per noi sarebbe devastante… ma permettere che significa… (inc.)… lavoro per miliardi i euro… quindi io sono un grande sostenitore dei grandi cantieri, perché la pubblica amministrazione può solo … (rumore)… (qualcuno interviene brevemente ed in modo incomprensibile)… grandi cantieri… grandi opere… e tutte queste cose passano dal Parlamento Europeo… quindi vado per ammesso a fare … (inc.)… di territorio là! Poi un’altra cosa che non ha detto il mio segretario che mi conosce da tanti anni… io …voglio… sto facendo questa cosa… ma continuerò a fare il sindaco di Rivarolo… (interviene un presente dicendo: “Lo faccio io il sindaco…”) … quindi…ecco… anche magari per interposta persona, continuerò a fare il sindaco di Rivarolo… […] si ma questo significa che comunque sono contattabile… qui… a parte i due Giovanni [Giovanni Iaria, capolocale nel Canavese, dove Bertot è sindaco, ndr] … e Nino [Domenico Catalano, fratello di Giuseppe, capolocale di Torino, ndr] che… sanno bene come rintracciarmi… ma il fatto che io rimanga a fare il sindaco di Rivarolo significa che io voglio andare là… per avere un ufficio là… avere i contatti che servono là… per avere anche tutte quelle cose comunque si vogliono e si possono fare eh… […] quindi mi affido veramente a voi… tutti quelli che sto contattando in questo momento… perché l’obiettivo non é tanto che io vado in Europa… ma che voi possiate avere … (inc.)…

 

I “grandi cantieri” e le “grandi opere” (Alta velocità in Val Susa e Terzo Valico in primis) fanno parte del patto che la politica sancisce con l’organizzazione criminale più potente e ramificata della provincia di Torino. Nel maggio del 2009, forze dell’ordine e procura ne sono al corrente. Giovanni Iaria si attiva per far confluire voti sul sindaco canavesano e Fabrizio Bertot vince: va a Strasburgo, al parlamento europeo.

Non si pensi, però, che i legami e le connessioni riguardino soltanto il Pdl: analogo successo avrà la campagna per Fassino sindaco sostenuta dal parigrado di Iaria a Rivoli, altro comune interessato dal progetto della Torino-Lione. A richiedere il sostegno del padrino della cintura sud-est De Masi è addirittura un deputato del Pd, Mimmo Lucà (anch’egli di Rivoli) che gli telefona il 21 febbraio 2011:

 

De masi: pronto…

Lucà: … ciao Giorgio…

De masi: … ciao Mimmo… come stai?

Lucà: … eh bene, abbastanza, tutto tranquillo.

De masi: … sì…

Lucà: … ascolta…ti volevo chiedere questo… tu sai che a Torino abbiamo le primarie…

De masi: … certo!… tu dimmi qualcosa che io mi interesso…

Lucà: …ecco… che io sto sostenendo Fassino…

De masi: …eh beh… anch’io avrei fatto la stessa cosa…

Lucà: … perché obbiettivamente mi pare la persona più seria in questo momento…

De masi: … si… si…

Lucà: …a dare continuità… a dare continuità alla giunta di Chiamparino…

De masi: … si… si…

Lucà: …infatti anche Chiamparino ovviamente sostiene…

De Masi: …sostiene Fassino…

Lucà: …Piero…quindi… […]

De Masi: …si…si…eh una mano…

Lucà: …se magari hai qualche…un qualche amico a Torino…

De Masi: …certo!… certo che ne ho!…

Lucà: … a cui passare la voce…

De Masi: …senz’altro…si… […]

Lucà: …eh… quindi insomma… se qualcuno riesce… se hai qualche amico da consigliar…

De Masi: … come non ne ho… ne ho!… ne ho più di uno… grazie a Dio… ne ho più di uno… quindi… quindi…

Lucà: …prova… prova a sentire che area tira…

De Masi: …si…si… e facciamo… facciamo… diciamo questi che conosciamo facciamo votare Fassino…

Lucà: … poi appena vengo a Torino noi due magari ci andiamo a prendere un caffè…

De Masi: come no… come no… quando vuoi, Mimmo…

 

Il 27 febbraio 2011, proprio durante lo svolgimento delle primarie, alle ore 17.21, De Masi telefona al deputato Pd per comunicargli di aver provveduto a sostenere Fassino sindaco, e si mostra fiducioso sulla possibilità di vittoria:

 

De Masi: ciao Mimmo…

Lucà: …ciao Giorgio…ho visto che mi hai chiamato…ciao…

De Masi: …si…si…ti avevo chiamato… io ero appena arrivato… che avevo fatto ancora qualche commissione tutta la mattinata in Torino…

Lucà: …ah…ah…

De Masi: …si…per il nostro amico… comunque…io dico che dovrebbe andare bene…

Lucà: …si…si…

De Masi: …anche se è una battaglia abbastanza…

Lucà: …complicata…

De Masi: …eh…eh… perchè… insomma… l’altro si è dato… si è dato molto da fare anche!

Lucà: …si… mi hanno detto che l’altro anche ha lavorato anche molto sui… sui Calabresi!

De Masi: …si…si…ho riscontrato questo… comunque…

Lucà: …perchè c’era Mangone che ha lavorato sui…

De Masi: …esatto…esatto…esatto…si…si…si…io comunque fino alle dodici ed un quarto… insomma quindi… ho fatto il mio dovere va!

 

 

All’assalto di Chiomonte

Anche Gaetano Porcino (Idv) e Antonino Boeti (Pd) (quest’ultimo, oltre ad essere consigliere regionale in carica, è stato per molti anni sindaco di Rivoli) sono intercettati al telefono con Salvatore De Masi. Il colore politico degli interlocutori dei boss cambia senza scossoni a seconda del partito che governa il territorio. De Masi comanda la ‘Ndrangheta a Rivoli, comune tradizionalmente governato dal centrosinistra, e si impegna per Fassino alle primarie Pd, su diretta richiesta di parlamentari del partito; Giovanni Iaria, che comanda l’organizzazione nel Canavese, si attiva per far confluire i voti delle europee su Bertot, amministratore sul suo territorio per il Pdl. Proprio l’Unione Europea, poco dopo le elezioni, dà un ultimatum all’Italia per ciò che concerne la Torino-Lione, per cui il governo ha chiesto un cofinanziamento europeo. L’UE non ha mai affermato che finanzierà il progetto ma, per poter prendere in considerazione la richiesta (senza dubbio su sollecitazione dei delegati italiani), chiede, a ormai cinque anni dai fatti del 2005, la dimostrazione che il governo è in grado di superare le resistenze.

Il ministro dei trasporti e delle infrastrutture Matteoli (Pdl, ex Alleanza Nazionale) annuncia allora che Ltf, la società italo-francese incaricata di realizzare il progetto, eseguirà, entro la fine del 2009, 91 sondaggi geognostici in Val di Susa. La mobilitazione dei No Tav fa slittare l’iniziativa all’inizio del 2010, a ridosso della scadenza indicata dall’Unione Europea. Il 10 gennaio, di fronte alla presenza di centinaia di oppositori su uno dei siti destinati ai sondaggi, le forze dell’ordine rinunciano. Come risposta, il 16 gennaio qualcuno incendia, di notte, il presidio No Tav di Bruzolo. Il movimento accusa “la mafia Sì Tav” di essere dietro l’attentato. Il governo, dopo esser riuscito a impiantare tre trivelle, decide di ripiegare, per gli altri sondaggi, nella cintura di Torino, cercando di imbonire l’Unione Europea circa la validità delle perforazioni fuori dalla valle. Il 24 gennaio va in fiamme il presidio No Tav di Borgone, il secondo in otto giorni. Il 31 gennaio è nuovamente la volta del presidio di Bruzolo. Gli animatori del presidio, completamente distrutto, espongono uno striscione con scritto: “Brucia più a voi che a noi”.

Il 17 febbraio una quarta trivella viene impiantata, nella notte, in località Coldimosso (tra Bussoleno e Susa). Il movimento si dà appuntamento all’autoporto e scende sull’area per opporsi all’operazione. Le forze dell’ordine che proteggono la trivella si abbandonano a violenze sui manifestanti su ordine di Spartaco Mortola, già protagonista della mattanza della Diaz al G8 di Genova nel 2001. Un ragazzo, Simone, va in coma (ma si salverà) e una signora di Villafocchiardo, Marinella, patisce una frattura scomposta maxillo-facciale. La reazione dei No Tav è durissima. La polizia è costretta a fuggire aprendosi un varco con i mezzi della ditta Geomont di Giuseppe Benente, che realizza le trivellazioni: un escavatore distrugge un brandello di guard-rail e permette ai mezzi della polizia di fuggire sull’A32. Il governo cessa l’operazione sondaggi: rispetto ai 91 annunciati in Val Susa, ne sono stati realizzati quattro. Poche settimane dopo Giuseppe Catalano, organizzatore dell’incontro con l’europarlamentare Bertot dove si trattò dei cantieri dell’alta velocità, viene  arrestato su ordine della procura di Reggio Calabria per un’operazione nazionale contro la ‘Ndrangheta (13 luglio).

Il 30 dicembre Ferdinando Lazzaro presenta istanza di ristrutturazione del debito della sua azienda al tribunale di Torino, e il suo legale dà per certo, a garanzia dell’operazione, l’ottenimento dell’appalto per un cantiere Tav alla Maddalena, nel comune di Chiomonte (quando Lazzaro parla al tribunale non è stata indetta alcuna gara d’appalto per il futuro cantiere). Due mesi dopo, l’8 febbraio 2011, è invece Vincenzo Procopio a varcare la soglia del Tribunale, ma per essere condannato in primo grado, assieme al direttore generale di Ltf (Tav Torino-Lione) Paolo Comastri e al direttore generale della Sitaf (autostrada Torino-Bardonecchia) Giuseppe Cerutti, per abuso d’ufficio e turbativa d’asta. I fatti sono quelli relativi al cantiere Tav di Venaus e agli appalti di Torino 2006. Soltanto il già avvenuto decesso ha salvato dalla condanna l’ex viceministro Ugo Martinat e il costruttore Marcellino Gavio, il cui gruppo imprenditoriale è ormai in mano ai suoi successori.

Tre mesi dopo, il 5 maggio, l’appena condannata Ltf stipula un contratto per i lavori di messa in sicurezza del cantiere previsto a Chiomonte. Il governo Berlusconi ha infatti dato assicurazioni, attraverso il ministro dell’Interno Maroni, che presto ogni resistenza al progetto verrà debellata. Contraenti del contratto per il previsto cantiere sono due sole aziende, riunite in una ati (assiociazione temporanea d’imprese): Italcoge, l’azienda dei Lazzaro, e Martina Srl, quella dei Martina (l’imprenditore che fu filmato mentre entrava in casa di Giovanni Iaria a Cuorgné). È il contratto C 11070, con oggetto: preparazione del cantiere e realizzazione di una barriera anti-intrusione sul sito del tunnel esplorativo della Maddalena. Curiosamente lo stesso giorno la Italferr (Rfi), che detiene il 50% di Ltf, segnala a quest’ultima che l’azienda dei Lazzaro, Italcoge, è insolvente per ciò che concerne la costruzione dei sovrappassi e dei sottopassi ferroviari di Chiusa San Michele, Vaie e sant’Antonino, in bassa Val Susa. È l’operazione che Italcoge gestì in società con Foglia Costruzioni, poi fallita e sostituita da Finteco controllata dagli Iaria, come era avvenuto sulla Salerno-Reggio Calabria. Nonostante la segnalazione, quello stesso 5 maggio Ltf chiude il contratto con Italcoge.

Entrambe le ditte cui Ltf concede l’appalto, quindi, hanno legami con gli Iaria, capilocale nel Canavese dove si è candidato Fabrizio Bertot, che proprio agli Iaria (e a Catalano) aveva parlato con entusiasmo dei “cantieri del Tav” al bar di via Veglia, prima delle elezioni europee in cui sarebbe stato eletto. Non basta: undici giorni dopo Italcoge forma un’ati più grande denominata Consorzio Valsusa, in cui si associa alla Escavazioni Valsusa e alla Geomont di Giuseppe Benente, che ha fatto i sondaggi fino alle violenze di Coldimosso. I giornali riferiscono che al Consorzio Valsusa è stato “promesso” l’appalto per i successivi lavori alla Maddalena, anche se non specificano di che tipo di “promessa” si tratti. Il movimento No Tav si mobilita: viene istituito un presidio permanente sulle vie d’accesso a Chiomonte e a Giaglione. Il 23 maggio i mezzi della Italcoge giungono, scortati da decine di poliziotti e carabinieri, alle porte del pianoro della Maddalena, ma i No Tav li respingono colpendo con pietre i mezzi dei Lazzaro e i poliziotti che li scortano. Il convoglio si ritira.

Il 24 maggio gli operai della Italcoge scioperano, denunciando di non essere pagati da mesi. Il segretario della Cisl Raffaele Bonanni definisce i No Tav “fascisti” e li accusa di aver “aggredito gli operai”. Il 26 giugno il movimento si riunisce in assemblea e invita i lavoratori “a valutare chi veramente difende i loro interessi e ad unirsi alla lotta del Movimento No Tav contro le lobbies politico/sindacali/affaristiche che stanno affossando il nostro Paese”. All’assemblea un No Tav, Claudio Cancelli, dichiara: “Siamo in presenza di una struttura di potere che vive di furto del denaro pubblico… un sistema che mantiene una pletora di altre strutture parassitarie e vi piazza i propri uomini, non importa se pregiudicati, vedi la Sitaf, Trenitalia e le tante municipalizzate e consorziate, vedi gli stessi sindacati come la Cisl, governati da congreghe mantenute con i soldi pubblici. Ecco perché sono favorevoli alle grandi opere. Non per il lavoro ma per difendere se stessi: un’economia di rapina ai danni del cittadino e dei suoi bisogni”.

Sandro Plano, presidente della Comunità Montana Val Susa e Val Sangone, protesta per la prova di forza tentata dai Lazzaro e dalla polizia il 23 maggio e chiede che i soldi vengano investiti nelle piccole opere utili per i comuni della valle e non gettati nel buco nero del Tav. Gli risponde con un’Ansa Claudia Porchietto, l’assessore regionale che fece visita a Giuseppe Catalano in via Veglia pochi giorni prima di Bertot, accompagnata dal nipote del boss: “Plano forse non si rende conto che a sostenere le posizioni grottesche, violente e incivili dei No Tav le vallate rischiano non solo di perdere il treno con l’Europa ma anche quello dello sviluppo socio-economico che opere come la Tav portano come conseguenza”. Il movimento crea un sistema di fortificazioni per difendere l’area, costituito da barricate in tutti gli accessi principali alla Val Clarea: è l’inizio della Libera della Maddalena.

———————-

Nota

Il movimento No Tav ha raccolto e pubblicato una rassegna di articoli apparsi sui quotidiani, riguardanti i fatti qui narrati, nel dossier C’è lavoro e lavoro, consultabile sul sito notav.info. Un separato dossier relativo alla campagna C’è lavoro e lavoro, consultabile sullo stesso sito, contiene l’analisi dettagliata delle visure camerali delle ditte impegnate nel cantiere, tra cui quelle riconducibili alle famiglie Lazzaro e Martina e alla Sti di Vincenzo Procopio. Per ciò che concerne gli Iaria, numerosi sono i procedimenti, ma le notizie qui riportate sono documentate, dal punto di vista giudiziario, in alcuni faldoni dell’inchiesta Minotauro e, in particolare, nella Relazione dei carabinieri alla procura di Torino del dicembre 2011 riguardante i rapporti tra Italcoge, Foglia Costruzioni e Finteco (Lazzaro-Iaria) e i rapporti Martina-Iaria. Cfr. anche Minotauri per i recinti di Chiomonte?, La Stampa, 25 febbraio 2012 e Tav: qualche domanda sulla gestione degli appalti di Chiomonte, Il Fatto Quotidiano, 8 novembre 2012.

Una sintetica ricostruzione giornalistica di alcune vicende relative al radicamento imprenditoriale del capitalismo ‘Ndranghetista in provincia di Torino, e sui contatti tra i boss e i politici bertot e Porchietto, è contenuta in La mafia al nord, puntata del programma Presa Diretta, trasmessa su Rai3 il 15 gennaio 2012 e consultabile su Youtube o sul sito rai.presadiretta.it. Contiene tra l’altro parte dei dialoghi in viva voce tratti dalle intercettazioni tra Bertot, Catalano, Iaria ed altri, tra Lucà e De Masi, le immagini della visita dell’ex assessore Porchietto al bar di via Veglia di Catalano e un’intervista al “pentito” Varacalli.

Un’analoga e parziale sintesi di parte isttuzionale è rinvenibile nel Rapporto sull’infiltrazione della criminalità organizzata nell’economia di alcune regioni del nord Italia, a cura del Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro, 23 febbraio 2010, in cui sono ricostruite alcune delle attività degli Iaria tra anni Ottanta e anni Duemila e alcuni rapporti tra la magistratura di Torino e Ivrea e la ‘Ndrangheta torinese e del Canavese. Le dichiarazioni di Laudi e Caselli a seguito della reazione di Chiamparino alle osservazioni della commissione antimafia sono riportate in Più ‘Ndrangheta in Piemonte, Il Sole24Ore, 26 marzo 2008. I rapporti tra Pd e ‘Ndrangheta in rapporto all’elezione di Fassino sono riassunti, tra l’altro, in Il parlamentare del Pd Mimmo Lucà chiese alla ‘ndrangheta i voti per Fassino, Il Fatto Quotidiano, 8 giugno 2011 e Aiutiamo Fassino alle primarie, La Repubblica, 9 giugno 2011.

 

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Riepilogo:

(Intro) Parte I – Le strane amicizie del pm Rinaudo

Parte II – Rinaudo nella selva incantata

Parte III – I furbetti del cantierino

Parte IV – Rinaudo muratore

Parte V – Rinaudo furioso

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