L’ammucchiata dei migliori (per loro)
Ieri sera è stata diramata la lista dei ministri che comporranno l’esecutivo guidato da Mario Draghi.
Doveva essere il governo dei migliori, e cosi è stato: i migliori a difendere i privilegi e l’ingiustizia sociale sulla quale si fonda la Repubblica rappresentativa italiana.
Dai 5S a Forza Italia dalla Lega al PD, tutti sotto l’egida del ‘banchiere’, i “tecnici” dove si spende i politici dove li si nota di più (o di meno, dipende dalla furbizia).
La distribuzione proporzionale delle poltrone tra i partiti ha prodotto la seguente ammucchiata:
15 ministri politici, 8 tecnici nei ministeri ‘di spesa’ o divisivi. Una squadra che attraversa stagioni diverse ma al cui interno ci sono molti dei protagonisti degli ultimi 12 anni. Gli anni intercorsi da quel 2008 che segnò la crisi spia del neoliberismo e della sua relazione con la cosiddetta ‘democrazia liberale’. Un governo di ricomposizione degli interessi della borghesia e del capitale italiano.
Prima di passare ai nomi, guardiamo le forze. Il movimento 5 stelle ottiene 4 ministeri. PD, Lega e Forza Italia: 3 ministeri, e i due rimanenti divisi tra LeU e Renzi.
Il Movimento 5 Stelle, imbarcazione alla deriva nel mare della compatibilità, si aggrega alla flotta dei poltronari di professione, ma rimane lampante la sua incapacità di trattare da prima forza parlamentare. I 5S si accaparrano la miseria di 4 ministeri con poco margine di spesa.
Luigi Di Maio si tiene il Ministero degli Esteri, Patuanelli ‘retrocede’ dallo ‘Sviluppo Economico’ all’agricoltura, mentre Fabiana Dadone e D’incà assumono rispettivamente le ‘politiche giovanili’ e i ‘rapporti con il parlamento’.
I 5 stelle insieme a Berlusconi accompagnati da Beppe Grillo che definisce Draghi un grillino, cosa manca?
Il responsabile Partito Democratico si trova sempre comodo in questi contesti e ottiene 2 conferme e un ritorno. Confermati Franceschi alla ‘Cultura’ e Guerini ‘alla difesa’, l’apparato bellico e la vendita di armi in giro per il mondo si sa richiedono stabilità.
La novità è il ritorno di Orlando che diviene ministro del lavoro. Spendere parole sulla relazione tra tutela dei diritti di lavoratori e lavoratrici e il PD sarebbe superfluo.
La Lega ottiene due ministeri rilevanti: Giancarlo Giorgetti allo ‘Sviluppo Economico’ e Garavaglia al ‘Turismo’, quest’ultimo settore diviso dalla ‘Cultura’. Terzo ministero è quello che riguarda le disabilità che viene assegnato a Erika Stefani.
Roberto Speranza di LeU viene confermato ministro della salute, una scelta nel segno della continuità nell’affrontare la pandemia. Tuttavia nelle fila della sinistra al PD, del PD, amica ma alternativa al PD, decidete voi, regna la tensione dell’ennesima piroetta tecnico-politica che ha condotto a governare con Lega e Berlusconi. Draghi non è un problema, quello piace.
Matteo Renzi, leader di Italia Viva e demiurgo del colpo ‘Draghi’ se la ride invitato in tutti i talk show televisivi nei quali si auto definisce un eroe. Il suo partito ottiene la conferma di Elena Bonetti alle ‘pari opportunità’, meno di quanto aveva nel precedente governo fa anche la figura di quello non legato alle poltrone.
Dulcis in fundo, il ritorno del Cavaliere. Forza Italia insedia Renato Brunetta alla ‘pubblica amministrazione’, Maria Stella Gelmini agli ‘affari regionali’ e Mara Carfagna come ministro ‘del Sud’. Tutti protagonisti del governo Berlusconi 4 (2008-2011). L’ironia la lasciamo al dibattito ‘da social network’.
I nomi fatti fin adesso sono abbastanza noti, la solita politica che non cambia più i 5 stelle, che invece quelli si sono cambiati in fretta.
Di Draghi abbiamo già detto e aspettiamo il programma della ‘salvezza’, passiamo ai meno noti ‘tecnici’ che come sempre sono anche i più pericolosi.
Partiamo dalle conferme e i ritorni, per i primi c’è la ministra dell’interno Lamorgese che, un po’ come Minniti, si è mostrata essere un poliziotto che va bene per tutti i governi. Criminalizzazione delle minoranze e del conflitto sociale sono e saranno i capisaldi della gestione dell’ordine pubblico.
Tra i ritorni annoveriamo Enrico Giovannini, ex Presidente Istat divenne Ministro del Lavoro con il governo Letta (2013-2014) e sarà il ministero delle infrastrutture e dei trasporti.
Un ministero depotenziato dalla creazione della ‘Transizione Ecologica’ ma che godrà di rilevanti decisioni strategiche in virtù del Recovery Fund. Lo aspettiamo al varco sull’infrastruttura delle infrastrutture la non sostenibile e costosissima TAV Torino-Lione.
Arriviamo quindi alle novità ‘tecniche’ insediate nei ministeri fondamentali per la distribuzione delle risorse del Recovery (Economia, Transizione Ecologica, Transizione digitale, scuola e università).
Il ministero politico per eccellenza viene ovviamente affidato ad un tecnico, Daniele Franco, sodale di Draghi da 30 anni ha ricoperto innumerevoli ruoli tra BankItalia ed il Tesoro. Inutile dirlo per lui il cuore della ripresa passa per il sostegno alle imprese e all’apparato finanziario. Così come Draghi, ha attenuato la sua retorica neoliberista condendola con il solito armamentario di vuoti riferimenti al ‘green’ e ai ‘giovani’.
Questi ultimi considerati come soggetto da sostenere in quanto figura strutturalmente designata a pagare il debito pubblico. Quota 100 e il reddito di cittadinanza, riforme del Conte I quello con la Lega (sigh), sono le due sfide principali del biennio che lo aspetta.
Il ministero della ‘Transizione Ecologica’, sbandierato dai 5s come conversione di Draghi al grillismo, è affidato al Professor Cingolani. Fisico a capo dell’area technology di Leonardo-Finmeccanica. Impresa bellica dal fatturato di 14 miliardi l’anno, storica fornitrice di armamenti verso teatri di conflitti drammatici tra i quali spicca quello spesso sottaciuto dello Yemen.
La stessa impresa che esporta fregate all’Egitto di Al Sisi, mentre le relazioni estere italiane vengono ridicolizzate sul caso Regeni e sull’arresto di Patrick Zaki.
Uno scienziato affermato globalmente perfettamente integrato nella macchina impresaria dello stato.
La transizione digitale, tema che nelle sue varie sfaccettature potrebbe arrivare a coprire ampie porzioni dei 209 miliardi del Recovery, è affidata al più noto Vittorio Colao.
Top manager di RCS (Cairo) e Vodafone era già stato nominato da Conte a guidare la task force per la ricostruzione economica post Covid. Una delle nomine più conservative del Conte II e incline agli appetiti di Confindustria nella permanente trattiva dallo scoppio del Covid sulla socializzazione dei costi della pandemia. Parole d’ordine imprese, privato, sussidi agli investimenti, serve aggiungere altro?
Scuola e Università rimangono due ministeri differenti.
Nella prima casella troviamo Patrizio Bianchi, economista formatosi alla London School of Economics. Professore di Economia Politica, ex rettore dell’Università di Ferrara è stato inoltre assessore alla formazione in Emilia Romagna per due mandati (con due Presidenti PD, Errani e Bonaccini).
La ministra Azzolina l’aveva già nominato capo della commissione per la riapertura della scuola.
La stampa già lo racconta come un tizio ‘amato dalla scuola’, quindi…
Nella seconda casella della formazione c’è il nome di Maria Cristina Messa. Medico chirurgo, curriculum importante e prima rettrice della Bicocca di Milano.
Coinvolta da Renzi nel progetto ‘Human Technopol’ fu anche inserita da Maroni nell’equipe tecnica per la trattativa con lo stato sull’autonomia differenziata della Lombardia.
Il Foglio riporta i suoi capisaldi nella gestione universitaria “favorire lo stile campus americano” e “imprenditorialità”, le parole che serviva sentire a proposito di università e ricerca.
Tra i ‘tecnici del Recovery’ non si può annoverare Marta Cartabia, Presidentessa della Corte Costituzionale e neo-ministra della giustizia. Vicina a Comunione e Liberazione è il nome forte e ‘autorevole’ insediato in un ministero divisivo dove il garantismo per sé stessi di Renzi e Berlusconi confliggerà (?, l’interrogativo ormai è d’obbligo) con la forca dei grillini.
Il 75% dei nominati vengono dal nord, la sommatoria delle loro biografie evidenzia bene i fini dello smantellamento del Conte II, monopolizzare dall’alto, sia geografico sia di classe, le poche risorse disponibili in una transizione critica.
Il governo dei migliori, si per loro.
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