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23 anni di Newroz

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Documento prodotto dallo Spazio Antagonista Newroz di Pisa. 

Perchè un ciclo di iniziative sul movimento rivoluzionario curdo

A fine dicembre 2021, con la proiezione del documentario su Lorenzo Orsetti, abbiamo riaperto delle riflessioni a partire dalla domanda “perché scegliamo di lottare?” e “quali costi decidiamo di sostenere?”. Ciò che ci ha colpit* di più sono l’esempio e la tensione che attraversano questo tipo di scelte: i valori, i principi e il sacrificio come rifiuto di un mondo nichilista ed il desiderio di costruirne un altro. Nella scelta radicale di Orso di partecipare attivamente alla rivoluzione confederale si percepisce la tensione non all’eroismo individuale ma al cambiamento collettivo della società. Forti di questo esempio, abbiamo programmato queste iniziative di approfondimento e conoscenza del movimento rivoluzionario in Kurdistan. Non è mai troppo tardi per imparare a mettere al servizio della comunità le singole capacità di ciascun*, per imparare a collaborare e cooperare, a risolvere insieme i problemi che ci troviamo di fronte scoprendo che ognun* e tutt* hanno qualcosa da dare.

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Modernità capitalistica VS …
Quando abbiamo deciso di preparare queste iniziative culturali sulle esperienze e sulla variegata storia del movimento rivoluzionario curdo, la guerra della Federazione Russa in Ucraina ancora non era scoppiata, per quanto l’avvitamento delle relazioni internazionali tra gli Stati sotto il comando Usa fosse evidente da tempo. Di conseguenza i dibattiti e le discussioni non sono state pensate direttamente per fornire strumenti di interpretazione su quanto sta succedendo oggi e del suo inevitabile concatenamento e ripercussione sulle condizioni di vita generali anche delle popolazioni nell’Europa Mediterranea.
Ci sono però alcuni nodi che dalla promozione di questo ciclo di formazione ci sembrano utili, anche per approcciare criticamente la lettura manipolatoria che l’occidente liberale sta facendo della guerra all’Ucraina.

La determinazione delle crisi (economiche, sociali ed ecologiche) che consegue dalla logica del Dominio Capitalistico spacca sempre di più le possibilità di vita e di riproduzione delle popolazioni, in modo stratificato, anche alle latitudini europee. Questo è già adesso l’ambiente e il terreno di sviluppo che i nostri governanti hanno deciso. Gli Stati si uniformano a pensare la pace come subordinazione dell’economia all’industria militare in uno scontro prolungato contro gli avversari di Wahshington, si uniformano a pensare alla transizione green come conflitto bellico per l’appropriazione delle risorse energetiche scarse sotto la legittimazione dell’ombrello “nucleare”.
L’interconnessione del mondo capitalistico e dei conflitti sociali rende inevitabile la ricerca di lettura alternative alla logica geopolitica degli Stati. Pensare la diserzione alla guerra a partire da come siamo e saremo sempre di più coinvolti e arruolati in questi progetti bellici non deve essere una ingenua e inutile affermazione ma la leva con la quale inserirsi nelle contraddizioni imperialistiche.
Per chi vuole opporsi a ciò è necessario pensare al conflitto sociale e alla rottura dell’ordine capitalista con modelli che mettano la difesa e la riproduzione della vita al primo posto. Cosa vuol dire conquistare un punto di vista per la “pace”? Significa posizionare lo sguardo a partire dalle proprie capacità di azione e a partire da orizzonti di trasformazione che si definiscono seguendo degli obiettivi. E’ prioritario demistificare la modernità capitalista come progetto di odio, competizione e violenza, liberandoci dallo schema occidentale e liberale con cui veniamo governati dalle multinazionali della comunicazione. Per ciò riteniamo importante conoscere il progetto del confederalismo democratico, un pensiero che ha individuato forze e modelli di organizzazione della società alternativi e, ancor di più, riteniamo importante farlo insieme, nelle nuove forme e con le nuove prospettive di formazione e organizzazione che si aprono assieme a questa inedita fase di cantierizzazione del nostro spazio, lo Spazio Antagonista Newroz.

Biji Newroz
Lo Spazio Antagonista Newroz esiste dal febbraio 1999. Deve il suo nome al movimento rivoluzionario curdo che proprio in quei giorni subì il complotto internazionale che portò all’arresto del leader Apo Öcalan, con la complicità dello Stato Italiano. Come compagn* di questo spazio da due anni abbiamo abbiamo avviato un cambiamento che ha messo in discussione le forme organizzative e gli impianti teorici del nostro movimento. Uno dei cardini è lo sviluppo politico del femminismo anche nelle nostre relazioni tra compagn*. Inoltre la fase pandemica ci ha portato a considerare le debolezze personali di ognun* come fattori politici.
Un luogo di espressione di questa tensione è il laboratorio formazione. Il primo anno di attività del laboratorio si è concluso con l’esigenza di cantierizzare lo Spazio Antagonista Newroz, verso che cosa? Un centro\casa di formazione autonoma.
Le esigenze che il Laboratorio ha proiettato sullo spazio sono quelle di colmare un vuoto: ricercare le fondamenta politiche, i principi e le storie della nostra organizzazione. Manca una memoria che non sia delegata a* singol*. Manca un impegno costante nello studio pratico dei principi e delle storie delle rivoluzioni. Manca una piattaforma che metta al servizio i saperi prodotti dalle lotte, in funzione della costruzione di una nuova società.
Studiare e confrontarsi col movimento rivoluzionario curdo significa anche voler mettere in discussione presunte certezze teoriche non supportate da un metodo di messa a verifica. Lottare contro l’autoreferenzialità di una teoria politica che si fa “gergo specialistico”, che si fa “sapere depositario” o addirittura “capitale culturale” per noi vuol dire combattere anche con modalità di trasmissione del sapere che riproducono separatezze e ruoli non funzionali alla crescita collettiva, bensì ad un effimero narcisismo militante. Siamo categorici su questo: mettere in discussione il “proprio bagaglio” non significa rimuovere la propria storia, anzi: vogliamo farci i conti, anzitutto affermando la ricchezza del metodo autonomo nella produzione di esperienze di conflitto e resistenza che durano ancora oggi. Ma per non rimanere ancorati al simulacro di icone che diventano vuote e scarne di significati, vogliamo interrogarci sulla sconfitta storica delle tradizioni del pensiero e delle concezioni organizzative del passato, a partire dalla portata epocale della controrivoluzione neoliberista.
Libri, documenti, film, video, mostre, quadri, arte e musica creati per contestare l’ordine dominante oggi fanno parte di un capitale culturale e di immaginario recuperato dal sistema, o sono diventati oblio. Vogliamo che tornino ad essere strumenti al servizio del presente conflittuale, così da superare il limite di problemi che sembrano nuovi ma che hanno nodi storici. Non ripartire sempre da zero significa cercare di tracciare una linea nel tempo e nello spazio che possa disarticolare il ritmo del sempre nuovo imposto dall’imperativo capitalistico. Il modello Amazon si basa sulla soddisfazione del consumare e buttare via, creando una perenne deprivazione da riempire compulsivamente. Rompere questa contraddizione che vive nella società significa iniziare a farlo da noi.
Un luogo da non vivere strumentalmente, come un “contenitore vuoto” ma con delle radici e con delle proiezioni. La città capitalistica mercifica la formazione e la riproduzione facendo leva su nuovi bisogni e creando servizi culturali, sociali, educativi e logistici. Il presente da costruire per il Newroz ha a che fare con le possibilità di lotta proprio contro questa formazione “consumo”. Perciò la costruzione di una memoria non significa “chiusura identitaria verso il passato” ma determinazione a rompere l’alienazione del presente con gli strumenti adeguati.
Immagine 18 03 22 alle 18.34Abbiamo pensato a un processo di convergenza tra il lavoro comunitario utile a trasformare praticamente lo spazio, adeguandolo a funzioni ulteriori rispetto a quelle storiche che lo hanno caratterizzato, e il lavoro di programmazione e ricerca di una cultura di liberazione dalla storia di oppressione capitalistica e patriarcale.
Questo percorso formativo, di un cantiere che vive qui e ora questa trasformazione, prevede che la rottura tra utenti e produttori di questo spazio si realizzi con una serie di periodi di apertura e calendarizzazione di eventi e iniziative che fondono il lavoro pratico con quello culturale. Una sfida importante che ha come obiettivo l’idea di rendere il cantiere un’attività permanente che scopra radici con energie nuove, che punti alle intersezioni delle militanze, che produca legami utili a nuovi interventi nella società. Come compagn* viviamo le tensioni di questo comando capitalistico e per questo il “partire da noi” non significa rinchiudersi bensì approfondire, capire, conoscere. Modificare la nostra personalità modificando la società e viceversa.

Rojava perché?
Abbiamo pensato ad un ciclo di iniziative “Rojava” perché lì si condensano una serie di esigenze e di esperienze utili al nostro percorso formativo e alla stessa cantierizzazione.
Dall’arresto di Öcalan il movimento rivoluzionario curdo ha fatto della lotta per la liberazione di Apo un inarrestabile movimento e un principio di resistenza. Dal carcere Apo ha contribuito a forgiare il NEW PARADIGMA che fa della critica e dell’autocritica delle esperienze socialiste un motore teorico e pratico per la rivoluzione nell’oggi. L’ideologia confederale è la ricerca di miti adeguati a sostenere nuove esigenze di trasformazione, ed il Confederalismo democratico è la resistenza alla modernità capitalistica, come nuova forma di organizzazione sociale basata su autonomia delle donne, della natura e della società. Democrazia senza capitalismo!

La rivoluzione del Rojava, la costituzione dell’Amministrazione autonoma della Siria del nord\est, la difesa di Kobane e la resistenza al fondamentalismo islamico, il progetto del confederalismo democratico hanno acceso l’interesse di forze militanti, attivisti, gruppi politici su progetti e valori di eguaglianza e socialismo. Questo progetto ha posto a livello concreto il ruolo delle donne come avanguardia del movimento di cambiamento. In quanto “prima colonia” oppressa dal dominio della forma-stato, il gruppo sociale delle donne è quello sul quale si caratterizza maggiormente la rottura contro il vecchio ordine della società. La nascita della jineoloji, in quanto scienza delle donne e della vita libera, la costituzione di comuni e cooperative e forze di autodifesa interamente femminili, il ruolo dirigente all’interno della società politica confederale, sono esperienze concrete che mettono in crisi anche l’ideologia eurocentrica e liberale di progresso e arretratezza secondo i valori occidentali.
BN KY689 turkur J 20151027133025L’interesse verso il movimento rivoluzionario curdo può essere analizzato e praticato in vari modi. Una prima tendenza è quella di situare il nostro sguardo verso quell’esperienza. Ricercarne le finalità e comprenderne le distanze. Cogliere la portata del “mito” e rapportarsi attivamente con “l’ideologia” di quel movimento. Per questo è importante definirci autonom* e internazionalist*. Perché vogliamo studiare la storia, e diventare partecipi in prima persona di una solidarietà effettiva all’interno dei conflitti globali. Il bisogno di un nuovo internazionalismo rappresenta una esigenza fondamentale nel caos sistemico di un mondo capitalistico sempre più aggrovigliato da catene logistiche, militari e di approvvigionamento.
Questo “nuovo internazionalismo” è motivato anche dalla fine delle rigide separazioni dei “primi, terzi mondi” e dell’emergere su scala globale di opzioni politiche fondamentaliste e suprematiste. E’ necessario considerare le migrazioni, i cambiamenti climatici e la violenza patriarcale sulle donne e soggettività non conformi come interconnessi al medesimo sistema per capire la necessità di una militanza su scala globale. Da questa globalizzazione dominante se ne rintraccia, nel concreto, anche una nuova formazione sociale: le nuove classi operaie e riproduttive combinano più o meno conflittualmente etnie, generi, nazionalità vissuti cosmopoliti. Inoltre, l’era delle pandemie segna una nuova contemporaneità e simultaneità che obbliga a ripensare il rapporto tra territorio e trasformazione. Se Amazon è una delle risposte globali alla pandemia dal lato capitalista, di sicuro la risposta antagonista non potrà essere il ripiego sulle identità politiche precedenti alla pandemia.
Questo bisogno d’internazionalismo non sostituisce il vuoto di costruzione politica, di trasformazione e di rivoluzione alle latitudini nostre. Detto più semplicemente, non prenderemo in Rojava quello che ci serve qui, ma ciò che può essere stimolo per confronto e per relazione. Importare miti significa decontestualizzarli e svuotarli della loro potenza e ricchezza; laddove parole, segni, immagini con valore universale si definiscono sempre a partire da composizioni, interessi, linguaggi e codici particolari. La loro proiezione su scala globale necessita di “congiunzioni” che hanno valore dove ci sono delle “ricadute” dentro le fratture dei propri contesti. Altrimenti si rischia di parlare lingue che non capisce nessun*, noi per prim*, laddove il significato profondo della rivoluzione del Rojava è quello di ricercare la propria società. Ovvero identificare le contraddizioni causate dal polo del dominio, dello stato e del capitale; riconoscere l’influenza che queste contraddizioni hanno sulla società; costruire una formazione continua per dare forza ai bisogni riproduttivi della propria società; proteggere e difendere ciò che si ama.
Ma soprattutto, questo processo va interpretato e letto per capire quali sono le possibilità che anche alle nostre latitudini si vanno creando di rottura di un ordine ideologico neoliberale e di costruzione di nuovi orizzonti e di utopie concrete situate sulle crisi e sulle fratture della nostra società.

 

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