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780 euro sono troppi!

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Pier Carlo Padoan : “Il reddito di cittadinanza incentiva a non lavorare”
Carlo Calenda : “Sono d’accordo a dare una mano ma non si può passare la soglia per la quale il sussidio supera il reddito da lavoro, si rompe il patto tra gli italiani. L’Italia è una Repubblica fondata sul lavoro, così invece chi non arriva a fine mese e si spacca la schiena deve mantenere i disoccupati, non va bene”
Maria Elena Boschi: “Dice Di Maio che col reddito di cittadinanza da oggi cambia lo Stato Sociale. La colonna sonora infatti diventa ‘Una vita in vacanza’
Valeria Fedeli: “Chi lavora 8 ore al giorno prenderà molto meno di chi avrà il reddito di cittadinanza”
Albini, Confindustria : «un effetto scoraggiamento [… ]Questo si desume dal livello troppo elevato del beneficio economico che potrebbe scoraggiarlo (il disoccupato single) dal cercare un impiego in considerazione del fatto che al primo impiego lo stipendio medio di un under 30 è di 830 euro netti al mese»
Gianni Battagliola, presidente Albergatori Trentini: “Ora con il reddito di cittadinanza,non credo che, anche se i centri per l’impiego funzioneranno, uno si senta obbligato dalla Sicilia a venire a fare la stagione in Trentino. Così non va: si premiano i fannulloni”

Abbiamo voluto partire da qui, da alcune delle ultime dichiarazioni sul Reddito di cittadinanza promosso dall’attuale governo. Ci scuserete se continuiamo, per un’ultima volta ancora, la nostra rassegna stampa. Arriviamo a pochi giorni fa, il 5 febbraio, quando Il Sole 24Ore titola “Lavoro: metà dei dipendenti al Sud guadagna meno del Reddito di cittadinanza”. La giornalista si basa sulla relazione che l’Inps e il suo presidente, Tito Boeri, hanno prodotto e presentato proprio in relazione al RdC e i suoi possibili effetti. In questo documento si parla di rischioso “effetto spiazzamento” nel mondo del lavoro; ciò è dovuto al fatto che, al Sud, circa il 45% dei dipendenti privati guadagnano meno dei 780 euro previsti dal decreto che istituisce il nuovo sostegno ai disoccupati. Così, il presidente uscente Boeri decide di spiegarci che “il problema sta nel fatto che il RdC fissa un livello di prestazione molto elevato per un single”. Cioè, troppi soldi in un paese in cui un lavoro dipendente è pagato decisamente meno.
Ma, andando più nello specifico, sempre Boeri ci spiega che “secondo le stime saranno circa il 30% dei richiedenti ad arrivare ai 780 euro mensili (9360 euro annui)”. Questo perché – secondo le stime di Inps – si può fissare a 6mila euro il trasferimento medio annuo nei confronti dei beneficiari, “valore che è comunque più alto del 10% più basso della distribuzione dei redditi da lavoro”(ciò vuol dire che in Italia il 10% dei dipendenti guadagna non più di 500 euro al mese).
Insomma, cifre così alte (?) scoraggiano ad accettare lavori. Questo il pensiero trasversale che abbiamo voluto riassumere in questa particolare rassegna stampa.
Una istantanea del dibattito nel paese che, a nostro avviso, merita un commento: non sulla misura in sé; del resto, è già anni che discutiamo, approfondiamo, critichiamo la proposta del M5S sul reddito di cittadinanza. É soprattutto sulle reazioni e relazioni politiche-economiche che vogliamo qui soffermarci.
Alcune citazioni infatti sembrano davvero disegnare un mondo politico che funziona esattamente sottosopra. Costretti dalla necessità di nascondere i fallimenti delle recenti politiche economiche (austerità, tagli, compressione dei diritti), politici e imprenditori hanno scelto da tempo di accanirsi contro la misura in questione. Prima perché era una irrealizzabile promessa data in pasto ai poveri per vincere le elezioni; poi perché non si sarebbero mai trovate le coperture; adesso il nuovo piano d’attacco prevede niente meno che la “cultura del lavoro” (Fedeli docet).

Cosa sia esattamente la cultura del lavoro in Italia però non viene mai ben spiegato. Sarebbe la cultura della precarietà esistenziale e di vita? O la cultura degli stage e tirocini gratuiti? Forse quella della deregolamentazione del lavoro? Quello della schiavitù nella logistica, nei Mcdonald’s o per Foodora? Allora potrebbe essere quella delle delocalizzazioni in Polonia?
La cultura del lavoro in Italia è sostanzialmente la cultura d’impresa (nel senso che l’unico vero soggetto da proteggere è l’impresa), mista all’italica tendenza al parassitismo (agli imprenditori servono sempre aiuti pubblici, al lavoratore no) ed a forme coercitive di mobilità interterritoriale (si guardi la eloquente dichiarazione di Battagliola a proposito del “l’obbligo a venire in Trentino per la stagione”).
Beh, ci dispiace per i lavoristi di tutta Italia, che siano le sinistre di partito o le classi imprenditoriali: questo lavoro è una merda!
Ci diranno che anche in questo RdC si propone un’idea del lavoro vecchia, non rispondente alla materialità degli attuali assetti sistemici. Plausibile. Ma almeno questa misura un merito lo ha già ottenuto: ha fatto gettare le maschere a tutti coloro i quali non sanno proprio distaccare lo sguardo dai propri privilegi.
Non specificare quanto vergognoso sia che esistano dipendenti pagati meno di 800 euro; arrogarsi il diritto di dare del “fannullone” a chiunque sia disoccupato o non voglia/possa spostarsi dalla Sicilia al Trentino per andare a lavorare stagionalmente a 600 euro; arrivare a parlare di “vita in vacanza” (la Boschi batte sempre tutti in fatto di odio verso le classi subalterne!); tutti questi approcci ci dicono quanto oggi il dibattito politico italiano sia arrivato ai minimi storici.
Ma soprattutto, se anche magari accettassimo l’assunto per cui loro sono i portatori sani di una qualche sana cultura del lavoro, possiamo tranquillamente dire a questi signori che quella cultura del lavoro possono anche tenersela: altro non è, del resto, che l’altra faccia della loro assoluta mancanza di cultura politica. La politica, che è più divertente del lavoro, invece, quella ce la teniamo noi.

 

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