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Al Lingotto la “storicchia” si rimette in cammino

In questa epoca di transizione esistono due storie. Una grande storia, quella dei mutamenti politici e sociali che sconvolgono gran parte del mondo che conosciamo, che rendono inadatti gli strumenti di interpretazione che si sono solidificati dopo il crollo del muro e consegnano nuovi attori e soggetti riemersi dal silenzio alla ribalta del discorso pubblico. Dall’altro lato c’è una piccola storia, una “stroricchia” che è storia di ripetizioni e che quasi, come recitava un vecchio adagio, muta in farsa. Questa seconda storia è quella della compagine politica liberista di centro – sinistra, democratica. Infatti mentre il dominio indiscusso delle forme di organizzazione economico – politiche del liberismo è ancora saldo di fronte agli scossoni della “grande storia”, la vittima di questo incrocio di destini sembra essere la tradizione politica definita “blairismo” che di gran moda è stata negli ultimi decenni nelle fila delle sinistre istituzionali. Nel nostro paese questa storia minore, priva di glorie, ma ricca di molte infamie si sta consumando proprio in questi giorni. Tra gli scandali delle indagini che coinvolgono il babbo di Renzi, le spaccature, i nuovi assi e i tentativi di recupero ci sarebbe materiale per diverse opere buffonesche.

Al Lingotto di Torino vedremo da oggi a domenica l’ennesimo “Ritorno al futuro” mefitico di questa storiaccia. Nella ex-fabbrica degli Agnelli oggi diventata centro commerciale e congressi, sintesi delle mutazioni del capitalismo nostrano, il Bomba serra le fila provando a rievocare i momenti fondativi del Partito Democratico. Infatti qui Veltroni diede vita alla triste creatura che più di ogni altro partito ha agito nella distruzione e compressione di welfare, diritti e possibilità dei settori popolari del nostro paese.

Per diversi anni il verbo neoliberista è stato incarnato e portato avanti dalla retorica della rottamazione, ma la sfida di una risoggettivazione, di una egemonia politica e culturale (per fare il verso al Chiamparino “cattivo maestro”) che portava con sé questo progetto è per il momento fallita. Se pur le piazze non si siano riempite e non siano emersi conflitti espliciti la rigidità a questo modello è stata evidente in tutta la sua forza nel No del 4 dicembre.

Proprio quel No, eco della grande storia che si muove, è stato l’innesco della crisi del Partito della Nazione. Nonostante ciò però non si può pensare che la “storicchia” sia finita. Infatti la montagna di questa crisi al momento ha partorito il topolino della scissione che ancor di più puzza delle antiche burocrazie e nomenklature del riformismo d’antan. Una scissione che niente ha da dire al paese reale e che è ugualmente nemica e allineata alla compatibilità di sistema (banale dirlo). Altrettanto deboli sembrano all’oggi gli sfidanti al renzismo che sono rimasti all’interno del PD.

Renzi ben lontano dal mettere in discussione la propria linea politica e determinato a portare avanti il suo programma, che è programma di ristrutturazione capitalista e abbassamento del costo del lavoro e delle condizioni di vita, rinfresca la facciata appropriandosi di proposte quali il reddito – lavoro di inclusione, che diventa immediatamente strumento di compatibilità e recupero di fronte alla crisi di occupazione data dai salti tecnologici. L’obbiettivo non è tanto, o non solo, quello di accattivarsi nuovi consensi elettorali, che ormai in gran parte dentro la polarizzazione della società che si è data nel referendum sembrano definitivamente persi, ma piuttosto riuscire ancora una volta ad accreditarsi di fronte ai grandi capitali e al mercato internazionale come l’unico in grado di mantenere una certa stabilità nel paese e di fare le controriforme gradite ai mercati internazionali.

Sarà da vedere se il fragile rilancio dalle sale del Lingotto riuscirà a convincere o se questi appoggi migreranno altrove, persino nelle turbolenti acque del populismo pentastellato e oltre. Intanto dalla nostra parte sarà necessario organizzarsi per prepararsi e preparare ai tornanti della grande storia che emergeranno consapevoli però che le “storicchie” sono spesso dure a morire.

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