E vissero felici e contenti. Renzi, la CGIL e il jobs act
Noi siamo contrari all’abolizione dei voucher
Matteo Renzi, maggio 2016
Squillano le trombe, si suona la ritirata. Per evitare un’altra caporetto referendaria si lavora ormai alacremente a una soluzione che disinneschi la bomba che potrebbe esplodere tra congresso ed elezioni riducendo a macerie quel già traballante ponte-verso-il futuro che Renzi sta cercando di attraversare col trolley. Stiamo ovviamente parlando della consultazione sui voucher, fissata ufficialmente per il 28 maggio, referendum che quasi sicuramente non ci sarà. Indiscrezioni dai corridoi dei palazzi danno ormai infatti per sicuro un progetto di legge per ridimensionarli fortemente, forse relegarli alla sola sfera familiare. Un colpo duro, insomma, alla retribuzione “à la carte” preferita da Poletti: 134 milioni di buoni da 10 euro venduti solo l’anno scorso. Ma non si può certo fare altrimenti. Dopo la débâcle del 4 dicembre, nonostante i trascorsi nel mondo cattolico, lo scout di Rignano non porge l’altra guancia. Matteo Renzi schiva per evitare un altro schiaffone che rischia di mandarlo KO. Una bella differenza dal permier baldanzoso che gongolava prima del referendum costituzionale, quando la variabile del “popolino” che ignora le virtù della salvifica rivoluzione liberale non era neanche nel suo radar. L’irruzione dell’inatteso del 4 dicembre continua a pesare come un macigno.
Nella sua immensa disonestà, Renzi annunciando la giravolta dice però due mezze verità che ne rivelano una terza (intera).
1) Innanzitutto Renzi segnala che i voucher non sono “roba sua” che l’hanno creati i governi precedenti, quelli “della sinistra PD” che oggi si agitano, sudano, s’indignano contro i buoni lavoro. Il che è assolutamente vero. Ma ciò non significa che non siano uno strumento anche del suo governo. I voucher rappresentano semmai l’assoluta continuità della parabola del social-liberismo italiano. Una traiettoria che inizia col liberismo latente degli anni ’80, passa per la deregolamentazione del sistema bancario voluto da Amato, per le privatizzazioni promosse da Bersani e arriva proprio a Renzi. In due parole Giuliano Poletti. Il cantore della voucherizzazione del mercato del lavoro rappresentante della miglior tradizione a cavallo tra consociativismo, finanziarizzazione e distruzione dei diritti. Da presidente della Lega coop a ministro del governo Renziloni, Poletti incarna esattamente le continuità tra scissionisti del PD, alternative di sinistra più o meno posticce e il “futuro che ritorna” di cui parla Renzi.
2) Renzi ci dice poi che i voucher non sono il cuore del jobs act anzi non c’entrano proprio. Sicuramente la loro generalizzazione rappresentava invece un salto in avanti importante nella messa a disposizione di lavoro sempre più flessibile per gli imprenditori italiani. Uno strumento agile e adatto a sfruttare giovani e giovanissimi che sono infatti tra i maggiori “beneficiari” dei buoni lavoro. Basti pensare che l’età media dei lavoratori pagati a voucher è passata da 60 anni a 36 anni tra il 2008 e il 2016. Ciò che è vero, però, è che il cuore del jobs act è un altro, quell’abolizione dell’Articolo 18 su cui la CGIL non ha voluto giocare nessuna partita né prima, convocando scioperi degni di questo nome, né dopo la sua approvazione, dando battaglia sulla bocciatura del terzo quesito referendario da parte della consulta.
3) Così arriviamo all’unica verità di questa fiaba. È evidente che lo spirito del referendum del 28 maggio, se dovesse tenersi, sarebbe stato un altro. Un (altro) referendum contro Renzi, contro il PD, le sue politiche anti-popolari e la sua ipocrisia. Ma è proprio questo che vuole assolutamente evitare il suo promotore quanto la sua controparte. È più la battaglia che fa paura a governo e CGIL, che la materia dello scontro. Si parla d’interessi comuni, equilibri da mantenere, possibilità di carriera, entrate nei posti che contano e il sindacato non può certo prendersi la responsabilità di scoperchiare il vaso di Pandora. La soluzione del decreto legge è un lieto fine per una storia che rischiava di farsi sempre più incresciosa. La CGIL sa che potrà portare a casa quella che presenterà come una vittoria e Renzi sa che dopo le forche caudine di quest’anno il jobs act sarà definitivamente acquisito. E vissero tutti felici e contenti.
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