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I’m blue da ba dee…

Di questo 25 aprile le istituzioni e le forze politiche del suo campo non sanno più bene che farsene. Non è – per loro – un problema recente e forse forse ne risolve uno a noi. Quello di non averceli tra i piedi in una giornata che continua a essere affar nostro perché riscopre una memoria mai placata per una liberazione per la quale non si smette di lottare. Lontani fisicamente – a Roma – e nella simbologia – a Milano – ma pur sempre lì, ostinati a contenderci una memoria di ostilità, e per questo partigiana, fino al limite di usurparla e oltraggiarla.

Il problema dei democratici coincide con l’ossessione del tema della memoria condivisa: cancellando il sacrificio partigiano con la stessa operazione che consegna la custodia della memoria del conflitto politico degli anni ’70 ai parenti delle vittime, non importa per mano di chi, i morti sono tutti uguali. Per loro. La Repubblica nasce divisa. La Repubblica deve essere reinventata unita e ogni epica è utile a tale scopo, pure quella dell’antimafia dei ROS. A Bari ieri il corteo istituzionale si è concluso consegnando a un’associazione studentesca un immobile confiscato alla mafia (?!): ogni liberazione è buona, purché rafforzi lo Stato e la sua unità sul principio ipocrita della legalità. Si sprecano i miti fondatori attorno ai quali ricomporre un ordine nazionale, democratico, pacificato.

Ma tutte le storielle finiscono o vengono a noia prima o poi. Il mondo gira veloce e occorre guadagnarsi un nuovo storytelling. I renziani del PD rottamati dal 4 dicembre si danno appuntamento a Milano nel corteo del 25 aprile dietro lo striscione “patrioti dell’Europa”. Si materializza il blue bloc dei tifosi di Macron, il modello vincente all’ultimo grido. Ma che c’incastra il 25 aprile? Nulla o il punto limite del suo uso revisionista.

L’alternanza “democratica” che spartiva un ordine repubblicano tra socialistes e républicains, tra destra e sinistra e che garantiva a tutti la possibilità di intestarsi un pezzetto di identità istituzionale, si è esaurita, oltralpe come da noi. È la secessione di una èlite dominante dalla costrizione della democrazia e dei simboli da sacrificarle: dalle nostre parti l’antifascismo e la resistenza partigiana. Il (loro) sogno della nuova unità, la nuova patria da forgiare, come ogni patria, non ha bisogno di un equilibrio democratico attraverso il quale sanare un dissidio aperto nella società, ma di una guerra per ricomporre i vinti attorno alle nuove gerarchie. Si tratta di pericolosi mistificatori a cui contrapporre una nuova Resistenza? Non sprechiamo la storia a cospetto della farsa… abbiamo però certo dei nemici ben riconoscibili in cerca di qualche mito da celebrare, o forse solo di un motivetto su cui gasarsi. I’m blue da ba dee…  

 

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