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L’ironia sul reddito di cittadinanza è una trappola

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Quella che si sta giocando intorno alla questione del ‘reddito di cittadinanza‘ , tra pagine Facebook, articoli scoop sui CAF di Giovinazzo, livori razzisti dei ‘produttivi’ contro i parassiti, non è una battaglia pensata solamente al creare immediata polemica contro le politiche economiche di un eventuale governo 5 stelle.

E’ soprattutto una volontà espressa politicamente e ancor di più mediaticamente da parte delle elites imprenditoriali e finanziarie nazionali, tutori delle grandi aziende e istituzioni private, che difendono i loro grossi interessi nel paese.

È la volontà di screditare e rendere ridicola anche solo la possibilità di immaginare una vita slegata dall’ideologia del lavorismo, dal lavoro salariato come mezzo per ottenere un sostentamento. Si tratta di fatto di una battaglia culturale tesa a screditare intorno ogni futura proposta di reddito universale.

Si colpisce oggi per prepararsi il lavoro di domani, quando anche le retoriche suprematiste di un Salvini saranno messe KO dalle contraddizioni tra capitale e lavoro su scala globale, tra automazione e concorrenza, tra robotizzazione e flusso migrante sempre più inarrestabile. E servirà arrivare pronti all’impatto con la realtà.

Ovviamente la colpa di quanto sta avvenendo non è solamente di chi sta agendo in maniera furba sfruttando la situazione, giocando sull’ironia di alcuni fatti sociali come i veri o presunti assedi ai CAF. Ma è anche e soprattutto del 5 Stelle, la cui volontà di costruire una proposta politica sul tema del reddito di cittadinanza è animata da una prospettiva politica workfaristica che è ben diversa dall’idea di un reddito universale di base.

Giocata con intelligenza a partire dalla crisi economica che impatta soprattutto nel contesto meridionale, la proposta grillina come ormai tutti sanno lega l’ottenimento di quel reddito all’obbligo di accettare un lavoro, senza specificare la qualità dello stesso, proposto dei centri per l’impiego. E di avere solo due possibilità di rifiutare, pena la perdita del reddito stesso, che tralaltro ha una durata molto breve in termini temporali.

Un qualcosa che in sé potrebbe anche non dispiacere al grande capitale, che coglie però la palla al balzo per difendere tutto ciò che può e continuare la sua battaglia prima di tutto ideologica.

Va sottolineato come da più parti ci siano dunque responsabilità nella creazione di questo che è un pasticcio brutto, che va a consentire una sorta di restaurazione della legittimità di un mondo fondato sul salario, sul lavoro salariato in opposizione ad uno senza dubbio migliore in cui invece dovrebbe essere la libertà di svincolare la propria vita dal lavoro a farla da padrone.

Proprio in un momento in cui a livello globale, anche da alcuni attori capitalistici sono in corso le prime sperimentazioni di una uscita da questo meccanismo: pensiamo da un lato all’accordo in Germania stipulato dalla IG metall con i suoi lavoratori, o dalle prospettive suggerite da Google, piuttosto che altre aziende hi-tech della Silicon Valley, che proprio sul reddito garantito iniziano a ragionare le proprie prospettive politiche.

Quanto sta succedendo in Italia sul tema del redditi di cittadinanza è una sfida che non va dunque sottovalutata, ma anzi letta all’interno di quello che é un tentativo di restaurazione culturale e di governo dei corpi e delle vite negli anni a venire. Da parte di un capitalismo straccione, come lo definì qualcuno in passato, che non sembra disposto a mollare un centimetro.

 

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