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La politica al tempo della Grande Coalizione

Dalle trattative per il nuovo governo Macron, al possibile esito delle elezioni tedesche di settembre, passando per le discussioni sottobanco tra i principali partiti tradizionali italiani, sembra affermarsi con sempre maggiore diffusione la Grande Coalizione come modello di governo dei tempi a venire in Europa. In particolare, sembra che questa sia la forma che la politica di Palazzo stia utilizzando per rispondere alla modificazione dell’asse politico istituzionale da destra/sinistra ad alto/basso. Un traslarsi che si afferma in parallelo al crollo delle opzioni socialdemocratiche e dopo decenni di neoliberismo incontrastato, con relative diseguaglianze sociali di massa.

Il posizionamento rispetto all’Unione Europea sembra essere criterio fondamentale in questo spostamento d’asse, dividendo tra chi sta in alto (e la sostiene) e chi sta in basso (e la contesta) nell’arco partitico, con una divisione che viene narrata dai media tra conseguenti partiti “responsabili” e “populisti”. In effetti, quello che è in corso è anche un conflitto sul concetto di patria, dove la contesa è sulla vastità dell’area geografica che deve imporre l’interesse generale della controparte.

Ad ogni modo, in termini generali, questo spostamento da un asse orizzontale a verticale potrebbe non essere un problema, delineando in maniera maggiormente chiara la struttura economica e politica. Il problema è che questo alto/basso su cui si sta ricostruendo il nuovo asse politico è basato su una chiara finzione, e la rappresentanza del basso è il vero fondamentale campo di contesa.

Se in alto c’è chi rappresenta il classico establishment, in basso stiamo assistendo alla continua sussunzione delle esigenze delle fasce che le politiche dell’alto lo subiscono. Trump, Le Pen, Farage rispetto al caso Brexit testimoniano la continua avocazione di decisionalità alle fasce subalterne, come prova a fare a suo modo anche il nostrano Salvini.

Il perno di tutto questo processo, qui in Italia, rimane ad ogni modo il Partito Democratico. La pantomima dello scorso 25 Aprile, al netto delle pessime trovate del tipo esaltare la figura della collaborazionista Coco Chanel, è rivelatrice di un tentativo forte di dare legittimità alla Grande Coalizione a venire in Italia attraverso l’elevamento dell’europeismo ad ideologia cardine dei “responsabili”

La strategia è giocata contro i “populisti“, ma lo sguardo è rivolto soprattutto all’ulteriore messa in ginocchio dei non-garantiti, soprattutto di chi vive nelle periferie socio-economiche del paese. In particolare il mondo giovanile, che ovunque raggiunge tassi di astensionismo record, è interessato da tentativi di recupero sempre più mediatizzati, in Italia come in Europa.

Proprio il tema della gioventù assume infatti sempre più rilevanza nella comunicazione politica del potere, che come è arcinoto racchiude anche dimensioni estetiche all’interno di quelle decisive per costruire la propria legittimità. Fino a qualche anno fa era la figura della leader donna a “tirare”, oscurando ovviamente il fatto che non tutte le donne appartengono alla stessa classe o hanno lo stesso tipo di interessi e visioni politiche. Oggi, in un contesto in cui la politica istituzionale è sempre più immaginata con i volti di vecchi parrucconi che decidono dall’alto dei loro scranni, si impone un ringiovanimento delle figure istituzionali.

Paradossalmente, mentre la demografia rende sempre più vecchia l’Europa, e i governi si adeguano di conseguenza in termini di politiche puntando su ordine e sicurezza, la paura dei giovani e di possibili loro esplosioni sociali impone alla dimensione estetica della “politica dell’alto” di rinnovarsi.

Il caso di Macron è emblematico: nessuna ricetta nuova rispetto al passato, provenienza politica di establishment..ma gli è bastato essere “giovane” per vincere. Non a caso Obama, in visita recentemente a Milano, ha esortato Renzi a “formare leader giovani” come una delle necessità più urgenti a cui adempiere. Un annuncio dato tatticamente, proprio mentre il PD annunciava l’ingresso di venti “millennials” in direzione, per quanto contino meno di zero e siano nati ben prima dei 2000..

La differenza è che Macron, a differenza di Renzi che cerca di ri-proporsi come vero elemento di novità nella politica italiana, è saputo scendere da cavallo al momento giusto, senza sprofondare a terra come fatto dal suo vecchio compare Valls, trombato dalla corsa per il nuovo parlamento dopo che aveva cercato di ritornare sul carro del vincitore. Renzi invece è un uomo che ha già subito importanti sconfitte, in particolare la batosta del 4 dicembre: la sua aura di rinnovamento semplicemente non esiste. Eppure, la soluzione è li, pronta all’uso.

E’ la Grande Coalizione, che permette di resuscitare perfino Berlusconi e che assesta a Salvini il colpo mortale sulle possibilità di vittoria di un’opzione simil-sovranista…del resto, l’imperativo è che un altro caso Trump non venga replicato. Il PD intanto prende fiato, mentre è alla ricerca disperata di una formula che gli eviti di finire sul lungo periodo come i socialisti francesi o quelli greci. Se la speranza di Renzi è che a essere pasokizzato sia Bersani con i suoi scissionisti..quella nostra è che il ducetto fiorentino possa sempre sparire dalle scene politiche insieme ai suoi vecchi compagni di merende.

La Grande Coalizione è inoltre ciò che rende possibile la neutralizzazione di ogni elemento esterno all’establishment dei “responsabili“, ciò che permette di confinare i non-europeisti all’interno del basso, spazio comodo comodo dove poter conservare la propria poltrona e deviare dall’individuazione del nemico corretto le fasce più impoverite.

La Grande Coalizione non è solo politica, ma anche socio-economica. Tiene dentro l’attenzione alla declinazione liberale dell’economia di rete, quella del mito delle start-up, della meritocrazia e della tecnica come forma di governo dell’esistente, dove non esiste alcuna questione sociale ma solo equazioni da risolvere, dove l’umano è inteso come mero esecutore di una funzione gestita da un algoritmo, il cui codice è nelle mani di pochi (l’establishment).

E la soluzione all’equazione, quando il governo tecnico entra in crisi, è quasi sempre l’utilizzo dei muscoli della “vecchia politica”. Lo dovrà fare Macron, appoggiandosi ai gollisti per avere una maggioranza di governo e utilizzando le sue forze di polizia per combattere un’opposizione sociale che minaccia cinque anni di conflitto. Lo dovrà fare la Grande Coalizione all’italiana, per contrastare la probabile ondata di rigetto verso un governo Renzi-Berlusconi in nome della stabilità. Non c’è Renzi senza Minniti, non ci sarà Macron senza un nuovo Valls.

Come si agita il “basso” oltre le false sirene di populismi che puzzano di xenofobia? Come si attacca la politica che prende la forma della Grosse Koalition? Queste domande dovranno trovare una risposta nell’agenda dei movimenti che vanno verso un prossimo periodo di campagna elettorale..


per rispondere alla modificazione dell’asse politico istituzionale da destra/sinistra ad alto/basso. Un traslarsi che si afferma in parallelo al crollo delle opzioni socialdemocratiche e dopo decenni di neoliberismo incontrastato, con relative diseguaglianze sociali di massa.

Il posizionamento rispetto all’Unione Europea sembra essere criterio fondamentale in questo spostamento d’asse, dividendo tra chi sta in alto (e la sostiene) e chi sta in basso (e la contesta) nell’arco partitico, con una divisione che viene narrata dai media tra conseguenti partiti “responsabili” e “populisti”. In effetti, quello che è in corso è anche un conflitto sul concetto di patria, dove la contesa è sulla vastità dell’area geografica che deve imporre l’interesse generale della controparte.

Ad ogni modo, in termini generali, questo spostamento da un asse orizzontale a verticale potrebbe non essere un problema, delineando in maniera maggiormente chiara la struttura economica e politica. Il problema è che questo alto/basso su cui si sta ricostruendo il nuovo asse politico è basato su una chiara finzione, e la rappresentanza del basso è il vero fondamentale campo di contesa.

Se in alto c’è chi rappresenta il classico establishment, in basso stiamo assistendo alla continua sussunzione delle esigenze delle fasce che le politiche dell’alto lo subiscono. Trump, Le Pen, Farage rispetto al caso Brexit testimoniano la continua avocazione di decisionalità alle fasce subalterne, come prova a fare a suo modo anche il nostrano Salvini.

Il perno di tutto questo processo, qui in Italia, rimane ad ogni modo il Partito Democratico. La pantomima dello scorso 25 Aprile, al netto delle pessime trovate del tipo esaltare la figura della collaborazionista Coco Chanel, è rivelatrice di un tentativo forte di dare legittimità alla Grande Coalizione a venire in Italia attraverso l’elevamento dell’europeismo ad ideologia cardine dei “responsabili”

La strategia è giocata contro i “populisti“, ma lo sguardo è rivolto soprattutto all’ulteriore messa in ginocchio dei non-garantiti, soprattutto di chi vive nelle periferie socio-economiche del paese. In particolare il mondo giovanile, che ovunque raggiunge tassi di astensionismo record, è interessato da tentativi di recupero sempre più mediatizzati, in Italia come in Europa.

Proprio il tema della gioventù assume infatti sempre più rilevanza nella comunicazione politica del potere, che come è arcinoto racchiude anche dimensioni estetiche all’interno di quelle decisive per costruire la propria legittimità. Fino a qualche anno fa era la figura della leader donna a “tirare”, oscurando ovviamente il fatto che non tutte le donne appartengono alla stessa classe o hanno lo stesso tipo di interessi e visioni politiche. Oggi, in un contesto in cui la politica istituzionale è sempre più immaginata con i volti di vecchi parrucconi che decidono dall’alto dei loro scranni, si impone un ringiovanimento delle figure istituzionali.

Paradossalmente, mentre la demografia rende sempre più vecchia l’Europa, e i governi si adeguano di conseguenza in termini di politiche puntando su ordine e sicurezza, la paura dei giovani e di possibili loro esplosioni sociali impone alla dimensione estetica della “politica dell’alto” di rinnovarsi.

Il caso di Macron è emblematico: nessuna ricetta nuova rispetto al passato, provenienza politica di establishment..ma gli è bastato essere “giovane” per vincere. Non a caso Obama, in visita recentemente a Milano, ha esortato Renzi a “formare leader giovani” come una delle necessità più urgenti a cui adempiere. Un annuncio dato tatticamente, proprio mentre il PD annunciava l’ingresso di venti “millennials” in direzione, per quanto contino meno di zero e siano nati ben prima dei 2000..

La differenza è che Macron, a differenza di Renzi che cerca di ri-proporsi come vero elemento di novità nella politica italiana, è saputo scendere da cavallo al momento giusto, senza sprofondare a terra come fatto dal suo vecchio compare Valls, trombato dalla corsa per il nuovo parlamento dopo che aveva cercato di ritornare sul carro del vincitore. Renzi invece è un uomo che ha già subito importanti sconfitte, in particolare la batosta del 4 dicembre: la sua aura di rinnovamento semplicemente non esiste. Eppure, la soluzione è li, pronta all’uso.

E’ la Grande Coalizione, che permette di resuscitare perfino Berlusconi e che assesta a Salvini il colpo mortale sulle possibilità di vittoria di un’opzione simil-sovranista…del resto, l’imperativo è che un altro caso Trump non venga replicato. Il PD intanto prende fiato, mentre è alla ricerca disperata di una formula che gli eviti di finire sul lungo periodo come i socialisti francesi o quelli greci. Se la speranza di Renzi è che a essere pasokizzato sia Bersani con i suoi scissionisti..quella nostra è che il ducetto fiorentino possa sempre sparire dalle scene politiche insieme ai suoi vecchi compagni di merende.

La Grande Coalizione è inoltre ciò che rende possibile la neutralizzazione di ogni elemento esterno all’establishment dei “responsabili“, ciò che permette di confinare i non-europeisti all’interno del basso, spazio comodo comodo dove poter conservare la propria poltrona e deviare dall’individuazione del nemico corretto le fasce più impoverite.

La Grande Coalizione non è solo politica, ma anche socio-economica. Tiene dentro l’attenzione alla declinazione liberale dell’economia di rete, quella del mito delle start-up, della meritocrazia e della tecnica come forma di governo dell’esistente, dove non esiste alcuna questione sociale ma solo equazioni da risolvere, dove l’umano è inteso come mero esecutore di una funzione gestita da un algoritmo, il cui codice è nelle mani di pochi (l’establishment).

E la soluzione all’equazione, quando il governo tecnico entra in crisi, è quasi sempre l’utilizzo dei muscoli della “vecchia politica”. Lo dovrà fare Macron, appoggiandosi ai gollisti per avere una maggioranza di governo e utilizzando le sue forze di polizia per combattere un’opposizione sociale che minaccia cinque anni di conflitto. Lo dovrà fare la Grande Coalizione all’italiana, per contrastare la probabile ondata di rigetto verso un governo Renzi-Berlusconi in nome della stabilità. Non c’è Renzi senza Minniti, non ci sarà Macron senza un nuovo Valls.

Come si agita il “basso” oltre le false sirene di populismi che puzzano di xenofobia? Come si attacca la politica che prende la forma della Grosse Koalition? Queste domande dovranno trovare una risposta nell’agenda dei movimenti che vanno verso un prossimo periodo di campagna elettorale..

 

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