Organici alla governabilità
Che ce ne facciamo degli/le intellettuali?
La domanda non è una provocazione né una minaccia: non abbiamo intenzione di fare roghi di libri né di limitare la libertà di stampa di chicchessia anche se, come diceva qualcuno, più che di libertà di stampa urgerebbe forse oggi rivendicare una libertà dalla stampa.
C’era una volta l’intellettuale organico, quasi sempre di estrazione borghese che, per tradire la propria classe d’origine, si metteva al servizio del “partito della classe operaia”. Bistrattato dalla cultura post-moderna oggi imperante, questo modello di figura intellettuale aveva almeno il merito di porre la questione dell’uso, funzione e contro-utilizzo possibile dei mezzi cultura/sapere/conoscenza come armi dello scontro sociale e politico. L’intento era buono, l’esito un po’ meno dal momento che “il Partito” preferì abbandonare le prospettive rivoluzionarie e andare incontro agli emergenti ceti medi, individuati come stabilizzatori della democrazia emersa nel dopoguerra. Da traghettatori di conoscenza diventavano i destinatari corteggiati e, si sa, non c’è niente che faccia più piacere agli intellettuali dell’essere vezzeggiati e pubblicamente riconosciuti. Da una cultura/sapere che doveva servire alla rivoluzioni si passò ad una Cultura che doveva essere data agli operai come riconoscimento del proprio buon lavoro svolto.
A partire dall’abbandono di ogni prospettiva di rottura nella pratica teorica di quel ceto intellettuale, l’esperienza operaista e la temperie culturale che scoppiò nel ’68 tentò di postulare una nuova declinazione dell’intellettualità (militante), ridefinendola come “organica alla classe”. La massificazione dell’istruzione e l’esplodere (numerico e politico) dell’università di massa negli anni Settanta diffuse il virus di saperi immediatamente politici nella società: il sapere diventava immediatamente potere. Sarà forse per questo che le università divennero luoghi deputati dello scontro e sedi da riconquistare per i pacificatori. Se ne accorsero anche le élites della controparte, al punto che la Trilateral Commission in una famosa relazione si pose come uno degli obiettivi strategici la distruzione dell’università pubblica, non più produttrice di forza-lavoro addomesticata e cittadinanza obbediente ma luogo di riproduzione e organizzazione dell’antagonismo sociale. (I movimenti studenteschi succedutisi da allora – con minore forza e altalenante consapevolezza – hanno continuato a contrapporsi a questa idea totalitaria dell’università e della Formazione come luoghi deputati alla sola produttività di capitale umano).
La grande sconfitta degli anni Ottanta polverizzò tra carcere, eroina e edonismo consumista questa grande accumulazione di saperi, che poteva vivere fintantoché prosperavano dinamiche di movimento. Battuta l’orda doro e i rapporti virtuosi tra saperi di parte e movimenti di massa, gli intellettuali poterono tornare ad occupare il loro posto in società che il movimento di classe aveva messo in discussione. Come sopravvive infatti il ruolo/status di intellettuale dagli anni Ottanta ai giorni nostri? Potremmo dire come involucro e surrogato dei valori della sinistra storica. Soprattutto come ruolo separato dal sociale che li circonda. Dagli anni Ottanta assistiamo a questo triste spettacolo di una destra arrogante che vanta la propria ignoranza – capace però di far denaro – e di una sinistra che si auto-commisera e auto-compiace della propria presunta superiorità morale, incapace di comprendere la società in cui vive e sempre più lontana dagli interessi delle classi subalterne. Chissà se gli intellettuali di sinistra si sono accorti nel frattempo che il loro partito (in tutte le sue metamorfosi) è stato intanto egemonizzato da politici-manager capaci solo di obbedire al nuovo credo neo-libersita…? Diremmo di no, impegnati come sono stati in tutti in questi anni a coltivare la separatezza minoritaria ma pur sempre garante di status e aura che ha consentito loro di rappresentarsi come custodi della Cultura e del Benpensare. (Non vorremmo con questo rinunciare all’importanza del pensiero critico e del sapere alto, solo che questi sono sempre più prodotti da figure poco riconosciute o ai margini dell’accademia, il più delle volte fuori da questo paese). C’è poi il sapere delle lotte – quando le lotte ci sono – ed è questo il sapere più prezioso e strategico per chi lavora al cambiamento. Esso ha molto a che fare con l’intellettualità diffusa nell’insieme del corpo sociale che ogni tanto, inizia a girare in direzione contraria scontrandosi immancabilmente con gli zombies occupanti lo spazio ambito e ristretto dell’intellettualità riconosciuta.
In questi giorni questi sopravvissuti al loro tempo storico, gli/le intellettuali (gente che non si è ancora accorta della completa e compiuta mercificazione anche del loro ruolo) si stanno dando un gran da fare – impegnandosi nel loro sport preferito: fare appelli – per rimettere insieme un’alleanza di governo nazional-popolare capace di traghettare il paese oltre il rischio dello spettro-Grecia e permettere che tutto possa continuare ad essere come prima: i politici facciano i politici (“assumetevi le responsabilità!”), gli intellettuali facciano gli intellettuali (appelli e prestazioni Tv – senza rischiare niente, come sempre) cantanti e attori quel che fanno da sempre (rincoglionire le intelligenze e amministrare la passività del lavoratore/cittadino consumato).
Ribadiamo: se c’è una cosa positiva che il M5S ha provocato in questo tornante è l’ingovernabilità del paese ai fini dell’austerity e (fattore non secondario e indigeribile per tant* compagn* che mancano di realismo), attivato alla politica uomini e donne non raggiungibili dai milieux militanti: siamo sicuri che tutto questo sia un male? Ri-precisiamo (annoiandoci) che non intendiamo farci né difensori né tantomeno sostenitori dei 5 Stelle e che anzi bisognerà dargli battaglia su diversi fronti: immigrazione (proposte irricevibili) , politiche del lavoro (che intanto bisognerà capire quali saranno, visto la confusione tra dichiarazioni e proposte spesso contraddittorie) e politiche della formazione (si va dal finanziamento della scuola pubblica alla ricerca di un più stretta penetrazione dell’Impresa nell’Università). Ci sono però poi le proposte su reddito, grandi opere, de-finanziamento delle spese militari… Crediamo in ogni caso che sull’operato futuro di questo aggregato politico-elettorale non si possano certo mettere le mani sul fuoco e che le ambiguità e contraddizioni che lo popolano potranno svilupparsi in molte direzioni o esplodere in altrettanti cocci.
Tanto per essere ancora più chiari e fugare qualunque fraintendimento, il soggetto collettivo che qui scrive non si è mai fatto incantare da sirene istituzionali, tentativi di rappresentanza, “ri-appropriazione di nessi amministrativi”, lunga marcia nelle istituzioni e simili amenità. Il nostro rapporto con le istituzioni è sempre stato “mediato” dai manganelli e dai tribunali. Ci fa dunque sorridere che chi da tempo agisce diversamente, oggi pensi di poter mettere i puntini sulle “i” e fare le pulci a noi, al movimento no tav o ad Alberto Perino perché avrebbe fatto un comizio elettorale. Tanto per rinfrescare le idee, Alberto Perino (ex-sindacalista dei bancari Cisl) il 4 luglio del 2011 ha detto in una conferenza stampa, appoggiato da un movimento e da una valle intera, “siamo tutti black bloc!”; un anno fa era con noi ad occupare un’autostrada e a farsi riempire di manganellate. Chi pretende di fargli le pulci, da un decennio cerca i black bloc come infiltrati nelle manifestazioni (anche quando non ci sono). Alcuni di questi compagni ( non tutti, alcuni) non li abbiamo mai visti in Val di Susa forse perché, aldilà della lontananza, da quelle parti non si rimediano poltrone ma solo denunce…
Tornando agli intellettuali di oggi, categoria talmente ampia e generosa in cui rientrano anche eterni idioti come Jovanotti e sbirri mancati come Saviano, il loro terrore di veder cambiare le cose troppo velocemente (con annessa perdita del loro status) li spinge istericamente a cimentarsi con la buona e vecchia pratica della “responsabilità civile” periodicamente richiesta agli uomini di cultura dall’ordinamento borghese. Tenendo presente quanto già detto in precedenza, intendiamo ostinatamente guardare al presente in termini materialisti e considerare certi fenomeni meno per quello che dicono di essere e più per gli effetti che producono. In questo momento la vittoria dei 5 Stelle sta gettando nel panico le caste politiche, sindacali, mediatiche, culturali del paese… e questo ci fa godere!
Siamo però ben coscienti che trasformazioni più profonde e radicali dell’esistente dovranno necessariamente prendere altre strade e cimentarsi su ben altri piani: piazze piene, costruzione di soggettività, organizzazione-contro. Su questo programma lungo e ambizioso persistiamo, ben consci che non ci sono scorciatoie parlamentari o altre mediazioni a risolvere i nostri problemi (nostri inteso come: della generalità degli/le sfruttati/e). Continuiamo dunque a lottare per l’ingovernabilità, consapevoli che nessun nuovo governo sarà possibile né auspicabile senza il previo raggiungimento dell’obiettivo minimo dei movimenti rivoluzionari dell’ultimo decennio: Que se vayan todos!
A sarà dura
Red. Infoaut
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