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Prima di tutto: creare conflitto, contrapposizione nemicità

Le elezioni politiche hanno consegnato all’Europa una sua parte, l’Italia, che appare istituzionalmente ingovernabile, il sistema politico, fondato su un’apparente democrazia che legittima i partiti all’esercizio della sovranità decisionale è fallito, sta implodendo. Quello che è certo è che nel nostro paese è avvenuto un grande rifiuto delle istituzioni politiche: il 25 % delle persone di questo paese non è andato a votare e quasi altrettanti hanno espresso un voto che è sicuramente di protesta e di contrapposizione al ceto politico dominante.

Questo cambiamento è il risultato e la risposta a come è stata gestita e affrontata la crisi economica. Si sono salvate le banche, si sono difesi i profitti per i capitali finanziari, si sono garantiti gli interessi delle grandi imprese e aziende multinazionali: Fiat, Eni, Finmeccanica, Ilva, Telecom, Mediaset… Per contro, si sono colpiti i redditi e le condizioni di vita e di sussistenza della maggioranza della popolazione. Il progetto era quello di fare pagare i costi della crisi al ceto medio, a chi ha potuto conservare un lavoro subordinato, ai giovani, alle donne, ai pensionati.

Il Partito Democratico aveva programmato di riproporre un sodalizio con Monti che avrebbe ipotecato il nostro futuro nel nome dell’interesse generale, delle richieste delle cancellerie europee, delle direttive della BCE e del FMI. Il sistema dei media e della politica, attivato alla massima potenza possibile, non è stato in grado di conseguire lo scopo che si prefiggevano le élites dominanti. Il sogno che nessuno avrebbe disturbato il manovratore si è infranto.

Le istituzioni hanno perso di legittimità. Ma questa non è saltata solo per la corruzione dilagante, per la separatezza o per l’inadeguatezza del ceto politico, del ceto imprenditoriale, della burocrazia statale. La legittimità si è annullata perché le politiche liberiste non possono governare la crisi né garantire un nuovo ciclo di sviluppo. L’impossibilità di governare la crisi economica ha innescato una crisi di legittimità delle istituzioni e messo il luce l’inadeguatezza della democrazia formale e allo stesso tempo ripropone i rapporti di forza costituiti dal potere finanziario come espressione della massima forma di dominio della classe e delle soggettività capitalistiche globalizzate.

 

La rottura del consenso è emersa come rifiuto netto. Importanti strati sociali non si riconoscono, e incominciano a considerare come contrario ai loro interessi e quindi come nemico, il sistema istituzionale che si fonda e struttura sull’intreccio e interconnessione di finanza, partiti politici e media. Ma se è evidente la destabilizzazione del quadro politico e quindi di conseguenza lo stallo governativo e l’ingolfamento delle strutture amministrative e gestionali delle istituzioni – la macchina dello stato – meno appariscente, ma altrettanto importante, è l’inizio di un processo di destrutturazione delle fondamenta su cui fino ad ora si è costituito e ha retto il sistema sociale del nostro paese. Sarebbe un grave errore ricondurre la momentanea ingovernabilità alle specifiche incompatibilità tra le forze politiche che si sono contese il predominio nella competizione elettorale. Si sono piuttosto raggrumati tre blocchi sociali diversi che stanno mettendo in atto strategie di difesa alle sollecitazioni della crisi e sempre più esprimono interessi differenti che spingono in direzioni divergenti: si tratta di componenti di ceto medio che hanno ancora una qualche ricchezza da difendere ma se la vedono progressivamente erosa; di altre parti di ceto medio che sono collocate prevalentemente o dipendono dall’amministrazione dello stato o nelle imprese che producono servizi o ancora che sono dipendenti dalle elargizioni del sistema istituzionale; infine strati subalterni impoveriti, esclusi ed umiliati che si stanno sempre più estendendo.

La destabilizzazione del quadro italiano rischia di non essere un incidente temporaneo, ma incomincia a rappresentare una seria minaccia per l’intera Europa. La gerarchia politica ed economico-finanziaria costruita sulla differenziazione e discriminazione di aree territoriali rischia di rompersi, infrangendo sostanziali forme di dominio e di controllo considerate fino ad ora consolidate e immutabili. Un evento simile provocherebbe inevitabilmente una importante destabilizzazione dell’intero sistema capitalistico.

 

Red.Infoaut

(*) editoriale presente nel volantone di Infoaut distribuito durante il corteo per Dax

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