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Tempesta perfetta sul governo Renzi

Se giovedì scorso è stata un’ottima giornata per i movimenti, con il 4 a 0 inflitto dai No Tav all’ignobile procura torinese, di tutt’altro tono lo è stata per il governo Renzi e la sua accolita di profittatori e garantiti.

I dati macroeconomici sulla crescita e sulla produzione industriale dell’ultimo trimestre non solo riportano le lancette del prodotto interno lordo indietro di 14 anni, bruciando 18 miliardi di euro a Piazza Affari; ma spazzano via, nel giro di un pomeriggio di metà maggio, sia la propiziatoria retorica sulla “ripresa” ereditata dall’esecutivo Letta che, più complessivamente, le politiche economiche di tre anni di governi di nominati. Con buona pace di quelli che “Proprio ora che lui (il nominato di turno) sta sistemando le cose non si possono buttare tutti i sacrifici all’aria!” e simili fastidiosi mantra da seduta di autoconvincimento, che un giorno rimarranno a cupa testimonianza di un’epoca segnata da individualismo conformista e servilismo.

Ritorna lo spettro ricorrente della manovra autunnale – che anticiperebbe i tagli da 50 miliardi di euro all’anno previsti dal Fiscal Compact – mentre già il debito pubblico avanza verso quota 140%. E qui la razionalità borsistica applicata alla politica è perentoria per Renzi&Co: il provvedimento potrebbe sì scattare a settembre, ma il suo impatto sui conti elettorali (e non) dell’opinione pubblica è immediato. Andando ad inserirsi in un trend di erosione progressiva non solo di consenso ma anche, potenzialmente, di legittimazione stessa dell’esecutivo. Le tangenti ad Expo, il disastro della Coppa Italia, il caso Genovese, le contestazioni e l’ostilità a vari livelli delle piazze dei comizi, e l’allarme sul voto per il piano casa sono tutti campanelli d’allarme per un premier costretto, contronatura, a giocare di rimessa.

In una fase che vede un PD intollerabilmente arrogante, anche grazie ai suoi tirapiedi sindacali, verso le frange più provate della popolazione – precari ed inquilini in sofferenza abitativa, che dal canto loro rispondono con rabbia e determinazione inedite da anni. Ma il cui disegno normalizzatore viene minato sul terreno delle “riforme” parlamentari dalle defezioni, arresti e mandati di cattura che stanno marcando l’indecoroso e scomposto dissesto della compagine berlusconiana. Verso la tanto annunciata terza repubblica? Se questa, ora rievocata in senso esorcista e semplificatorio al pari delle “nuove tangentopoli” o delle “nuove P2”, verrà in essere non sarà un pranzo di gala. Ciò che ha contraddistinto il “bipolarismo imperfetto” tra DC e PCI, permettendo anche loro di sopraffare i movimenti, è stata la condivisione, fin dalla Costituente, di una medesima cultura istituzionale. Che negli odierni PD e M5S, al di là di una formale difesa degli apparati statali (gli uni dagli altri!), è assente.

Cosa cambierà il voto europeo in questo quadro, rispetto a quello nazionale di più di un anno fa? Nulla! E persino al netto di quei sempre meno numerosi elettori piddini pronti a turarsi un naso ormai cianotico. Al di là della lettura che si potrà dare del dato astensionista – comportamento comunque da non ergere a feticcio, tanto più in una simile tornata elettorale – tra chi non si recherà alle urne e quanti sceglieranno una delle attuali opposizioni, l’ideologia europeista sostenuta dal governo Renzi non potrà che riconfermarsi minoranza assediata nel paese. E proprio alla vigilia di un semestre che si prevede tutt’altro che agevole per la presidenza italiana dell’Unione, stretta tra le tensioni interne ed internazionali (Ucraina, referendum indipendentisti in Scozia e Catalogna…) ed attesa al varco dai movimenti l’11 luglio, data del vertice europeo sull’occupazione giovanile.

Data che assume un carattere decisivo. Chi depositerà la scheda nell’urna il prossimo 25 maggio, scegliendo il meno peggio da un menù comandato, non farà altro che da testimone ad un noioso balletto di posizionamenti, percentuali, congetture e campagne d’opinione. E in proposito varrebbe la pena chiedersi: quali avanzamenti ha comportato per gli sfruttati la presenza storica della sinistra radicale europea nelle istituzioni comunitarie? E quali si prospettano dopo la scadenza elettorale, davanti alla possibile riproposizione delle larghe intese tra socialisti e popolari a livello continentale? Chi calcherà il suolo torinese dell’11 luglio potrà essere protagonista di una riscossa di classe e di popolo: quella che pone davanti all’Europa dell’austerità ad ogni costo una totale alterità ideale, sostanziale e programmatica. Un’opposizione sociale irriducibile ad ogni rappresentanza e mediazione, e il cui carattere costitutivamente anticapitalista, meticcio ed autonomo potrà salire sul palcoscenico continentale per rispondere alle vecchie e nuove destre meglio che tanti allarmismi ed analisi sociologiche.

#civediamolundici

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