Zagrebelsky, gli studenti e l’Arabia Saudita
A scuola si racconta talvolta di epoche oscure, in cui l’Eneide di Virgilio poteva essere letta soltanto di nascosto, e così la Poetica di Aristotele; o in cui l’Indice dei testi proibiti causava la tortura e la morte, o ancora in cui la propaganda per le idee laiche o democratiche doveva essere portata avanti clandestinamente, con rischi ancora maggiori di quelli odierni; i tempi in cui qualsiasi forma di discussione o organizzazione indipendente dallo stato era proibita, ad esempio durante il fascismo. Oggi i tempi sono cambiati. Oggi le persecuzioni delle idee e dei pensieri non sono più opera degli uomini di potere, dei giudici, degli uomini politici o dei magistrati, perché sono gli uomini di stato, i politici, i ministri e i magistrati – abbiamo appreso la settimana scorsa – ad essere perseguitati e censurati dalle intimidazioni e dai bavagli messi sulle loro bocche da gruppi di studenti universitari.
In questo mondo strano, così cambiato ed irriconoscibile, accade anche che gli studenti non debbano nemmeno apporlo, quel bavaglio sulla bocca dei magistrati, perché sono loro ad apporselo da soli. Giancarlo Caselli, ad esempio, ha rinunciato per sua scelta di presenziare a un dibattito sull’antimafia a Firenze perché gli studenti del collettivo di scienze politiche avevano annunciato una manifestazione. Per questo ha inviato lettere piene zeppe di insulti a diversi quotidiani, accusando i “vigliacchi”, “ignoranti”, “squadristi”, “bulli”, “cialtroni”, “teppaglia” di avere impedito l’iniziativa organizzando un presidio davanti all’aula dov’era previsto il dibattito.
Ma lasciamo stare la bile di Caselli, che interviene ormai nel dibattito pubblico soltanto per blaterare insulti in modo sempre più scomposto contro ventenni che la pensano diversamente da lui sulla storia italiana, siciliana o valsusina (remote e recenti). Incapace di tollerare qualsiasi offesa al suo proverbiale narcisismo, ormai annulla preventivamente i suoi interventi per poter gridare alla fine della civiltà e alla cospirazione antagonista. L’idea che un uomo delle istituzioni pluri-protetto e pluri-scortato, che ha incarcerato e portato a processo (anche al netto di ogni giudizio storico e politico sul suo operato) migliaia di persone, dirigendo le attività di migliaia di agenti e militari armati, sostenuto nella sua figura e nella sua reputazione da tutta la stampa (persino Libero ne ha in questa occasione preso le difese) e da tutto il mondo istituzionale che conta, possa essere “vittima” di un collettivo studentesco è possibile soltanto a patto di annullare ogni senso del ridicolo.
Ne è dimostrazione l’intervento del suo sodale Vladimiro Zagrebelsky su La Stampa dove, alla teoria dei magistrati oppressi e perseguitati dagli studenti (da loro stessi, spesso, processati e arrestati), si tenta di fornire una teoria in modo a dir poco coraggioso, anzitutto sul piano della logica. La rinuncia di Caselli all’apparizione fiorentina viene accostata infatti – con un sagace colpo di scena – all’indisponibilità, da parte… dell’Arabia Saudita, ad ammettere un intervento di Margot Wallstroem (?) a una riunione… della Lega Araba! Un gruppo di studenti armati di striscioni e volantini, che intende anzitutto difendere un movimento sociale (i No Tav) dagli attacchi del potere giudiziario nel proprio paese, viene quindi equiparato a una monarchia ereditaria che eccepisce sull’intervento del ministro degli esteri di uno stato straniero (la Svezia) in un consesso internazionale.
Per Zagrebelsky, tuttavia, non soltanto un collettivo universitario e uno stato arabo possono essere accostati in un’argomentazione, e una diatriba tra stati portata come esempio di lesione della libertà di espressione, ma un ministro, come la Wallstroem, può essere elevato al rango di “donna nota nel mondo per la promozione dei diritti umani”. Peccato che l’episodio che ha contrapposto la Wallstroem e i sauditi sia stato descritto dalla stampa internazionale come “la tensione tra il volto femminista della Svezia e il suo desiderio di mantenere lucrativi contratti per l’esportazione di armi all’Arabia Saudita”. Il “povero” governo svedese vittima di censura araba ha esportato infatti nella reazionaria monarchia 900 milioni di sterline in armi nel solo 2014, essendo l’Arabia Saudita il quarto importatore di armi svedesi fuori dall’Unione Europea.
Con questo però Margot, la ministra degli esteri tanto vicina ai “diritti umani”, oppressa e imbavagliata dalla dittatura saudita al (altrimenti democratico) consesso della Lega Araba, non c’entra nulla. Anzi, sì: dopo che trenta colossi svedesi (tra cui Investor, SEB Bank e H&M) hanno sottoscritto un memorandum in favore degli accordi sul commercio di armi con i principi persecutori di donne e tagliatori di teste negli stadi, la pasionaria dei diritti umani tanto cara al pubblico detrattore degli universitari italiani ha dichiarato, sollecitata sul punto specifico: “Abbiamo un commercio molto esteso con l’Arabia Saudita ed opportunità e legami economici che siamo ansiosi di mantenere”. Bene.
Ma andiamo oltre. Per Zagrebelsky la rinuncia di Caselli e l’esclusione di Wallstroem sono accostabili a un terzo episodio, ovvero le scritte spray “ama la libertà, odia il fascismo” comparse sulla sede di un gruppo neofascista (il Fuan) all’Università di Torino. (Anche Caselli ha bacchettato il gesto con un’ulteriore caterva di insulti, ma a causa del fatto che l’aula imbrattata è dedicata a Borsellino. Noi lasciamolo ai suoi fantasmi). Gli studenti torinesi, analogamente a quelli fiorentini e all’Arabia Saudita, avrebbero impedito ad altri studenti, quasi si trattasse di magistrati o ministri degli esteri, di “liberamente” odiare la libertà e amare il fascismo, mostrandosi evidentemente fascisti a loro volta (“squadristi” per la penna del nostro).
Forse il magistrato non sa che pochi minuti prima una studentessa, colpevole di aver stracciato dei volantini (proprio del Fuan) che pretendevano diritti allo studio “prima per gli italiani” era stata colpita da una delle vittime dell’oscurantismo antifascista con un pugno al volto, e subito dopo arrestata e portata in commissariato dalla polizia giudiziaria che al fine polemista e al suo amico Giancarlo è tanto cara; o più probabilmente lo sa, ma la cosa non lo scompone punto, visto che, udite udite, gli studenti di Torino e Firenze (sempre assieme all’Arabia Saudita) sono per lui assimilabili all’Isis (!), che come noto non è possibile combattere con fiori nei cannoni. Il nostro genio accosta infatti i collettivi “a chi ha condotto gli assalti armati di Parigi e Copenaghen”; perché è ovvio: Margot Wallstroem, il Fuan e Giancarlo Caselli sono come Charlie Hebdo.
In quest’orgia carnascialesca di persone, istituzioni, fatti e misfatti di diversa natura e costrutto Zagrebelsky conclude che “l’antifascismo è prima di tutto difesa della libertà di tutti” (in primo luogo dei fascisti) e che chi manifesta (contro Caselli, causando una rinuncia preventiva) è “barbaro, cioè estraneo ai valori della nostra civiltà” (alti e raffinati concetti, di una modernità spiazzante). Questi barbari/studenti devono quindi essere “portati alla ragione” – cosa che, detta da un magistrato, fa rima con prigione; e in effetti il suo amico Caselli ha fatto tutto il possibile in questo senso, ma nonostante questo le nostre ragioni non sono nel tempo affatto cambiate.
A seguito di una settimana di deliri, cui purtroppo siamo abituati, ci limitiamo quindi a sottolineare due cose. La prima, è che il livello degli interventi ospitati dalla stampa italiana (il Fatto Quotidiano, che ha ospitato uno degli interventi di Caselli, o La Stampa che, come Il Fatto del resto, ha ovviamente rifiutato di pubblicare il punto di vista degli universitari oggetto della polemica… sempre per restare fermamente attaccati al principio della “libertà di espressione”) ha ormai raggiunto l’acme della demenza argomentativa. Siamo governati, giudicati e controllati da apparati che non dispongono neanche di un punto di vista sia pur formalmente decente sul piano dell’inferenza logica e della tenuta dei concetti, che sia possibile spendere contro di noi sulla carta stampata. Il nostro paese non può – sembra – al momento esibire, in senso conservatore o reazionario, un’elaborazione intellettuale di dignità minima.
La seconda, è che la nozione di “libertà di espressione” si conferma uno dei principali strumenti politici cui chi detiene il potere intende affidarsi nella denuncia pubblica dei propri avversari. Destituita di ogni sostanza, abbandonata alla più pura astrazione, la libertà di espressione diviene negazione in via di principio della possibilità di critica: i limiti del contraddittorio, del contrasto argomentativo e politico vengono ristretti fino a confezionare un uso politico del concetto di (in)tolleranza che non soltanto svolge il ruolo di inibitore programmato della scepsi e del dubbio, ma serve a nascondere la realtà di un mondo sociale dove l’intero sistema penale è costruito sull’abiura e sulla pubblica ammenda, dove l’istigazione a delinquere, l’oltraggio e simili capi d’imputazione sono utilizzati senza parsimonia nei tribunali; dove il mestiere dell’informazione è irreggimentato attraverso la cooptazione più subdola e il servilismo più disgustoso, dove l’editoria amputa e deprime con metodo la produzione letteraria del paese, dove la scuola è amministrata con le urla e i provvedimenti disciplinari contro chi osa criticare le regole e l’istituzione, dove l’accademia seleziona il pensiero scientifico in base al servilismo conformista e alle clientele…
Dobbiamo continuare? Porre la questione della libertà di espressione, oggi, significa porre immediatamente la questione della trasformazione. Ma questa trasformazione, crediamo, non piacerebbe né a Caselli, né a Zagrebelsky… né a Margot Wallstroem, né all’Arabia Saudita… e così via…
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