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Link tax e Upload filter: i rischi della nuova direttiva europea sul copyright

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Lo scorso 20 giugno il Comitato Affari Legali del Parlamento Europeo (JURI) ha approvato la proposta di direttiva sul copyright nel mercato unico digitale che sarà votata in seduta plenaria al Parlamento Europeo domani, giovedì 5 luglio.

Nonostante questa direttiva miri a risolvere una serie di problemi di lunga data, non solo non ci riesce ma ne crea di ben altri, così gravi che rischiano di diventare un disastro. Questa proposta contiene in particolare due articoli molto critici: sono l’art. 11, noto come “link tax”, e l’art. 13.

L’art. 11 stabilisce che gli editori possono esigere un pagamento da chi condivide una notizia pubblicata, anche in forma di link o citazione. Questo rende difficile e costoso curare un’aggregazione di notizie. Condividere un link al sito di un quotidiano potrebbe richiedere un accordo formale con quel quotidiano, e un eventuale pagamento. Noi stessi, secondo questa normativa, scrivendo questo articolo avremmo dovuto prima chiedere il permesso ed eventualmente pagare per usare i collegamenti a siti esterni. Inoltre le direttive emanate dalla Comunità europea non sono leggi vere e proprie, ma atti giuridici che vincolano i paesi membri al raggiungimento di un determinato risultato, pur non prescrivendo esattamente come, visto che ciascuno dovrà poi recepire la direttiva armonizzandola col proprio ordinamento giuridico preesistente. Ogni stato membro avrà quindi una diversa riforma sul copyright. Questo significa che tutti i siti internet e le fonti stesse da cui i siti attingono (ad esempio Wikipedia) dovranno sottostare a queste norme, un caos ingestibile di regole variabili a seconda dello stato membro in cui viene fornito il servizio. E’ facile comprendere come questa legge sia fortemente incompatibile con qualsiasi sito ‘wiki’, primo fra tutti Wikipedia, che ha infatti lanciato uno sciopero oscurando il sito web per protestare contro l’approvazione di questa direttiva.

L’art. 13 rende invece responsabili per eventuali violazioni del diritto d’autore le piattaforme online che ospitano quei contenuti ma non le persone che le utilizzano. Quindi quando ad esempio gli utenti postano un meme, il video di una serata, o di una protesta che includono come sottofondo una canzone protetta da copyright, il sito su cui la pubblicano rischierebbe delle pesanti sanzioni. Questo costringerà le piattaforme internet a creare sistemi di censura preventiva del materiale condiviso in rete, imponendo dei “pre-filtri” sulla pubblicazione dei contenuti. L’applicazione di questi “pre-filtri” significherebbe che nel momento in cui si pubblica qualcosa, ad esempio su Facebook, prima che questa venga effettivamente pubblicata viene fatto un controllo sul contenuto di quel post per verificare che non ci siano violazioni di copyright; solo in quel caso verrà poi reso pubblico. Siccome far fare questi controlli a degli esseri umani costerebbe troppo, il lavoro sarà affidato ad algoritmi. L’esperienza di questi anni – ad esempio quella di Facebook nel contrastare le fake news – ci dice che gli algoritmi al momento fanno male questo lavoro. Facilmente le aziende saranno tentate di censurare tutto o quasi, pur di evitare di pagare penali.

Un altro aspetto in cui si può notare l’inadeguatezza di queste misure sta nel considerare che non vengono prese in considerazioni possibili ‘penali’ per chi dichiara falsamente diritto di copyright sul lavoro di altri. Questo significa ad esempio che se un giorno il proprietario di una piattaforma online decidesse che gli articoli di Wikipedia da lui utilizzati sono di sua proprietá, potrá citare Wikipedia per violazione del copyright. Wikipedia a sua volta non potrebbe utilizzare quegli articoli fino a che non sará verificato l’effettivo diritto di copyright su quell’articolo. Per dirla in breve, ci sarebbero molte più opportunitá per persone poco scrupolose, incompetenti o male intenzionate di bloccare o boicottare i contenuti e la condivisione di materiali online.

L’articolo 13 inoltre lascia l’utente fuori solo e al freddo. Ovvero, se un giorno il contenuto di un utente viene oscurato da un algoritmo perché ritenuto inadeguato alle leggi sul copyright, l’unica opzione è portare il problema ai responsabili della piattaforma dove la censura è avvenuta e sperare che rispondano e ascoltino il problema. Ma se questa opzione non ha successo l’unico modo di recuperare il proprio post, meme, o video è quello di passare alla risoluzione giuridica.

Ad aggiungere controversia alla questione c’è poi il fatto che una normativa simile è stata giá approvata anni fa in Spagna e in Germania, fallendo miseramente. L’unico stato dove questa pratica è ormai accettata come normalità è la Cina.

La normativa in questione è scritta male, in modo superficiale, inapplicabile e pericolosa. È un maldestro tentativo di una parte di Europa di regolamentare uno dei piú grandi benefici di Internet, ovvero la sua fruibilità e la libertà dei contenuti al suo interno, la libertá di pubblicarli, di leggerli e di diffonderli. I danni collaterali che questa normativa imporrebbe sulla vita pubblica non possono essere presi alla leggera. Se approvata, potrebbe limitare la libera espressione e causare danni seri alla collaborazione e alla diversità online, diminuendo la possibilità di chiunque in tutto il pianeta di accedere ai contenuti di internet, soffocando l’innovazione e imponendo dei costi irragionevoli a siti nuovi o piccoli.

Per questo moltissime voci hanno chiesto l’eliminazione di questi due articoli. Tra costoro ci sono molti pionieri di Internet, le associazioni di diritti civili in rete e gran parte dei centri di ricerca europei sui diritti d’autore.

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