Ad Amburgo è Marò-day
Arriva al Tribunale Internazionale del diritto del Mare di Amburgo (ITLOS) la saga dei due marò; rispetto a cui nei prossimi giorni i giurati internazionali dovranno prendere parola sul rientro in patria di Salvatore Girone, ed alla permanenza sua e del collega Massimiliano Latorre in Italia per tutta la durata dell’arbitrato internazionale. Istanza invece di competenza della Corte Penale Internazionale dell’Aia, che si avvierà il 26 agosto. Della probabile durata di tre anni, e che si risolverebbe nella decisione di consegnare alternativamente i due fucilieri alla giustizia italiana o a quella indiana: col rischio, in quest’ultimo caso, di far ripartire il processo da zero.
Tornando al pronunciamento dell’ITLOS si tratta di un chiaro tentativo da parte del governo Renzi di ottenere, col rimpatrio di Latorre e Girone, una vittoria d’immagine a breve termine ed un annacquamento del contenzioso per il prossimo futuro. Tuttavia c’è una non piccola possibilità che finisca per tramutarsi nell’ennesimo boomerang per l’esecutivo nostrano: la convenzione internazionale che istituisce il tribunale (la UNCLOS del 1982) prevede infatti che il ricorso ad esso possa avvenire solo previo esaurimento di tutti i gradi di giudizio dello stato offeso. Traguardo che (come riportato dalle puntuali corrispondenze del giornalista Matteo Miavaldi, residente in India da diversi anni e che qui citiamo) sconta i tempi lunghi della giustizia indiana (peraltro equiparabili a quelli italiani) ed il ricorso sia a varie eccezioni difensive che ad una corte suprema qualificata. Ma va anche sottolineata la presenza di una serie di garanzie eccezionali per i due militari, accusati dell’omicidio dei pescatori Ajesh Binki e Valentine Jelastine il 15 febbraio del 2012 (e alle cui famiglie lo stesso governo italiano ha riconosciuto il risarcimento in sede civile).
Mancata detenzione in carcere, alloggio presso i locali dell’Ambasciata italiana a New Delhi, libertà di circolazione in tutta quella municipalità con obbligo di firma una volta a settimana, libertà di visita da parte dei familiari e la concessione di due licenze di soggiorno temporaneo in Italia a Girone e tre a Latorre. Tra cui quella delle elezioni 2013, conclusasi nel goffo tentativo di trattenere i due marò in Italia: in spregio alla parola “d’onore” data alle autorità indiane e conseguentemente dell’azzeramento della credibilità nostrana, oltre che verso queste ultime, in buona parte della comunità internazionale.
Aspettando il verdetto, c’è chi continua a chiedersi cosa facessero due fucilieri di marina su una nave privata: spesso ignorando che, grazie ad una legge del 2011 dell’allora Ministro della Difesa La Russa che apre all’impiego delle forze armate per compiti di mercenariato, c’è sempre “chi paga” – come si udiva dai latrati sessisti durante il caso di Greta e Vanessa. Ed emerge l’immagine di un paese tutt’altro che compatto dietro le italiche coorti, a dispetto delle dichiarazioni del ministro Gentiloni. Basta farsi un giro sui social media, dove la tumefatta grancassa di politicanti e tg in favore della “liberazione” dei “nostri ragazzi” ha prodotto un livello di ossessività e saturazione tale da rovesciarsi in fenomeni di ironia e dissacrazione anche grazie a meme virali e pagine come I marò ed altre creature leggendarie.
Tuttavia c’è da giurare che i fremiti di chi ancora vede in questo pastrocchio una qualche manifestazione di orgoglio nazionale da difendere (mentre magari pignorano la casa al vicino con un mutuo capestro) non saranno placati che davanti al ritorno dei due prodi sul suolo natio. E a quel punto il giusto contrappasso sarebbe davvero vederli piazzati in qualche lista di Fratelli d’Italia o della Lega Nord, per poi approdare direttamente in Parlamento. E finalmente poterli mantenere, invece che da semplici assassini, come politici a tutti gli effetti.
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