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Chi invoca libertà per Salvini?

È tempo di illuminismo di ritorno. Tutti si sbracciano in difesa del diritto di parola di Matteo Salvini perseguitato, ostacolato, contestato in ogni dove. Eppure dal 1 gennaio al 25 febbraio, in 56 giorni, sono state 73 le presenze televisive di Salvini. 18 ore di parola per un totale di 24 ore e 5 minuti davanti alle telecamere: tutti i giorni, a tutte le ore. Lo spazio mediale comunicativo tra stampa, tv e social, è letteralmente occupato da Matteo “Mezzobusto” Salvini. Nonostante questo, abbondano le piroette à la Voltaire di politici ed opinionisti affaccendati a spianare al leader leghista la strada anche fuori dagli ovattati studi televisivi.

Due tesi di fondo si manifestano. La prima assume sostanzialmente il diritto alla libertà d’espressione. “Tutti hanno il diritto di parlare – scrive Francesco Merlo sulle colonne di Repubblica – Matteo Salvini ha il diritto parlare comunque e dovunque”. L’universale imperativo avanza pretese di totalità, ma, come ogni universale, tiene conto solo del mondo che è rappresentato e di chi lo può rappresentare. Con i difensori di principio di questa libertà di parola si affaccia un grottesco “Je suis Salvini” in consonanza con la fastidiosa epica del fu “Je suis Charlie”. Come l’hashtag della conciliazione nazionale francese decretava l’alternatività tra la parola della Republique e quella dei proletari di religione musulmana ribadendone la loro espulsione dalla sfera politica, sociale e culturale dalla società francese e dai suoi codici di rappresentazione; così ora non ha una parola propria chi la crisi la subisce e difendere il diritto di parola di Salvini significa direttamente lasciar dire da Salvini le passioni del proletariato italiano impoverito nella crisi. Produrlo razzista, rancoroso e acquiesciente ai rapporti di sfruttamento esistenti.

La libertà di parola in questione resta così quella di chi ha già la parola, difesa da chi ha già la parola e i suoi strumenti per esprimerla. È la parola che parla per il mondo dominante contro e sulle parole che tacciono. È la parola che mette a zittire il primo balbettare di una lingua che può nascere. Affermare un diritto alla libera espressione da una posizione di potere significa scegliere chi far tacere. Questo non è difficile in tv, in un ambiente senza “contradditorio”, come si dice in gergo tecnico, ma per le strade è ben più difficile perché la prima battaglia per chi non ha parola è quella per affermarsi contro chi ce l’ha… e Salvini lo sta imparando a rischio della propria incolumità.

La seconda tesi squalifica a stolta brutalità questo livello dello scontro assumendo strumentalmente la difesa del diritto di parola. Chi contesta Salvini farebbe il suo gioco perché gli offrirebbe nuovi palcoscenici continuando a far parlare di lui, pertanto sarebbe meglio farlo parlare piuttosto che continuare a far parlare di lui con le contestazioni. Lerner, ad esempio, predica contro gli antirazzisti e gli antifascisti che contestano Salvini. Si appella alla loro ragione perché vinca sul loro istinto. Se avete a cuore per davvero la “tenuta democratica” di questo paese – dice – allora tenete a freno la vostra rabbia, raccomanda Lerner, perché ogni contestazione rafforza la sua offensiva reazionaria, facendolo passare per vittima. “Salvini deve la sua investitura plebiscitaria di leader della destra ai centri sociali: ogni tafferuglio una medaglia!” chiosa sempre Merlo su Repubblica, affibbiando ai contestatori di Salvini l’epiteto di “minchioni!”.

La verità è che Salvini ha pieno diritto di parola. Questo diritto gli è accordato – esattamente come vorrebbe Lerner – proprio per garantire la “tenuta democratica” (tenuta sistemica) a rischio di compromissione con l’avanzare di fenomeni di proletarizzazione di massa. Garantire una tenuta democratica è possibile solo scaricando verso il basso l’accumulo di violenza generato nella crisi.

La parola di Salvini è interna al sistema tanto che non incontra resistenze solo entro i canali di riproduzione del discorso di potere: i media mainstream. Per le strade si scontra con il conflitto che alimenta e che vorrebbe circoscritto ai livelli bassi della società, nella guerra tra poveri lubrificata dal razzismo. Su quei livelli di realtà la pulsione salviniana si scontra con altre: quella per la dignità, quella che vorrebbe orientata la violenza verso l’alto e non verso il basso. In questa fase di gestazione dell’ipotesi di compatibilità democratica del fascio-leghismo, lo scontro si produce soprattutto per affermare un’alterità sulla parola unica di Salvini e della tenuta democratica di cui si fa promotore e che è la stessa che stritola nell’impoverimento. In questo senso si scioglie il finto antagonismo tra Renzi e Salvini, entro l’unica direzione di dominio delle loro narrazioni sull’assenza di risorse, unico paradigma di gestione del funzionamento delle democrazie in occidente.

Quando succede poi che sono i Democratici a schierarsi in prima fila contro le piazze e contro il dissenso per invocare libertà per Salvini, come il governatore della Toscana Enrico Rossi due giorni fa dopo il tesissimo tour del leader leghista tra Massa, Viareggio e Pisa, allora i finti rivali vengono restituiti ad un unico comune piano di cogestione dell’esistente. Salvini da ribelle diventa un capriccioso troppo convinto della propria parte. Si riaggiorna solo il folklore della classe politica italiana nella traiettoria che dalla boutade nazional popolare berlusconiana (riassorbita in Renzi) arriva a quella nazionalista popolare di Salvini, tollerato e ricompreso come “voce” sopra le righe ma sempre in linea con una direzione di comando e un livello di potere. Pertanto… nessuno tocchi Salvini! Gli 8.456 poliziotti impiegati per proteggerlo e sbandierati da Alfano per superiore senso dello Stato, non ci hanno indignato né mosso a solidarietà nei loro confronti, come invece è successo a Lerner in un moto irrefrenabile di pasolinismo d’accatto. Ci confermano anzi l’assoluta internità di Salvini al blocco di potere al governo, la sua difficoltà a difendersi sul terreno del confronto politico e della materialità dei rapporti che abitano i territori impoveriti. L’esuberanza del personaggio Salvini riaggrega comunque le forze dell’ordine nel senso più ampio del termine: attira le simpatie degli agenti di qualsiasi arma, parà in libera uscita si offrono di proteggerlo insieme a fascistelli ormonali. In questo sì, Salvini esprime un tratto fascista, nell’estetica e nel richiamo.

Lerner e gli enciclopedisti dei nostri tempi lo accettino, ci sarà ancora chi è disposto a passare sopra sbirri e fascisti per conquistare una spazio per le sue parole, contro le menzogne altrui.

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