“Difendiamo la nostra terra!” Reportage dalle proteste degli agricoltori Piemontesi
Partiamo subito specificando che questo è un reportage costruito a partire dalla partecipazione alle mobilitazioni avvenute in Piemonte, in particolare tra Torino, Alessandria, Vercelli e Novara, tra domenica 21 e mercoledì 31 gennaio 2024. Si tratta di un racconto situato e parziale, a metà strada tra la cronaca e l’analisi, che speriamo possa servire da spunto tanto per una riflessione più ampia quanto per la scrittura di altre analisi situate.
Torino (21-22-29 gennaio)
(21 gennaio) A lanciare le piazze torinesi sono alcuni dei gruppi consolidatisi nel corso del movimento No Green Pass, in particolare il gruppo La Variante Torinese, la Casa del Popolo ed il Coordinamento Piemonte. A differenza di altri gruppi presenti a Torino, dove il movimento No GP si è frammentato in circa una dozzina di gruppetti connotati da diversi registri discorsivi, orientamenti ideologici e pratiche organizzative, questi sono gruppi caratterizzati dallo spiccato personalismo di alcuni leader e dall’adesione a un repertorio molto ampio di teorie del complotto. Sarà Marco Liccione, front-man della Variante torinese, che assumerà un ruolo centrale durante i comizi di questi giorni, ed i comizi spazieranno dalla difesa dell’agricoltura e dell’eccellenza italiana al rifiuto dei diktat imposti dall’Unione Europea, colpevole di portare gli agricoltori ad abbandonare i campi in favore dei pannelli solari e farine di grillo. La domenica in piazza ci sono circa 300-500 persone, tra cui qualche dozzina di agricoltori. Durante la piazza viene rilanciato un appuntamento per il giorno dopo, lunedì, di fronte al Ministero dell’Agricoltura, dove si vorrebbe procedere a bloccare tutto.
(22 gennaio) Il giorno dopo, di fronte ai cancelli del Ministero, nella periferia, ci sono più celerini e digossini che manifestanti, circa una trentina, e non c’è nemmeno l’ombra di un trattore. Sono tutti veterani del movimento No GP, e quando Liccione spiega che i trattori non arriveranno il piccolo presidio si scioglie.
(29 gennaio) La manifestazione comincia calorosamente, con Liccione che brucia sul palco una bandiera dell’UE. Sotto il palco circa gli stessi numeri della settimana precedente, se non che anche quei pochi agricoltori che sembravano presenti la volta prima, stavolta sembrano del tutto assenti. Sul palco di susseguiranno gli interventi dei leader della galassia No GP torinese, ma soprattutto del leader dei CRA Danilo Calvani e di Francois, esponente di diverse realtà del mondo No GP francese, e venuto a siglare una pubblica alleanza con il movimento italiano. Per un’analisi più approfondita di queste piazze e del legame con le piazze degli agricoltori, rimandiamo a Monitor Italia, dove la questione verrà affrontata in modo approfondito.
Alessandria e Novara (31 gennaio)
Partendo da Torino ci siamo divisi in due gruppi, di modo da avere più punti di vista su quanto stava avvenendo. Arriviamo all’uscita del casello di Alessandria verso le 9 e 30, e subito troviamo uno schieramento di celere, circa 3 camionette ed un paio di volanti. Procediamo fino a Viale Milite Ignoto, lungo il quale continuiamo a incontrare numerosi mezzi delle FDO. Presto cominciamo a sentire il suono dei clacson, centinaia di clacson. Mentre avanziamo sulla corsia, alla nostra sinistra cominciano a sfilare i trattori, spesso addobbati di bandiere tricolori e cartelli di cartone. Arriviamo al presidio permanente mentre i trattori continuano a incolonnarsi, e rimaniamo nel piazzale dove da una settimana è in corso il presidio permanente, centro pulsante della socialità e dell’organizzazione della protesta. Invece di seguire il corteo, regolarmente autorizzato, che proseguirà fino al casello per poi immettersi in autostrada e rallentare drasticamente il traffico, decidiamo di rimanere lì a parlare con gli oltre 30 agricoltori rimasti al presidio, molti dei quali organizzatori. Quasi del tutto assenti i solidali, eccezion fatta per una manciata di simpatizzanti, tutti veterani del movimento No GP, e residenti nelle cittadine limitrofe. Circa un’ora e mezza più tardi il corteo di trattori tornerà al piazzale. Gli organizzatori stimano 500 trattori, la questura circa la metà. Rimaniamo lì a chiacchierare con gli agricoltori appena arrivati, mentre gli animatori del presidio offrono pane e formaggio, vino e torta a tutti i presenti. C’è solo un breve intervento all’impianto, durante il quale uno degli organizzatori ringrazia la Digos per non aver creato problemi allo svolgimento della protesta, e poi si lascia spazio alla musica. Il primo pezzo a partire è il remix di “La gente come noi”.
Per quanto riguarda la mobilitazione di Novara e Vercelli, arriviamo a Borgo Vercellese che il corteo diretto al punto di incontro a Novara è già partito. Praticamente assenti le FDO, se non un paio di pattuglie. Per circa un’ora e mezza non possiamo fare altro che ammirare il retro di un trattore, mentre seguiamo il corteo da Borgo fino ad un piazzale nella periferia industriale di Novara, dove si contano circa 150-200 trattori, addobbati di cartelli e bandiere. Qui siamo rimasti fino alle 11.30, quando sono partiti 3 o 4 gruppi di trattori. Ci siamo quindi messi al seguito di uno di questi, potendo godere delle melodie dei loro clacson. Moltissimi ragazzi e ragazze giovani, tra i 20 ed i 35 anni, le cui aziende spesso sono state fondate dai loro nonni. Una composizione che in un primo momento ci sorprende, aspettandoci di trovare più gente sui 50, con alle spalle una lunga carriera, mentre si tratta invece di persone che lottano per poter continuare ad avere un futuro in questo settore lavorativo. Il secondo gruppo di trattori ha quindi continuato lungo la provinciale fino all’Outlet di Vico Lungo, dove c’era un camion adibito a palco. Qui molti hanno parcheggiato tra lì ed il campo vicino all’autostrada. La Digos è presente ma rimane in disparte, tutto è autorizzato.
Composizione
Come si sarà capito dall’incipit narrativo di questo questo reportage, non trova conferma la narrazione mediatica, secondo la quale vi sarebbe una sovrapposizione tra movimento NoGreenPass e “movimento dei trattori”, già ribattezzato dei “gilet verdi” da parte dei media. Ciò detto, la piazza di Torino è indubbiamente caratterizzata dalla presenza egemonica di realtà organizzate e legate al movimento No GP, e riteniamo che tanto l’analisi della composizione, dei discorsi e del rapporto tra la piazza torinese e il movimento nelle campagne meriti di essere oggetto di una riflessione a parte. Completamente differente è la situazione nelle campagne, dove il movimento si dà in completa autonomia, senza coordinarsi né con i CRA, né con le realtà attive a Torino. Completamente assente, sia in città che in campagna, la sempre più temuta “infiltrazione fascista”. Ciononostante la situazione è comunque complessa e sfaccettata. Speriamo quindi di mettere un pò di chiarezza, per quanto parziale, con questo contributo.
Nelle varie piazze troviamo una massiccia presenza di aziende o contoterzisti dell’agroindustria, principalmente di proprietari di medie imprese agricole cerealicole, risicole, o di allevamenti intensivi, possiamo quindi parlare di una presenza principale di imprenditori agricoli. Questo comparto negli ultimi cinquant’anni ha avuto un’accelerazione spinta alla macchinizzazione volta a rendere sempre più produttiva la terra coltivata, di pari passo ad un abbassamento della fetta di popolazione che si dedica a questo settore.
La presenza più marcata sembra essere quella dell’avanguardia del comparto, ovvero di agricoltori che ormai da decenni provano ad innovarsi stando dietro i vari diktat europei, che hanno provato il biologico, la minima lavorazione, la riduzione drastica di diserbanti e fertilizzanti, e la cosiddetta agricoltura scientifica dove ogni trattamento o irrigazione è mirata e dettata da un’analisi satellitare del terreno. Insieme a questa composizione, c’è una forte presenza giovanile e ultra-giovanile di neo-agricoltori che orgogliosamente rivendicano la loro occupazione e la volontà di migliorarla, insieme ad una forte componente femminile che riveste spesso ruoli di riferimento ed avanguardia della lotta.
Legame con altre composizioni
Media e giornali parlano di un forte legame tra la composizione NoGreenPass e queste lotte degli agricoltori. Per quanto possiamo testimoniare a partire da quanto osservato nelle piazze torinesi del 21 e del 28 Gennaio, questa narrazione sembra rendere giustizia alla sola situazione cittadina. In questi luoghi l’assenza di lavoratori del comparto viene colmata dalla composizione scesa in piazza nei periodi della pandemia, che nel farlo mette a disposizione il proprio bagaglio di capacità discorsive e strumenti mediatici, capaci di rendere subito queste piazze uno strumento politico d’attacco alle politiche globali ed europee. Significativo è il fatto che i giornali abbiano garantito molto risalto mediatico a questa composizione, come quando la repubblica del 29 gennaio ha dedicato ampio spazio all’atto di bruciare la bandiera europea in una piazza senza nemmeno un trattore, e nulla o quasi sulle decine di presidi e blocchi portati avanti dagli agricoltori in tutta la penisola.
Per approfondire: La convergenza impossibile. Pandemia, classe operaia e movimenti ecologisti da Monitor Italia.
Inoltre, questo è un legame contraddittorio. Molti non si sentono rappresentati dai discorsi sulle politiche pandemiche, né vedono una particolare affinità con le piazze lanciate dal movimento NoGreenPass. Eppure, come Piero, sono disponibili ad un allargamento e a ricevere solidarietà da questa galassia, purchè si parli di cibo e della sua produzione-vendita:
Intervistatore « Con i movimenti cittadini che sono legati in gran parte ai movimenti No Vax, voi avete dei rapporti?»
Piera «Non abbiamo nessun rapporto. Comunque, come dicevo prima, noi siamo autonomi nel nostro gruppo, siamo di tutte le idee! Quindi ci saranno tra di noi NoVax, ci saranno tra di noi persone che hanno hanno seguito questi gruppi e che comunque adesso ci vogliono sostenere. Adesso noi stiamo parlando di agricoltura. Adesso stiamo parlando di cibo: qui in questo gruppo la parola d’ordine è: chi mangia è dei nostri.»
Va notato che non regge nemmeno il discorso per cui gli agricoltori sarebbero fascisti o di destra, anzi notiamo una forte mancanza di volontà e capacità politica delle destre nel provare a cavalcare la protesta, come invece avevano provato in altre situazioni, ad esempio nel caso della mobilitazione degli allevatori sardi. Probabilmente questa mancanza è dovuta innanzitutto ad un conflitto di interessi, per cui essendo al governo provare a cavalcare la situazione richiederebbe subito un’azione politica forte, e forse anche figlia di una classe politica poco lucida. Evidentemente, il ministro Lollobrigida in testa che non spicca di perspicacia nel cogliere i movimenti popolari. Staremo a vedere nei prossimi giorni il tentativo del presidente della regione Cirio che ha fatto trapelare di voler di incontrare gli agricoltori in presidio permanente ad Alessandria.
In conclusione, potremmo dire che ad ora si tratta di una lotta prettamente corporativa, anche se ricerca un legame con i consumatori e cerchi di enfatizzare quanto questa lotta sia per tutti, in quanto inerente alla base fondante della riproduzione sociale: il cibo per sfamarci. Tuttavia, eccezion fatta per i movimenti No GP, per ora riceve solo solidarietà indiretta e mediatica, e sono quasi inesistenti i solidali nei presidi e cortei.
Autonomia della lotta
Un altro elemento fondamentale della protesta è la nemicità chiara verso governi e i sindacati agricoli, CIA e Coldiretti, sebbene tutti gli agricoltori siano costretti ad appoggiarsi ai CAA (Centri di Assistenza Agricola) di queste associazioni per affrontare le questioni amministrative e burocratiche, e quindi siano di fatto costretti a tesserarsi. Ma se base di queste associazioni è quindi pressochè identica alla base di tali associazioni, nei loro confronti c’è distacco e sfiducia. Sono percepiti come lobby legate alla politica e lontani dagli interessi delle basi.
“È una commistione tra organizzazioni. E in questo momento, in particolare, tra la Coldiretti ed il Governo. Il vice ministro dell’agricoltura attuale è l’ex vicepresidente della Coldiretti della Basilicata! Ho sentito qua che hanno mandato lettere! Han detto anche, la dirigenza Coldiretti, di non aderire a queste manifestazioni! Dove invece si portano i problemi concreti degli agricoltori“ (Mauro, agricoltore del Monferrato)
“Noi siamo agricoltori autonomi, autonomi vuol dire proprio che non ci siamo uniti a nessuna associazione, e che le associazioni in questo momento non ci stanno seguendo. Non ci siamo, non siamo sotto nessuna bandiera politica e non siamo neanche con altre associazioni che magari si muovono a livello nazionale. Noi siamo partiti proprio come un gruppo di amici contadini a cui si sono aggiunti colleghi che ora sono diventati amici tanto quanto quelli che conoscevamo prima. Io sono partita come una delle prime, pensando di fare qualcosa da sola, perché credevo fosse brutto lamentarci solo tra di noi e non farlo vedere a tutti, non farlo conoscere questo nostro malessere, questo nostro malumore. Quindi ho detto “ci fosse solo una persona che ci ascolta lo dobbiamo dire!” Ma nell’arco di otto giorni da 50.60 persone che eravamo come primo giorno, come partenza, come prima idea, siamo diventati 100, poi 1000! Quindi vuol dire che non era una cosa solo di noi amici” (Piera, allevatrice ed agricoltrice cerealicola di Bergamasco)
Al contrario, la protesta si struttura attorno a figure di riferimento radicate nei territori, si ritrovano in coordinamenti informali possibili grazie a preesistenti legami di conoscenza e collaborazione territoriale nel lavoro, che così si strutturano in referenti nelle varie aree di influenza. La pratica dell’organizzazione è spontanea e passa tramite piccole riunioni, gruppi whatsapp, passa parole, appuntamenti. Importanza centrale assume il presidio permanente di Alessandria:
“Questa praticamente è una settimana di seguito. Noi siamo scesi e abbiamo fatto il presidio statico qui sabato 27 (presidio di Alessandria). Noi rimaniamo qui fino a tarda sera dandoci sempre il cambio ma essendo sicuri che qui il presidio c’è sempre fino a sabato sera ( 3 febbraio). Poi sabato sera trarremo le conclusioni e può darsi che ci rivedrete magari un’altra volta in un altro modo. Ma siamo sicuri che qualcosa succederà!” (Piera, allevatrice ed agricoltrice cerealicola di Bergamasco)
Per quanto riguarda il coordinamento nazionale o internazionale, per ora rimane assente. La pretesa leadership dei CRA non viene in alcun modo riconosciuta, e si è deciso collettivamente di rimanerne al di fuori. Il suo risalto mediatico, pompato dai canali di comunicazione autonoma legate all’area del dissenso No GP, ma non viene colta dalla composizione reale. Ciononostante, si sono dati dei momenti assembleari molto ampi al presidio permanente di Alessandria, con oltre 200 referenti, e non si escludono futuri momenti di confluenza, come potrebbe essere una manifestazione su una o varie città.
Non possiamo quindi che sottolineare come questa lotta rappresenti un evento storico senza precedenti di lotta autonoma datasi su scala europea, simile forse per diffusione e temporalità più alle mobilitazioni operaie di cicli ormai remoti nel tempo che ai fenomeni di conflitto a cui siamo abituati recentemente. Il grado di autonomia del movimento varia però, e di parecchio, da paese a paese. In alcuni stati (Francia e Germania) i sindacati assumono ruolo molto più centrali che nel contesto italiano.
La situazione del comparto agricolo e le rivendicazioni degli agricoltori piemontesi
Sono tante le rivendicazioni portate avanti dagli agricoltori scesi in piazza in queste settimane. Alcune toccano temi a noi cari come i prezzi degli alimenti e dei beni di prima necessità, delle materie prime e dell’energia, parlano delle politiche legate alla transizione economica del Green New Deal europeo, ma anche del rapporto con i cambiamenti climatici, con la siccità, con la fauna selvatica. Molte proposte non rispecchiano l’agricoltura che vorremmo in un mondo diverso, né vanno nella direzione che immaginiamo possa rappresentare una via d’uscita dall’agro-business capitalistico.
Mentre svisceriamo quelle che sono le istanze portate avanti dai produttori cerealicoli, risicoli e dagli allevatori piemontesi, è necessario però contestualizzare la protesta in quelli che sono gli eventi che hanno caratterizzato il comparto agricolo:
- STABILITA’ DEI PREZZI DI VENDITA E ACQUISTO. No agli abusi di posizione dominante che non garantiscano la tutela di un prezzo DIGNITOSO all’agricoltore, quindi un reddito giusto e paragonabile ad altri settori produttivi. Aiuti fiscali per contrastare l’inflazione e il caro vita.
Il fulcro della protesta è sicuramente il rapporto tra costi di produzione e costi di vendita, dove i secondi sono spesso più bassi dei primi e l’unico guadagno possibile risiede negli incentivi statali o europei, ammesso che l’annata di raccolto vada bene e che ci siano effettivi guadagni. Eccezion fatta per le realtà più piccole e marginali, si tratta infatti di un settore totalmente finanziato e governato dall’alto tramite il sistema degli incentivi, primi fra tutti quelli legati alla PAC, la politica agricola comunitaria, una delle politiche europee più datate e di maggiore importanza e peso finanziario, capace di impegnare da sola oltre il 30% circa del bilancio dell’UE.
Tale sistema di incentivi è poi associato ad un modello di agricoltura neoliberale e mercatista, nel quale i prezzi delle merci dipendono completamente dall’andamento del mercato, le cui oscillazioni possono portare anche ad un prezzo di vendita inferiore rispetto a quello di produzione. Tali prezzi risultano in larga misura estranei ai prezzi pagati dal singolo consumatore, il quale al contrario dipende il larga parte dall’indotto che si occupa della logistica e della vendita (dove troviamo la famosa GDO, grande distribuzione organizzata), passaggi e guadagni su cui l’agricoltore non ha alcun potere. In questo modo il produttore rimane totalmente scoperto ai flussi di mercato, alla selvaggia competizione dei prezzi dei prodotti di importazione, magari anche prodotti secondo standard non conformi a quelli richiesti ai contadini nostrani, e non è un caso che il punto 3 del comunicato reciti:
“TRACCIABILITA’ DELLE PRODUZIONI PER LA SICUREZZA DEI CONSUMATORI. Più controlli sull’importazione di prodotti agricoli da Paesi in cui non sono in vigore gli stessi nostri regolamenti produttivi e sanitari” Insomma, l’agricoltore italiano si sente esposto ad una competizione “sleale” in un mercato globale a cui è completamente asservito. Su questo già fragile equilibrio si vanno a sommare gli sconquassamenti dovuti prima alla pandemia e poi alla guerra in Ucraina, con i prezzi delle materie prime che volano alle stelle e un prezzo del grano che prima si alza notevolmente e poi crolla stabilizzandosi ai prezzi pre guerra.
“l’Italia è stata terra di approdo non solo delle triangolazioni per l’immissione sul mercato nostrano del grano ucraino (e anche Russo, attraverso la Turchia), ma anche di un netto incremento delle importazioni di grano canadese, che si configura come un altro caso di concorrenza sleale per dumping normativo per il noto caso del glisolfato. Tale pressione al ribasso, destinata a schiacciare i margini già esigui degli agricoltori, sembra, peraltro, destinata ad aumentare in Italia dove appare ormai imminente la ratifica del CETA, il trattato di libero scambio con il Canada che, per usare le efficaci parole di Coldiretti: “spalanca le porte all’invasione di grano duro trattato in pre-raccolta con il glifosato vietato in Italia perché sospettato di essere cancerogeno e favorisce l’arrivo di ingenti quantitativi di carne a dazio zero da un Paese dove è possibile utilizzare ormoni negli allevamenti, a differenza di quanto avviene in Italia” (Salemi Pietro).
- REVISIONE DELLA PAC. No alle politiche eccessivamente restrittive (revisione del Green deal europeo) a discapito della produzione agricola e della produzione di cibo per i consumatori. Siamo il primo e a volte l’unico baluardo per la salvaguardia dell’ambiente e del territorio.
Negli ultimi anni l’Unione Europea, secondo il paradigma della transizione ecologica, ha cambiato la PAC, dirottando metà degli incentivi ai produttori che adottano una serie di tecniche di agricoltura ritenuta “sostenibile”, ovvero quella che prova a ridurre l’impatto e la desertificazione dei terreni e riduce l’uso di pesticidi, diserbanti e fertilizzanti. I malumori nascono dal fatto che, per assurdo, queste tecniche venivano finanziate con maggiori incentivi prima della cosiddetta “transizione”, con il risultato che ad oggi rimangono più costose e meno redditizie rispetto all’agricoltura “mainstream”. Il punto 5 recita inoltre “ABOLIZIONE IMMEDIATA DEI VINCOLI E DEGLI INCENTIVI PER NON COLTIVARE. Eliminazione dell’obbligo di non coltivare il 4% dei terreni; revisione dei vincoli di rotazione (più flessibilità e adeguamento alle condizioni climatiche); eliminazione di ogni forma di contributo per disincentivare la coltivazione.” Inoltre, il sistema dei “gettoni green” su cui si basa la PAC è regolato da un fitto sistema di premi legato a diversi standard che solo un’attenta gestione manageriale della produzione può sperare di ottenere. Se consideriamo che la gran parte degli agricoltori fanno fatica addirittura a capire le basi di questo sistema, e della burocrazia infinita che lo sottende, il risultato è che a giovare di tali politiche risulteranno essere principalmente gli attori più grossi. Puntalmente, il punto 4 recita “ SEMPLIFICAZIONE. Il 40% del lavoro degli agricoltori è volto agli adempimenti burocratici, a scapito della vera produzione per le proprie attività”.
Insomma, l’agricoltura è il comparto che forse più di tutti sta pagando tanto gli effetti del cambiamento climatico quanto i costi della transizione ecologica, mentre è completamente relegato ai margini della decisionalità politica, completamente in balia delle lobby, e subalterno tanto agli attori multinazionali capaci di influenzare le fluttuazioni speculative del mercato, quanto agli attori le cui mosse geopolitiche garantiscono o bloccano le importazioni.
Tra le rivendicazioni troviamo anche il come far fronte alla siccità, il primo grande effetto del cambiamento climatico in occidente. Un agricoltore del monferrato ci parla di una situazione già tragica:
“Da noi [Monferrato] è una zona del Piemonte dove piove meno di tutte le altre zone… anche a dieci venti chilometri di distanza. Per cui noi siamo già in crisi di siccità! Come nel 2023! Dall’inizio del 2024 non ha piovuto! E il terreno, sotto quei 30 centimetri dove c’è un po ‘di umidità, è secco. Noi siamo già, di nuovo, in crisi idrica per il 2024 perché in primavera, se piove, l’acqua va via veloce, non filtra, non va giù né nelle falde né nel terreno sottostante, che è dove si fa la scorta per l’estate. Per cui ci sarà di nuovo crisi di siccità assicurata per il 2024” (Mauro, agricoltore del Monferrato)
Si propone di risolvere il problema della siccità intensificando il sistema degli invasi, proponendo bacini idrici e forme più precise di irrigazione, una serie di soluzioni che probabilmente riuscirebbero ad arginare il problema solo per pochi anni a fronte di una spesa naturale ed economica enorme nella realizzazione. Le lotte contro i mega bacini in Francia sono chiare nel confutare le false speranze legate al paradigma della razionalizzazione, della raccolta e della vendita di acqua per l’irrigazione. Ma gli effetti sono qui ed ora, e stanno devastando i raccolti, e bisognerà provare a rendere questa tematica il fulcro di attivazione di ampi settori. La siccità non colpisce infatti la sola produzione agricola, ma in generale la possibilità stessa di vivere interi territori e di accedere ai beni fondamentali quali acqua e cibo.
Gli agricoltori con cui abbiamo parlato vedono chiaramente le contraddizioni della transizione energetica verso le cosiddette energie rinnovabili. Il punto 7 recita infatti: “DISINCENTIVARE IL CONSUMO DI TERRENI per strutture non agricole (fotovoltaico e agrivoltaico)”, e si pone il contrapposizione alle nuove politiche europee, che offrono affitti altissimi ai proprietari allo scopo di sostituire le culture con impianti agro-voltaici e fotovoltaici.
Questa protesta si basa sul fatto che adesso cercano di sottrarre terreno all’agricoltura per mettere i pannelli solari. E questo è un problema, soprattutto per tutti quelli che coltivano terreni presi in affitto, perchè magari la proprietà ha più interesse ad affittare quei terreni alle aziende che si mettono a fare impianti fotovoltaici.
Il punto 8, ultimo ma non meno importante, recita invece “NO AL DEPOSITO SCORIE NUCLEARI IN PROVINCIA DI ALESSANDRIA!”. La contrarietà Deposito Unico Nucleare a Trino va quindi a a chiudere il cerchio di critiche tanto alla presunta transizione green quanto ad altri interventi, individuati come inquinanti, colpevoli di un pesantissimo consumo di suolo e di rovinare il paesaggio.
Infine, volgiamo sottolineare uno dei temi più importanti tra quelli esposti nei volantini e nei comunicati distribuiti a Novara: la riqualificazione della figura dell’agricoltore, in quanto ruolo cardine della riproduzione sociale nella sua forma più basilare, la nutrizione.
Nell’area del presidio in viale Milite Ignoto verranno inoltre organizzati momenti divulgativi e liberi, soprattutto per i bambini, per far conoscere meglio il mondo agricolo, le piante e i prodotti della terra per dimostrare quanto lavoro e passione ci siano alla base di ciò che mangiamo e che il settore agricolo sia fondamentale per la cultura e l’economia italiana.
Come ci dice Arianna, la figura dell’agricoltore viene svalutata da decenni, spogliata dal suo ruolo fondamentale e dal potere che dovrebbe possedere, riposta ai margini di una società che ha fatto del solo profitto il proprio valore, non valorizzando chi lavora duramente per sfamare gli altri:
“Siamo qui oggi in piazza per rivendicare i nostri diritti ma soprattutto la nostra dignità lavorativa, soprattutto in questi ultimi anni che hanno sempre cercato di metterci i piedi in testa. Noi siamo i primi difensori del territorio e dell’ambiente! Questo non deve essere travisato! Noi siamo a favore della sostenibilità ambientale! Lo siamo eccome, quando questo ha un senso! La sostenibilità ambientale deve essere anche affiancata da quella agricola e da quella economica, perché noi lavoriamo, spendiamo, investiamo nella nostra vita per dar da mangiare alla gente e non vogliamo inquinare, fare, fregare. Noi vogliamo semplicemente lavorare con dignità e ad oggi questa condizione non è assolutamente rispettata perché noi arriviamo a casa la sera dopo 12-14 ore di lavoro.” (Arianna, allevatrice dell’alessandrino)
Dispiace constatare da più parti che tra le cause della svalutazione vengano annoverati i movimenti ecologisti, intesi come compagine che critica in toto la produzione alimentare, le scelte e strategie dell’agro-industria, provando a decostruire un comparto ritenuto dannoso senza alcuna visione chiara della sua importanza o immaginazione su cosa si possa fare insieme a chi in questo settore ci dedica la vita. Si può sicuramente affermare che l’agro-business ha come obiettivo primo il guadagno, la valorizzazione, ma nelle piazze emerge un popolo di agricoltori orgogliosi, con il mantra di essere quelli che sfamano la società, che vogliono e provano a fare nel modo migliore possibile. Questo per dire che un margine discorsivo c’è, e dobbiamo vedere l’agricoltura come uno dei settori su cui bisogna avere un’immaginazione chiara e condivisa sul da farsi per evitare una crisi alimentare, arginare il cambiamento climatico, e provare una via nuova che vada oltre la dicotomia tra produzione as usual e agricoltura green. E con chi meglio degli agricoltori si può provare ad immaginare quello che potrebbe essere un sogno comune?
CONCLUSIONI
Proviamo a tirare delle parziali conclusioni, sperando di essere ancora agli albori di una lotta che saprà stupirci e darci molto di più di quello che abbiamo scritto in questo primo reportage. Iniziamo riportando cosa ci piace fin da subito nel vedere centinaia di trattori sfilare in ogni provincia: rende sicuramente palese l’impossibilità di una transizione ecologica senza un impoverimento di settori finora garantiti, ovvero l’impoverimento di uno dei settori fondamentali per la sopravvivenza. Quando parliamo di crisi della riproduzione sociale, dello scaricamento dei costi della transizione ecologica, ebbene parliamo proprio di quello che stanno vivendo sulla loro pelle gli imprenditori agricoli. Un movimento del genere potrebbe aprire uno spiraglio di riflessione sulla svolta green dell’occidente: ci mostra quanto sia costosa e sempre più difficile questa agricoltura, quanto sia difficile cambiare all’interno dello stesso paradigma della valorizzazione imperante, e quanto la politica alimentare, energetica e geopolitica si interconnettono e danno vita ad un sistema sociale che sempre meno riesce a garantire stabilità e vite desiderabili.
Ci chiediamo se ci sarà la capacità politica di continuare nella lotta o se i governi e l’UE riusciranno a depotenziare il movimento con alcune riforme ad hoc, come stanno già provando a fare per paura di una diffusione della protesta ad altri settori impoveriti.
Finora abbiamo visto una lotta corporativa espandersi a gran velocità su scala europea, provando a mobilitare nelle province e riversandosi nelle città, una lotta che per esempio in Francia utilizza luoghi e forme già viste per i gilet jaune, che in Italia ci ricorda vagamente da un lato l’inizio dei forconi con la mobilitazione dei mercatari, dall’altro il movimento No GP. Potremmo sperare in un allargamento della mobilitazione oltre il solo settore agricolo? È una domanda sicuramente difficile ora, bisogna sicuramente vedere la tenuta della protesta dopo i primi tentativi di riassorbimento istituzionale. In Italia la composizione agricola sembra molto sconnessa da altri segmenti sociali, a causa di una capillare e forte divisione tra città, piccole, medie e grandi, e campagne, diversa da contesti come quello francese, dove una Francia “profonda” e agricola si contrappone compattamente a pochi ed enormi centri urbani. Aleggia nei discorsi anche la paura di riferirsi ad altri soggetti che potrebbero ampliare la protesta, cambiarne i connotati, farla sfuggire dal seminato proponendo scenari e determinazioni che ad ora gli agricoltori italiani non vogliono intraprendere, a differenza di quelli francesi. Solo il tempo ci darà una risposta, sicuramente la sfida nostra è quella di provare a capire cosa c’è di buono, trovare elementi con cui connettersi e poter immaginare insieme un’agricoltura che vada oltre le logiche del capitale. Probabilmente è una possibilità difficile da cogliere, ma è una possibilità che non può essere colta se non uscendo da posizioni aprioristiche e provando a stare dentro le contraddizioni e le lotte.
Di seguito un’interessante intervista ad una contadina dell’alessandrino:
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