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Guerra sporca (di ritorno)

Mai come in questi momenti ci rendiamo conto di quanto “siamo parlati” da un linguaggio medio(cre) che ci sovrasta e parla in noi, contro di noi, schiacciandoci e rendendoci impotenti.

Ai tanti che stanno già saturando i social network con messaggi di cordoglio, pronti ad arruolarsi nella nuova guerra di civiltà contro l’Islam (da destra) o nell’altrettanto insopportabile professione di libertà d’espressione (a sinistra) ci piacerebbe tanto ricordare una banalità, che non c’è libertà che non corrisponda a un potere effettivo di trasformare l’esistente, il resto sono solo chiacchiere. In queste ore, è soprattutto di un ragionamento freddo, distaccato e intelligente che si sente la mancanza.

La cosa più insopportabile sarà assistere a manifestazioni e prese di posizioni in cui gli alfieri dell’ironia caustica e liberal sfileranno fianco a fianco dei lepeninsti e dei sostenitori gauche-chic di Hollande. Brutti compagni di strada. Dove la destra rintuzza le identità perdute e fantasmate, la sinistra brilla per il cinismo post-moderno della distanza e dell’ironia che non impegna, in fondo molto funzionale (ce ne accorgeremo in questi giorni) al rafforzamento dello status quo liberale e capitalistico. I primi lavorano alla creazione di un nemico immaginario, i secondi a un’etica del disimpegno e della sostanziale acquiescenza ai modelli tardo capitalistici della libertà-nel-consumo (soprattutto “culturale”, ça va sans dire).

A scanso di equivoci e per provare a continuare un discorso difficile e scomodo, diciamo: siamo disgustati da quanto è successo! Siamo distanti anni-luce da atti di questo tenore! Non crediamo che esso rappresenti o sia in qualche modo utile alle cause e agli interessi delle popolazioni che hanno pagato e continuano a pagare gli effetti di politiche imperialistiche scellerate. Archiviato il dovuto, pagato il fio  – ma ci rendiamo conto di quanto è umiliante e surreale dover fare queste premesse? Dover a priori prender posizione pro civiltà occidentale salvo l’esser messi sul banco degli imputati è già una riprova dell’uniformità del discorso occidentale di cui la satira islamofoba-“libertaria” è parte integrante di omologazione – continuiamo a ragionare…

Negli ultimi 20/25 anni l’Occidente euro-atlantico ha effettuato direttamente o innescato per procura guerre e scontri inter-confessionali e inter-etnici per mantenere il proprio dominio geo-strategico su territori che corrispondono in larga parte a un radicamento maggioritario della fede islamica. Non si tratta di giustificare un massacro che ha senso solo per chi l’ha compiuto e per chi vuole attizzare nuovi scontri di civiltà ma resta pur sempre imprescindibile e obbligatorio chiedersi quanti morti hanno prodotto questi 30 anni di intromissione euro-americana nel medio-oriente. Intromissioni che, strumentalmente e a seconda del bisogno, hanno utilizzato e favorito o al contrario punito e combattuto un islamismo politico-militante che, anch’esso, non ha smesso di mutare, frammentarsi, riunirsi e ricomporsi secondo le alleanze e gli interessi che erano/sono in gioco.

I servizi segreti e gli stati maggiori di Usa, Gran Bretagna, Francia, Germania, Italia non hanno mai smesso di giocare (ir)responsabilmente con fantocci che da tempo hanno cominciato a loro volta a contro-utilizzare i loro finanziatori e sostenitori a singhiozzo. Pensiamo a quanto successo in Libia, in Mali, Siria e ora con l’Isis alle porte di Kobane, mandante politico di questa strage stupida e inutile. Oggi un po’ di quella guerra sporca e dissimulata ci torna in casa, con gli interessi. E come sempre più spesso avviene, non assume le forme chiare e politicamente legittime del mondo d’antan ma la fisionomia delirante e mortifera di un mondo sull’orlo dell’implosione sistemica. La merda che esportiamo altrove ci ripaga della stessa moneta. Paradossalmente il cui prodest di questo gesto fa gli interessi degli apologeti dello scontro di civiltà, non solo i Salvini, le LePen e specularmente i seguaci del nuovo Califfato ma anche gli Stati Uniti, che da lontano, ridendo sotto i baffi, potranno compiacersi di essere in qualche modo riusciti a scaricare sull’Europa non solo la crisi ma anche gli effetti più nefasti di quella “guerra al terrorismo” di cui sono stati i principali alfieri.

Per finire, qualche parola ancora sulla satira e la tanto declamata libertà d’espressione. Dal 2001 Charlie Hebdo ha fatto il proprio fondo di commercio su una nevrosi islamofobica il cui asse principale sono barbuti, donne velate e altri nemici immaginari. Per come l’intendiamo noi, il cuore della satira è di dar fastidio a chi comanda. Esprimersi ironicamente in una vignetta non esenta da un giudizio di valore sul messaggio veicolato. Puntare il dito contro gruppi minoritari e discriminati a causa di precise responsabilità storiche non equivale a mettere alla berlina il potere religioso e culturale egemonico nel proprio paese. In Francia la sedicente questione del “nemico interno”, ormai onnipresente in Europa, è modellata intorno e sopra al rimosso coloniale. Per questo non c’è libertà astratta che tenga e Charlie Hebdo, da settimanale dissacrante, è diventato un periodico che faceva inorridire anche alcuni dei suoi vecchi collaboratori. Insomma con tutta l’empatia che si può avere per le vittime nous ne sommes pas Charlie Hebdo, che è diventato un pessimo giornale.

La cartina tornasole di questo differenziale nella gerarchia dell’esistente è dato dalla facilità con cui si opera la sineddoche tra l’autore di un gesto criminale e il suo gruppo sociale. Per questo quando un musulmano spara è tutto l’Islam ad essere responsabile, quando un nero commette una rapina tutta la razza è presunta colpevole (come dimostra il numero di uccisioni di giovani neri negli USA da parte della polizia). Quando invece un integralista cattolico massacra decine di giovani in nome della difesa dell’Europa giudaico-cristiana (come successo ad Utoya) l’episodio è de-politicizzato e relegato al campo psichiatrico.

L’incasinamento generale non può che produrre questi mostri (da ambo le parti), dobbiamo saperlo. L’unica risposta possibile non omologata è cercarsi e costruire rapporti di forza in gradi di imporre il nostro terreno senza farci trascinare sui quelli viscidi altrui. Rifiutando la chiamata all’arruolamento, a costo di risultare  impopolari oggi, per evitare di produrre ulteriori catastrofi domani.

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