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Sicilia: tra cambiamento climatico e mancata prevenzione nei territori

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Dopo gli incendi di quest’estate la Sicilia ed una parte della Calabria meridionale vivono un nuovo disastro ambientale che sta causando morti, disagi e danni difficili da stimare. Quanto sta avvenendo è la combinazione tra gli effetti dei cambiamenti climatici all’interno del Mediterraneo, la strutturale assenza di investimenti nella prevenzione dei disastri ambientali ed il modello urbanistico estrattivista che tutt’ora domina tanto nelle province quanto nelle grandi città del nostro paese.

Difficile trovare dei precenti a quanto sta accadendo negli ultimi giorni in Sicilia: piogge senza precedenti, alluvioni, mareggiate, frane ed intere zone isolate. In particolare a Catania, dove al momento è impossibile fare una realistica stima dei danni con scuole, ospedali ed edifici pubblici allagati ed a volte soggetti a crolli e moltissime abitazioni private a rischio inagibilità. Ma le piogge anomale stanno creando disagi anche nelle province interne di Sicilia e Calabria, in alcuni casi negli stessi luoghi dove già avevano insistito gli incendi della scorsa estate, generando una certa preoccupazione anche per quanto riguarda frane e smottamenti. In 86 comuni dell’isola è stato emanato lo Stato d’emergenza.

Si parla di medicane, ossia un ciclone tropicale del Mediterraneo che sta creando un gigantesco vortice capace di portare venti di oltre 120 km orari e anche più di 500 millimetri di pioggia sulle coste dell’isola. Questo vortice si sta creando in mare aperto tra Sicilia e Malta e ricorda lo stesso fenomeno che vide qualche tempo fa la Grecia investita da un disastro inedito. Questo nuovo fenomeno sarebbe diretta conseguenza delle trasformazioni dovute al cambiamento climatico in combinazione con il caldo torrido che fino a pochi mesi fa aveva provocato morti e danni ingenti alle economie del Sud. Questo lembo estremo dell’Europa sta sperimentando sulla propria pelle quanto fino a pochi anni fa sembrava impossibile o perlomeno altamente improbabile se non a latitudini ben differenti.

E se è evidente che per affrontare la crisi climatica a partire dai suoi effetti è necessaria una trasformazione sistemica del modo di produrre e di organizzarsi delle nostre società, è altrettanto chiaro che nulla è stato fatto per mettere in campo dei piani di prevenzione dei territori che fossero in grado di rispondere a queste emergenze che, c’è da starne sicuri, si cronicizzeranno inevitabilmente. Gli investimenti nella tutela dei territori e nella loro messa in sicurezza continuano ad essere ridicoli, appaltati a società private, regolati secondo il principio del profitto. Questo perchè, molto spesso, alla prevenzione si preferisce la “ricostruzione” come modello di estrazione di valore dai territori devastati e allo stremo. Man mano che la crisi climatica avanza nella recrudescenza dei suoi effetti, la zona di sacrificio che è sottoposta a questa logica perversa si amplia coinvolgendo nuovi territori, distuggendo ricchezze, economie e vite. Un capitalismo di guerra (climatica) che rovescia la sua stessa categoria di frontiera.

Dunque mentre la crisi climatica allarga il suo spettro devastante ad essere coinvolte sono intere aree urbane. A Catania il combinato disposto tra l’assenza di prevenzione ed il consumo di suolo senza controllo stanno dimostrando la fragilità dei contesti cittadini di fronte a queste emergenze. La cementificazione selvaggia ai piedi dell’Etna ha impermeabilizzato il suolo provocando lo scivolamento dell’acqua a valle e dunque l’alluvione sulla città. Un’intera area di Catania è costruita sulla superficie di un fiume tombato ed a rendere ancora più complessa la situazione è la scarsa efficenza dei servizi di raccolta dell’immondizia che finisce per otturare tombini e canali di scolo. In questa condizione versano molte altre città d’Italia, tanto al Sud quanto al Nord.

L’evidente miopia della politica locale e nazionale e la sua complicità con un modello di capitalismo in cui la valorizzazione dei territori passa unicamente dalla loro devastazione stanno amplificando gli effetti di una crisi che già di per sè ha una portata imprevedibile ed in grado di sconvolgere la vita, le relazioni e le condizioni di milioni di persone nel nostro paese.

Eppure su questo modello di sviluppo si continua ad insistere, con il nuovo PNRR che invece di investire su un serio piano di prevenzione territoriale con una fuoriuscita dalla logica privatistica, continua ad incentivare grandi opere inutili e cementificazione al fine di tutelare ed ampliare l’estrazione di valore sacrificando quelle zone del paese che non sono considerate prioritarie o strategiche. Eppure questo è un gioco al massacro, i danni delle alluvioni (come già quelli degli incendi) non si interromperanno con il fermarsi delle piogge, ma continueranno a segnare il paesaggio economico e sociale delle zone colpite per anni. Gli effetti di questi disastri sull’indotto agricolo si misureranno a breve, le condizioni dell’abitare saranno ancora più drammatiche, non si sa se alcune scuole riusciranno a riaprire e la crisi insiste anche sul campo della sanità già fortemente sotto pressione. Una visione totale di quanto tutto sia collegato e della necessità, ormai divenuta urgenza, di cambiare questo sistema di sviluppo.

Di seguito alleghiamo la trasmissione di Radio Blackout su quanto sta accadendo:

CATANIA: I DISASTRI AMBIENTALI NON SONO UN FLAGELLO DI DIO 

 

In questi giorni la Sicilia e in particolare il catanese sta venendo investita da fortissime piogge che si trasformano in alluvioni devastanti per un territorio già di per sé vulnerabile e lasciato nell’incuria.

Si parla di medicane, ossia un ciclone tropicale del Mediterraneo che sta creando un gigantesco vortice capace di portare venti di oltre 120 km orari e anche più di 500 millimetri di pioggia sulle coste dell’isola. Questo vortice si sta creando in mare aperto tra Sicilia e Malta e ricorda lo stesso fenomeno che vide qualche tempo fa la Grecia investita da un disastro inedito. Pochissimo viene detto dai giornali, la notizia viene riportata allo stesso livello dei trafiletti di cronaca emergenziale mentre un’intera isola e la vicina Calabria potranno a partire da domani vedere un peggioramento importante delle proprie condizioni. Anzi, l’unica tendenza apparente è che la soluzione del disastro annunciato verrà delegata alla prossima Conferenza sul Clima che si terrà a Glasgow il 26 novembre, come se intanto si potesse attendere.

Dalle parole di chi sta vivendo in queste ore ciò che sta accadendo emergono alcuni punti chiari: da un lato, la responsabilità delle amministrazioni che per anni, nonostante gli incendi boschivi della più recente estate, nonostante le eruzioni del vulcano, nonostante le alluvioni passate, continuano a non occuparsi della messa in sicurezza dei territori e dall’altro, la violenza con cui chi abita quei territori deve fare i conti, dopo due anni di pandemia, di chiusure, di impossibilità di accedere a una sanità efficiente e garantita a tutti e tutte, rischiando di annegare in fiumi di fango e spazzatura.

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