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Sulla crisi di governo: di sicuro nessuno rimpiangerà il banchiere sanguisuga e la tragicommedia della classe dirigente italiana

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Da mesi assistiamo ad una progressiva mossa a “tenaglia” attorno ai 5 stelle, guidata da Draghi, sotto la lungimirante guida di “re Sergio”, che mira ad isolare i pentastellati. Gli obiettivi sono la loro reticenza filoatlantica, il rifiuto ad armare ulteriormente l’Ucraina e le misure (timide e insufficienti) sociali da loro volute, il termovalorizzatore romano è solo l’ultima goccia di un vaso pieno da tempo. 

Il protagonismo di Conte va letto come una mossa obbligata, in risposta allo scacco portato avanti dall’ormai alfiere di Draghi, Di Maio. Utile idiota, che spera di essere ricompensato a corte per essersi immolato per la Nato e il riarmo, un Udeur 2.0 probabilmente usa e getta. La posta in palio, oltre all’eleiminazione di chi non è allineato sul riarmo e la strategia del patron USA, sono le ultime misure sul Pnrr e l’impostazione per affrontare crisi energetica e austerity dei prossimi anni. Ddl Concorrenza, ddl Aiuti, ridimensionamento del Reddito di Cittadinanza, ulteriore deregolamentazione del lavoro. Si tratta per Draghi di consegnare un’alternativa solida, prima delle elezioni, la cui funzione è scaricare verso il proletariato e il ceto medio-basso la crisi, consolidare l’allineamento alla Nato e alla nuova strategia del disordine europeo voluta dalla casa Bianca. Obiettivi che sono quasi raggiunti, ai quali i 5 stelle rappresentano l’ultimo residuo di stampo populista, mentre la Lega viaggia nella sua completa normalizzazione e FdI parla del RdC come il metadone della società.

Ieri si è consumata un’altra pagina ridicola della storia della democrazia italiana. Tra imbarazzi, urla, liti e gesti eclatanti il governo Draghi si è sciolto al sole, nonostante i tentativi di Mattarella, preoccupato dall’eventualità della fine di un’unità nazionale, chiaramente fasulla. Draghi questa mattina rassegna le dimissioni dopo una fiducia al Senato con soli 95 voti favorevoli, il numero più basso di tutta la legislatura. Qualche giorno di attesa e brivido per chi ancora ci crede a servizio della costruzione di un immaginario in cui Draghi ne potesse uscire pulito, possibilmente riciclabile per altri ruoli, magari più vicini alla sua natura. Dietro di sè lascia un circo, Gelmini esce da Forza Italia dopo essersi sentita dire di prendersi uno Xanax, il timore europeo di un’ascesa al governo di forze filo russe, Conte deluso per non aver avuto una discussione nel merito delle questioni sollevate e surclassato da Giorgia Meloni che pare essere tra le favorite per la sua performance. Le manciate di pro Draghi potranno ricambiare le loro vesti per il prossimo giro. Al di là degli intrallazzi a palazzo occorre focalizzare alcuni nodi centrali nella fase che attraversiamo oggi e che sono le tendenze dalle quali partire per costruire un autunno di lotta.

Perché tanta fretta? La risposta ci arriva dallo stato della fase in atto, l’inflazione e la crisi energetica stanno innescando delle reazioni a catena difficilmente controllabili. L’erosione dei salari è forte, i rapporti Istat e inps, fotografano una realtà in rapido peggioramento. La crisi industriale e di produzione generale, effetto del covid a cui si somma la guerra, rende reticenti i padroni alla minima concessione, e si avvicina lo “stallo alla messicana” fra le esigenze di tenuta sociale della governance e le esigenze di industriali, banchieri e speculatori finanziari. L’attacco al reddito di cittadinanza va visto in quest’ottica, la retorica contro i giovani e il rifiuto del lavoro a favore del sussidio pure. Come sempre il primo fattore per incrementare il profitto è spremere la forza lavoro, con un mix di app schiaviste, tagli ai salari, lavoro gratuito, taglio di fatto alla sicurezza sul lavoro e aumento dei ritmi.

Le mobilitazioni degli studenti questo inverno e primavera hanno mostrato una prima indisponibilità a questa stretta. Come si muoveranno i sindacati è difficile dirlo, nonostante l’attacco sferrato ai sindacati conflittuali di base di questo paese con l’accusa di associazione a delinquere, non è scontato anzi, si tratta di sperare in un guizzo di dignità rispetto a come si muoveranno i confederali. L’immobilismo questa volta potrebbe essergli fatale e le ultime mosse di Landini sembrano mostrare coscienza di ciò nella fabbrica sociale, fuori da ogni controllo sindacale, se non per le sacche di intervento di sindacati di base e movimenti sociali, è difficile ora vedere comportamenti collettivi di rifiuto, anche se la resistenza dei tassisti all’art. 10 del ddl concorrenza può essere un segnale. Dall’altra parte la riorganizzazione militare energetica ed ecologica non è così liscia come il governo si aspettava. La riorganizzazione e la ristrutturazione energetica e ambientale, hanno un costo sociale che si somma al resto. Inoltre, deve pagare dazio a tutto quel capitale parassitario-criminale che le corti dei partiti si portano dietro, l’esempio del bonus 110% è inquietante. L’emergere di nuove lotte sociali, come il Movimento contro la base a Coltano e il rigassificatore di Piombino, i comitati pugliesi contro le pale eoliche, il movimento contro la gestione delle scorie nucleari e il perdurare del Movimento No Tav, sono la dimostrazione che i piani istituzionali incontrano e incontreranno delle difficoltà sul loro cammino. Se a questo punto aggiungiamo l’incognita sulla gestione dei riscaldamenti per il prossimo inverno e il caro carburante, le incognite si amplificano ulteriormente. Il fiorire di movimenti sociali e rivolte spurie, in Nord Africa, Sri Lanka, Ecuador, Argentina, India, sono il mostro sacro da esorcizzare in ogni modo nei palazzi del potere.

Da qui parte la retorica e l’azione del governo verso il “popolo”, un mix di carote e bastoni, in cui la predica sulla tutela dei diritti si mescola ad una repressione feroce dell’insorgenza sociale e delle dimensioni di movimento che rifiutano di abbassare la testa. Il PD con i suoi giornali è il vero protagonista di questo meccanismo della repressione “colorata” e la ministra Lamorgese ne è l’alfiera. I migranti vengono lasciati morire in mare peggio che con Salvini agli Interni, ma si orchestra la campagna mediatica per dare la cittadinanza agli influencer e agli sportivi di successo. A Ragusa vengono fatti sparire nel nulla degli operai migranti e i media gridano al razzismo della polizia americana. Vengono finanziate le associazioni prolife, smantellata la sanità pubblica e i consultori, negati i diritti fondamentali alle soggettività lgbtqia+, con un imperversare sempre maggiore dell’omotransfobia, ma si organizzano matrimoni di celebrità e concerti in cui si spettacolarizzano come un esotico fenomeno da baraccone.

La povertà dilagante e le condizioni dei proletari non vengono neanche prese in considerazione se non per criminalizzarle perchè rifiutano condizioni di lavoro assurde. Se per esempio sei un lavoratore dello spettacolo al massimo puoi ambire a diventare un meme vivente e se i giovani provano ad organizzare degli eventi gratuiti in cui divertirsi vengono caricati selvaggiamente e riportati sui treni per le periferie da cui hanno osato uscire, così come davanti a un festival per i giovani che si battono contro il cambiamento climatico viene erto un muro di carta posto a giustificare goffamente gli impedimenti da parte del Comune e di chi decide dell’agibilità politica negli spazi cittadini. Se sei un lavoratore puoi essere investito e ucciso e comunque non diventi degno dei diritti colorati del partito di Repubblica. In questa logica si possono elogiare e incensare i giovani che si battono per il clima per poi picchiarli e metterli in galera. La repressione di questi mesi agli studenti, ai movimenti come quello No Tav, ai centri sociali come l’Askatasuna, ai sindacati come i Si Cobas e USB, sono la dimostrazione che per essere degni di sedere nel pantheon dei diritti della sinistra del Pd e della istituzioni, prima ci si deve ingollare una sana dose di olio di ricino e manganello. Ma tutto ciò cela quel che è più importante : la paura del potere per la crisi sociale che sta intensificandosi senza precedenti. Quelli che ai loro occhi sono i miserabili, gli esclusi dal processo di ascesa sociale, gli impoveriti, quelli che non credono più nella rappresentanza farlocca, quelli che non hanno più risparmi da tutelare, sono sempre di più. L’ostilità dilagante alle condizioni di vita e il rumoreggiare dello scontento popolare dilaga e fa paura. Nei palazzi brividi e sudore si scatenano quando affiora la domanda : cosa ci succederebbe se si organizzassero?

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